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L' aerodinamica

Cos’è l’aerodinamica? Già il nome ci suggerisce che l’aerodinamica è la scienza che studia la dinamica, cioè il movimento, del fluido nel quale si muovono la maggioranza dei mezzi di trasporto costruiti dall’uomo. Perché lo studio di questa scienza è così importante nella progettazione delle automobili ed in particolare di monoposto di F1? Perché l’aria (che si presenta come un gas trasparente difficile da indagare e studiare con semplici strumenti, tanto da rendere necessaria la costruzione di costosissimi impianti quali le gallerie del vento) acquista moltissima importanza quando un corpo si muove in essa, condizionandone pesantemente il moto a causa della resistenza che il fluido esercita sul corpo e delle interazioni reciproche che si vengono a creare (basti pensare ad una piuma che cade a terra molto più lentamente di una sfera di piombo, nonostante la legge di gravitazione universale gli imponga (nel vuoto!) di cadere con la stessa accelerazione di 9,8 m/s2). E’ evidente quindi quanto, fin dai primordi, lo studio aerodinamico sia stato una componente fondamentale della progettazione di auto da corsa e l’importanza di questa componente aumentava con l’incremento delle potenze dei motori e quindi delle velocità massime.

L’inizio

La F1, rappresentando fin dagli esordi nei primi anni ’50 la punta di diamante delle competizioni automobilistiche mondiali, dette modo ai progettisti di dare il meglio di sé in ogni settore. In particolare l’aerodinamica assunse subito un ruolo abbastanza importante (nonostante i limiti tecnologici dell’epoca), in quanto, per definizione, le monoposto di F1 hanno il grosso handicap delle ruote scoperte, che rappresentano un notevole freno aerodinamico. Si presentava quindi il problema di trovare una forma per i bolidi che garantisse la miglior penetrazione nell’aria. I primi progettisti non dovettero sforzarsi più di tanto nell’individuare tale forma, dato che era già presente in natura: la goccia.

La leggendaria Auto Union del ’37

Seguendo una moda che era già in voga nel periodo fra le due guerre, le fusoliere venivano disegnate con la forma più affusolata possibile, piazzando apposite bombature alle spalle del pilota o nelle fiancate (vedi la D50) in modo da rendere il più possibile laminare il movimento (relativo) dell’aria attorno al corpo vettura e quindi da limitare le turbolenze.

La Ferrari D50 (che era in origine un progetto Lancia) vinse il mondiale di F1 nel ’56 con Fangio

Gli anni ’60

Durante gli anni ’60 l’estremizzazione della ricerca della massima penetrazione aerodinamica portò alla progettazione di macchine sempre più lunghe (anche a causa del motore posteriore), e sottili, con la posizione del pilota sempre più sdraiata, tanto da rendere celebre la loro forma a “sigaro”.


Ma nel ’67 su molte vetture comparvero delle appendici che avrebbero stravolto la forma delle monoposto negli anni a venire: le ali. L’introduzione delle appendici alari, sfruttando la notevole spinta in basso prodotta, permise di incrementare notevolmente le velocità di percorrenza delle curve e il problema derivante dalla notevole resistenza all’aria che tali appendici generavano venne quasi subito superata introducendo gli alettoni mobili.Queste appendici evolute venivano regolate direttamente dal pilota in corsa, il quale, agendo su una leva, le inclinava prima della frenata per rallentare più efficacemente, percorreva la curva velocemente, sfruttando la maggior aderenza sull’asfalto e una volta nel rettilineo posizionava l’ala in orizzontale, così da minimizzare il freno aerodinamico e sfruttare appieno la potenza del motore. Tuttavia lo scarso livello della tecnologia dell’epoca e anche l’impossibilità di evitare guasti ad un così delicato meccanismo, causarono numerosi tragici eventi, che culminarono con un drammatico incidente nel GP di Spagna del ’69, dove cedettero le ali sulle Lotus di Rindt e Hill. Per la prima volta il potere sportivo impose dei limiti sull’aerodinamica delle vetture imponendo delle ali fisse.

