Ho cominciato a seguire la Formula 1 alla fine del 1987, quando anche solo vincere un Gran Premio, per la Ferrari, era diventata impresa ardua (quell’anno ci fu una bellissima doppietta finale). Una crisi tecnica devastante cominciata negli anni 80, che dopo la parentesi 1989/90, quando il mondiale fu sfiorato (Suzuka 1990 con Senna che sbatte fuori Prost, vendicandosi così dello sgarro subito l’anno prima sempre in Giappone), si risolse solo con l’avvento del Kaiser (Schumacher, già affermato bicampione con la Benetton) e l’arrivo quasi in blocco dell’equipe tecnica (sempre) Benetton. Non so se qualcuno ricordi le disgraziate annate tipo 1992/93 dove la Ferrari arrancava regolarmente nelle retrovie. E, tanto per essere chiari, anche con il campione tedesco a fare miracoli, non si vinse subito il mondiale. Si dovettero attendere 5 stagioni; e, in totale, 21 anni per un mondiale. Un’eternità. Se ci pensiamo bene la storia della Ferrari è costellata di periodi vincenti cui seguono lunghissimi anni di digiuno. Esiste forse un filo comune, in tanti decenni di storia tecnica della Ferrari? Difficile dirlo: regolamenti diversi, piloti diversi, tecnologie differenti. Tuttavia, forse due elementi si possono cercare: la pressione devastante che porta chi è in Ferrari a non dover sbagliare praticamente nulla (sbagliando quindi spesso), e in secondo luogo la mancanza vera di un retroterra culturale/tecnologico, in particolare aerodinamico e telaistico. Aerodinamica e telaio sono imprescindibili in una Formula 1 moderna. Puoi avere un motore potente ed efficiente quanto vuoi, ma se non scarichi bene a terra la potenza di cui dispone, e se non hai un’ auto che fa le curve come sui binari o che non ha una fluidodinamica eccellente, sei destinato a perdere. Ancora oggi la Ferrari pare non avere tecnici, nei settori su indicati, all’altezza. Ricapitoliamo gli ultimi 7/8 anni e vedremo alcune incredibili costanti: monoposto di per se non eccellenti ma neanche da buttare, che però non hanno sostanziali sviluppi durante i gran premi, se si eccettuano alette aggiunte e tolte qua e là. E prima era la galleria del vento, ora aggiornata, e poi la sospensione anteriore, e poi quella posteriore, e poi?
Certo, ci sarebbe da discutere su un regolamento F1 suicida approvato da Montezemolo, che toglieva i test sulla pista (dove la Ferrari