Gli anni ’70

Gli anni ’70 hanno rappresentato a mio avviso il decennio più fertile e generoso di idee per la F1, perlomeno nel campo delle innovazioni aerodinamiche delle vetture, con l’introduzione e l’affermazione di nuovi concetti alla base della progettazione dei telai e delle appendici.  Nei primi anni del decennio le vetture erano caratterizzate dalle ali, obbligatoriamente fisse, agganciate al corpo vettura in posizione più bassa rispetto alle prime apparizioni nelle auto degli anni ’60 (che avevano appendici rialzate rispetto alla scocca). L’aumento delle dimensioni delle ruote, l’introduzione dell’airscoop (la presa d’aria per l’alimentazione del motore) e lo spostamento dei radiatori nelle fiancate fecero mutare radicalmente l’aspetto delle monoposto, che apparivano ora più larghe e schiacciate al suolo, con varie estremità che rendevano vario e spigoloso l’andamento della carrozzeria.

Emerson Fittipaldi, iridato nel ’72 con la Lotus

Era un periodo in cui era molto facile riconoscere una squadra dall’altra, per la grande diversità e varietà delle soluzioni adottate da ogni progettista, un periodo in cui anche una piccola squadra, come la Hesketh, poteva togliersi  la soddisfazione di stare davanti ai marchi più blasonati semplicemente sfruttando l’ingegno e l’intuito dei propri ingegneri. Forse fu proprio la nuova forma assunta dai telai, più bassi, larghi e schiacciati a terra, a suggerire a Colin Chapman di sfruttare un’altro principio della fluidodinamica, dopo l’introduzione delle ali, dando il via ad una nuova rivoluzione: l’effetto Venturi.

La prima macchina ad “effetto suolo”, la Lotus 78 del ’77, non passò certo alla storia per le sue poco esaltanti prestazioni, ma fornì la base per la vettura evoluzione, la Lotus 79, che vinse il mondiale nel ’78 e dettò legge in fatto di progettazione delle monoposto degli anni a venire.

Lotus 79 campione del mondo con Andretti nel ’78

Tanto era efficace la deportanza creata dall’effetto suolo che si ridussero sempre più, fin quasi a sparire, le “vecchie” appendici alari che ormai presentavano più svantaggi che vantaggi (quella anteriore “sporcava” il flusso d’aria in entrata nelle fiancate).

Lotus 80 nel ’79 con minigonne sul muso. De Cesaris con la Lotus

Non solo, c’e chi esasperò questa ricerca dell’effetto suolo, come la Brabham nel 78 che portò ad un gran premio un macchina col fondo completamente sigillato ed un ventilatore sulla parte posteriore che toglieva aria dal fondo vettura, abbassandone la pressione. Un effetto suolo forzato! La squadra sostenne che il ventilatore serviva a raffreddare il motore, ma a fine gara l’irregolarità divenne palese e scattò la squalifica. Il carico deportante generato dalle fiancate ad ala rovesciata (da qui il nome di vetture-ala) abbinate alle minigonne, sorta di bandelle, strisce scorrevoli di materiale rigido, che sigillavano il fondo delle vetture, con l’aggiunta delle enormi potenze raggiunte con l’introduzione dei motori turbo proprio negli stessi anni, resero le Formula 1 dei mezzi difficilissimi da gestire da parte dei piloti. In curva si raggiungevano livelli di accelerazione laterale da pilota d’aereo, sottoponendo il fisico ad un grandissimo sforzo. Ne risentì moltissimo anche lo stile di guida, a causa delle sospensioni, che dovevano essere regolate più rigide per mantenere la vettura parallela all’asfalto, e le auto erano come poste su dei binari, era impossibile o quasi cambiare traiettoria in curva, una volta impostata. Le macchine erano difficilmente controllabili, spesso era difficile correggere un errore di guida, il controsterzo stava sparendo (Gilles Villeneuve era un’eccezione che però conferma la regola!!).
E c’è da dire anche che quando una vettura, urtando, alzava il musetto, in velocità, quasi sempre spiccava il volo, proprio per quella particolare forma alare, finendo a volte anche nelle tribune.

Questi fattori e anche altri, come i frequenti cedimenti delle minigonne, furono la causa di molti gravi incidenti, proprio per questo motivo nell’83 la federazione internazionale pose un’ulteriore, pesante limite sulle vetture di F1, bandendo l’uso delle minigonne e dell’effetto Venturi (tollerato solo limitatamente agli estrattori), mettendo fine ad un’era.

Proprio nel bel mezzo dell’epoca delle minigonne e dei fondi ad effetto suolo, si fece notare una squadra , la Tyrrel, che presentò una soluzione molto interessante che rappresentò però un episodio abbastanza isolato e quasi subito stroncato dalla federazione internazionale. Si tratta del progetto della monoposto a 6 ruote, finalizzato alla ricerca di una migliore penetrazione dell’aria, attraverso l’uso di quattro piccole ruote anteriori, anziché le consuete due più grandi. naturalmente gli inconvenienti tecnici non erano pochi, a cominciare dalla maggior forza centrifuga subita dal pneumatico (a parità di velocità della monoposto una ruota più piccola deve girare più velocemente) e anche il sistema di tiranti dello sterzo era decisamente complicato (dovendo garantire un’inclinazione diversa per ogni ruota). Nonostante ciò la monoposto si fece notare con alcune vittorie, prima di essere bandita per regolamento.

La Tyrrel P34-Ford nel ’77

Gli anni  ’80

Negli anni ’80, a seguito della forte limitazione dell’effetto suolo, si vide un rifiorire di appendici alari, anche molto vistose, fatto che evidenzia il notevole sforzo dei progettisti per tenere a  terra quei mostri che avevano ormai raggiunto i 1400 cavalli di potenza (in qualifica). La monoposto più celebre e significativa del periodo è la Brabham dell’83, con la caratteristica forma a freccia.

Patrese con la Brabham BT 52 BMW Turbo

Ma ben presto si instaurò una nuova tendenza, la rastremazione delle fiancate ed in particolare della parte posteriore delle vetture, dando origine alla famosa forma a “coca-cola”, il cui precursore è stato l’allora progettista della Mclaren, John Barnard.

Lauda con la Mp4/2 nell’85

In effetti non si tratta altro che della ricerca, ancora una volta, della miglior penetrazione aerodinamica, cercando di favorire il defluire dell’aria attraverso la vettura nel modo meno turbolento possibile, una ricerca necessaria, in quanto nella F1 moderna il freno aerodinamico non è più costituito solo dalle ruote scoperte, ma anche e soprattutto dagli alettoni!(Vedi: il Cx delle F1 moderne).

Gli anni ’90

Allinizio degli anni ’90 vide la luce, sulla Benetton progettata da Rory Byrne, un’altra soluzione che cambierà significativamente l’aspetto delle monoposto: il muso alto. Pur presentando lo svantaggio di innalzare il baricentro della vettura, il muso alto permette un maggiore afflusso di aria nel fondo scocca, il quale, nonostante l’assenza di sigilli e l’altezza minima da terra fissata per regolamento, presenta ancora un certo effetto suolo.

Durante gli anni ’90 le forti restrizioni nelle misure delle appendici alari hanno reso le monoposto molto più simili fra loro ed è diventato molto più difficile per gli ingegneri inventarsi la scelta totalmente controtendenza che alla fine ripaghi in termini diprestazioni. L’unico vero cambiamento è stato l’uso generalizzato, dopo il ’95, del muso alto stile Benetton.

Non a caso l’ultima “genialata” in ordine di tempo, che ha lasciato tutti a bocca aperta per l’azzardo mostrato e anche per il vantaggio effettivo ricavato, riguarda l’introduzione del muso “semi-basso” nella Mclaren di Newey del ’98 (Vedi: muso alto o muso basso?).

Lo studio aerodinamico si è spostato oggi su dettagli come le carenature delle sospensioni , i deviatori i flusso, i nolder, le paratie degli alettoni, studio che necessita delle gallerie del vento, enormi, costosissimi impianti che riproducono le condizioni di gara.

La galleria del vento della Ferrari progettata da Renzo Piano, con schema.

Le ultime soluzioni riguardo le appendici aerodinamiche riguardano la ricerca di materiali elastici, con cui costruire ali “variabili” a seconda delle velocità. Un ritorno all’antico, ma molto al limite del regolamento, a discapito della sicurezza (vedi: ali che si flettono).

L’aerodinamica nella F1 moderna

“Aerodynamics is where the most performance gains can be made, but making these advances in order to be competitive is difficult”
Mike Gascoyne, Technical Director, Jordan GP

“L’aerodinamica è il settore dove può essere creato il miglior guadagno in termini di performance, ma ottenere questi progressi tanto da diventare competitivi è difficile”. In questa frase del progettista della Jordan, Mike Gascoyne è sintetizzata l’importanza dell’aerodinamica nella F1 moderna, profondamente diversa dalla F1 di 30 anni fa, dove spesso la potenza e l’affidabilità di motori quali il Ford-Cosworth e il FerrariV12 sopperivano alle insufficienze aerodinamiche delle vetture che li montavano. Oggi molto spesso si può guadagnare, su una pista media, anche mezzo secondo al giro solo portando ad un gran premio un’evoluzione di un’ala provata per qualche giorno in galleria del vento con la spesa di poche migliaia di dollari, mentre per ottenere lo stesso vantaggio di prestazioni con un’evoluzione del motore occorrerebbero mesi e milioni di dollari, con lunghi test al banco ed in pista ed il pericolo di un guasto che si moltiplica con l’incrementare delle prestazioni.

Per questo è fondamentale oggi lo studio quasi maniacale dei dettagli di una monoposto, dalle paratie degli alettoni anteriori a quelle posteriori, dai deviatori di flusso, alle sospensioni col profilo alare (vedi: le sospensioni dell’Arrows A21), dalla zona “coca-cola” sempre più rastremata, alle alette davanti alle ruote posteriori, alla forma dell’airscoop, aldisegno delle protezioni ai lati del casco dei piloti, agli estrattori, al divergente posizionato sotto il muso, fra le ruote anteriori, alle prese d’aria, alla sezione del muso sempre più piccola (anche sfruttando stratagemmi al limite del regolamento).

Senza entrare troppo nella trattazione di ogni singola parte della monoposto che risulterebbe qui troppo ampia si possono fare alcuni esempi per rendersi conto del livello di sofisticazione raggiunto oggi

Il primo riguarda la galleria del vento della Benetton, costruita nel ’98 e costata oltre 15 miliardi, che presenta ancora una volta una soluzione presa in prestito dall’aeronautica, la pressurizzazione.

Le gallerie del vento usate oggi dalle scuderie in F1 non sono in grado di ospitare modelli in scala 1:1, arrivando al massimo a modelli 1:2, con i conseguenti limiti di validità dei parametri riscontrati nelle prove. Attraverso la pressurizzazione a 2 atmosfere i valori registrati sono molto più simili alla realtà anche per modelli in scala.

L’importanza della corrispondenza fra i valori reali e quelli misurati in galleria del vento è evidente e spesso i limiti di queste pur costosissime strutture hanno giocato dei brutti scherzi ai teams, come alla Ferrari che l’anno scorso sviluppò un’aletta davanti alle route posteriori che in galleria (dove si raggiungono al massimo velocità relative del vento rispetto al modello di 250 Km/h) dava buoni valori di deportanza, ma in una successiva prova sul rettilineo di Vairano, superati i 330 Km/h, dava addirittura portanza!

A chi non vengono i brividi osservando la foto qui sotto?

I deviatori di flusso sono una delle componenti delle monoposto più studiate degli ultimi anni, ma sul loro reale valore ci sono molte perplessità (non solo dovute a presunte irregolarità…). Basti pensare alla bellissima gara di Schumacher in Austria nel ’98, quando in un’uscita di pista perse completamente queste appendici, esibendosi in una rimonta che ha fatto venire il dubbio a molti se quelle alette non facciano andare più piano…

L’importanza delle ali come risorsa per garantire più grip alle ruote sull’asfalto è cresciuta in particolar modo dopo il ’94, quando in seguito ai drammatici incidenti di Barrichello, Ratzenberger e Senna, la FIA introdusse in fondo scalinato, che impone alla vettura un limite minimo di altezza da terra di 5 cm, al di fuori di un canale centrale dove è normalmente posizionata la zavorra della vettura e dove la federazione ha imposto uno “scivolo” di legno che garantisca il rispetto delle norme (lo scivolo di legno non si può consumare oltre 1 mm!).

Nella F1 moderna il carico deportante è da attribuire in media per 2/3 alle ali (in particolare quella posteriore) e solo per 1/3 al fondo e all’estrattore posteriore.

Un’ esempio sull’importanza dell’aria sui movimenti dei corpi, la caduta dei gravi:

La legge di Gravitazione Universale di Newton afferma che ogni corpo sulla terra è soggetto a questa forza:

con m1che rappresenta la massa del corpo, M  e R sono la massa e il raggio della terra e gè la costante di gravitazione universale. Possiamo scrivere la forza F che agisce sul corpo come prodotto della massa del corpo stesso per l’accelerazione che subisce (incognita).

Otteniamo:

vediamo quindi che l’accelerazione di un corpo sulla terra non dipende dalle caratteristiche del corpo!! Come mai allora una piuma cade a terra più lentamente di una pallina di piombo di ugual peso? Per il semplice motivo che la piuma offre più superficie a contatto con l’aria che frena il moto di caduta. Per ottenere un risultato più vicino a quello dedotto da Newton bisogna ripetere l’esperimento facendo il vuoto. In assenza di aria la piuma cadrà con la stessa velocità del piombino!

Il profilo a goccia dà una resistenza 7 volte inferiore alla sfera!!!

Esiste anche una formula per calcolare approssimativamente la resistenza F dell’aria rispetto ad un corpo:

dove D è la densitàdell’aria, A è l’area frontale del corpo e V è la velocità.

Basi di Fluidodinamica:

L’aerodinamica non è che un caso particolare della fluidodinamica, che è lo studio della dinamica, del movimento dei fluidi in generale. Il moto di un corpo in un fluido, quando è abbastanza lento, risulta “laminare”, cioè il fluido si sposta come se fosse costituito da tante lamine sottili che scorrono l’una sull’altra. Quando il moto del corpo nel fluido è troppo veloce, si definisce “turbolento”, in quanto si formano in modo caotico tanti piccoli vortici e le velocità differiscono notevolmente anche per punti molto vicini e cambiano rapidamente nel tempo. Una opportuna forma dell’oggetto può favorire il moto laminare: la forma a goccia: Il moto laminare è quello che garantisce la minor resistenza all’avanzamento, in più facilita notevolmente lo studio dei fenomeni che caratterizzano la fluidodinamica.

Moto turbolento                                 moto laminare

Se qualcuno avesse dubbi sui vantaggi aerodinamici della forma a goccia, notate bene i coefficienti scritti sotto ad ognuna delle seguenti figure:

Il profilo a goccia dà una resistenza 7 volte inferiore alla sfera!!!

Esiste anche una formula per calcolare approssimativamente la resistenza F dell’aria rispetto ad un corpo:

1/2DAV²

dove D è la densità dell’aria, A è l’area frontale del corpo e V è la velocità.

Come funzionano le ali:

Il principio di funzionamento delle ali può essere ricondotto al teorema di Bernoulli per la fluidodinamica, secondo il quale (per il moto laminare) lungo un alinea di flusso la pressione è inversamente proporzionale al quadrato della velocità. Nella figura in basso sono indicati due profili, uno curvilineo, ed uno piano. Facendo scorrere un fluido su queste superfici si nota che il la linea di fluido che scorre sul profilo superiore deve percorrere più strada, nello stesso tempo, rispetto al profilo inferiore. L’aria è quindi più veloce sopra l’ala ed è minore la pressione dell’aria.

Questa differenza di pressione fa sì che l’ala subisca una spinta verso l’alto detta PORTANZA (la freccia blu).

La freccia rossa indica la resistenza al mezzo.

Rovesciando il profilo (come si è fatto in F1)  si ottiene DEPORTANZA.

Inclinando il profilo aumenta la depressione ed aumenta di conseguenza la deportanza, ma aumenta anche il freno dell’aria (la sezione frontale è maggiore).

Inizialmente questo “inconveniente” venne superato con lo stratagemma delle ali mobili, ma nella F1 moderna, in tempi di ali fisse (o quasi, vedi: Ali che si flettono), è fondamentale trovare il miglior compromesso fra carico deportante e resistenza dell’aria. Dato che le ali servono fondamentalmente in curva, saranno i circuiti più tortuosi a richiedere un maggior carico alare, sacrificando la velocità massima in rettilineo, mentre nei circuiti con i rettifili più lunghi saranno utilizzate ali quasi orizzontali.

Configurazioni alari della F399 rispettivamente a Monte Carlo e a Monza.

Effetto Venturi:

Anche l’effetto Venturi è un’applicazione del teorema di Bernoulli che sfrutta l’accelerazione dell’aria in un condotto ricavato fra l’asfalto ed il fondo vettura.

Il condotto era sigillato perfettamente dalle “minigonne”, le bandelle laterali che, scorrendo lungo le fiancate, impedivano all’aria di entrare nel fondo vettura dai lati.

Dato che la portata (quantità di aria al secondo) dell’aria sotto le fiancate non cambia, l’aria era costretta ad accelerare nel punto di restringimento del condotto, portando ad una diminuzione della pressione che determinava la deportanza.

Era fondamentale quindi garantire il massimo afflusso di aria con moto non turbolento (il teorema di Bernoulli non è più valido per il moto turbolento, si riduce l’efficienza del profilo alare) e il massimo deflusso nella parte posteriore, che avveniva per mezzo di opportuni “estrattori” (condotti a sezione via via più grande.

Nel tentativo di ridurre l’efficienza di tale soluzione la federazione internazionale impose ben presto delle minigonne fisse, non perfettamente aderenti al suolo ed arrivò nell’83 ad introdurre un nuovo fondo piatto in cui l’effetto Venturi era limitato ai soli diffusori (altro nome degli estrattori) posteriori.

Anche il fondo piatto tuttavia non è esente da rischi di “decolli”, basti vedere queste immagini:

Monza ’93

Le Mans ’99

Il Cx delle F1 moderne:

Chi pensa alle F1 come fossero dei Jet con le ruote si sbaglia. Il coefficiente che quantifica la prestazione aerodinamica, il Cx appunto, è molto alto (cioè indica una prestazione pessima!), superiore a quello di una utilitaria, a causa delle ruote scoperte, ma anche delle superfici alari, che si presentano come vere e proprie barriere contro l’aria. Sotto questo aspetto sono eloquenti i 280 Km/h di velocità di punta dell’Hungaroring ed i 360 Km/h di Monza (vedi: Come funzionano le ali).

Perché non ci sono più sorpassi in F1?

E’ la domanda-tormentone che si fa ogni appassionato di questo fantastico sport quando si ritrova a dover assistere ad un Gran Premio nel quale solo qualche fumata ogni tanto (si spera non delle rosse!) rompe la monotonia di un trenino di vetture che si rincorrono senza la possibilità (o la volontà?) di sorpassi da parte dei piloti. In realtà il problema è decisamente vecchio e si può ricondurre alla nascita delle ali, che incrementano la velocità di percorrenza delle curve da parte delle vetture, ma risentono molto della turbolenza di un’eventuale vettura che precede.

La turbolenza generata dalla vettura davanti fa perdere carico sull’ala anteriore della propria vettura, aumentando il sottosterzo in curva, ovvero, la macchina, a parità di velocità rispetto alla macchina davanti, non riesce a mantenersi in traiettoria, tendendo ad allargare con l’anteriore.

Di questo fatto si lamentavano già i piloti degli anni ’70 e 80. Verrebbe allora da chiedersi perché proprio in quegli anni sono state scritte le pagine più belle della Formula 1,con gli epici duelli a suon di sorpassi di Gilles Villeneuve, Arnoux, Senna, Piquet, Alboreto, Mansell, Prost, etc…

In effetti si potrebbe arrivare alla conclusione che quei piloti erano fatti di un’altra pasta, ma in difesa dei piloti odierni, si può obiettare che le monoposto moderne sono molto più spinte, delicate, sono vetture “estreme”, difficili da guidare e con le quali è difficile far risaltare le doti di ogni singolo pilota. La FIA poi, ci ha messo del suo prendendo dei provvedimenti, come la riduzione delle carreggiate e l’introduzione delle gomme scanalate, che di certo se hanno migliorato la situazione dal punto di vista della sicurezza, non hanno certo facilitato il lavoro dei piloti, aumentando l’instabilità delle vetture. I rifornimenti in gara costituiscono inoltre un ulteriore deterrente contro il tentativo di sorpasso, visto che qualche posizione la si può guadagnare al pit stop.

In realtà l’unica via possibile per tornare a vedere sorpassi in F1 su tutte le piste ed in tutte le condizioni sarebbe incrementare il grip (aderenza all’asfalto) meccanico (cioè quello dovuto al lavoro delle ruote, delle sospensioni e del telaio) che facilita i piloti nel controllo della vettura nelle manovre più ardite, e ridurre il grip aerodinamico (quello dovuto alle ali ed al fondo piatto) che  è disturbato dalla vettura che precede.

Magari gli sponsor non sarebbero molto contenti di veder tolti quegli enormi cartelloni pubblicitari che sono le ali odierne, ma probabilmente ritroveremo il gusto delle gare di 30 anni fa, dove era determinante il gioco delle scie e l’astuzia e la perizia dei piloti era esaltata ai massimi livelli.

Ecco cosa succedeva alle F1 senza ali…

Muso alto o muso basso? 

Una delle grandi questioni di fine secolo che hanno animato le menti dei progettisti in F1 è lo “scontro” fra i sostenitori del muso alto, con al primo posto la Ferrari, e quelli del muso basso, con il progettista Mclaren Adrian Newey il primo piano.

Ogni soluzione presenta sia dei vantaggi che degli svantaggi. Per esempio il muso alto, sviluppato all’estremo nella F1-2000 da Rory Byrne, l’ex progettista Benetton che per primo l’aveva introdotto, permette un maggior afflusso di aria “pulita” nel fondo scocca, favorendo l’effetto Venturi (molto limitato, a causa del fondo scalinato, vedi: Come funziona un F1 moderna). Per contro un muso più alto alza il baricentro della vettura, sfavorendone le prestazioni (aumentano il beccheggio ed il rollio), cosa che ha cercato di evitare il Adrian Newey nella Mp4/13 del ’98, abbassando il musetto di molto rispetto alle vetture dello stesso anno e disegnandolo con una particolare sezione a V in modo da permettere comunque un discreto afflusso d’aria nella parte inferiore della vettura.

Nel ’98 e ’99 ha nettamente prevalso la scelta di Newey, con la duplice vittoria della sua monoposto e la tendenza da parte di molti teams ad adeguarsi al muso basso. La Ferrari, però ha proseguito per la sua strada e quest’anno ha con coraggio ulteriormente sviluppato il muso rialzato e scavato nella parte inferiore, in controtendenza rispetto alle altre squadre, riuscendo ad ottenere un netto salto di prestazioni (naturalmente dovuto anche ad altre componenti).

Le sospensioni dell’Arrows A21:

In tema di ricerca aerodinamica estrema, che dà un grande peso anche ai dettagli vale la pena di citare l’Arrows che quest’anno cha presentato la nuova vettura progettata dall’aerodinamico ex Williams Eghbal Hamidy con una soluzione vecchia, ma comunque interessante, dato che nessuna squadra la usava più da anni. si Tratta della sospensione anteriore “pull rod”, ansiché “push rod”, ovvero non c’é più il puntone che preme quando la ruota viene spinta verso l’alto, ma un tirante che svolge la stesa funzione di ammortizzamento appunto in tiraggio.

Senza entrare nel dettaglio basti sapere che un tirante a parità di forza, può essere costruito con un diametro minore rispetto ad un punto. In sostanza all’Arrows si sono messi a progettare una sospensione nuova, difficile da metter a punto con il muso semi-basso che va di moda oggi, solo per guadagnare qualcosa in penetrazione aerodinamica.

Sono impazziti? Le prestazioni, almeno quelle velocistiche, che hanno mostrato fin’ora suggerirebbero proprio di no (anche se ancora una volta, il complesso delle prestazioni dipende da molti fattori).

Ali che si flettono.

Il caso è scoppiato a Suzuka nel ’97 e da allora praticamente non si è più chiuso. Anche in televisione era evidente la flessione dell’alettone anteriore della Ferrari di Michael Schumacher, flessione che avvicinava le paratie laterali dell’ala al suolo, migliorandone il rendimento (maggior effetto Venturi). Naturalmente l’alettone ritornava in posizione corretta a vettura ferma, consentendo alla monoposto di superare le verifiche post gara. Indiscrezioni parlarono di una soluzione simile, proprio nello stesso GP, anche sull’alettone posteriore della Williams di Jacques Villeneuve. Da allora, con l’aumentare delle prove di nuovi materiali deformabili da parte di molte squadre, sono diventate sempre più frequenti le rotture di ali sia durante i test privati che durante le gare, portando la FIA ad imporre dei test di elasticità delle appendici alari (in precedenza il regolamento diceva soltanto che queste dovevano essere rigidamente collegate al corpo vettura, ma non specificava il coefficiente di elasticità dei materiali di costruzione).

Il vantaggio fornito da un’ala deformabile è facilmente intuibile, dato che all’aumentare della velocità la resistenza dell’aria appiattisce l’ala, tendendo a renderla più orizzontale, quindi con una minor resistenza all’avanzamento.

La difficoltà da parte della FIA nel l’imporre dei parametri sta però nel fatto che le appendici alari devono avere una certa elasticità, in modo da assorbire le notevoli vibrazioni causate dagli alti regimi del motore, una eccessiva rigidità infatti causerebbe lo spezzarsi dei supporti degli alettoni.

Il problema della rigidità delle appendici alari è decisamente complesso e rappresenterà probabilmente uno degli sviluppi futuri della ricerca aerodinamica, che oggi si avvale di potenti software di cam-cad e simulazione, prospettando un futuro nel quale le gallerie del vento saranno sostiuite da potenti calcolatori.

p.s i disegni e le foto sono stati acquisiti da vecchie copie di autosprint

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Pubblicato da
Redazione FUnoAT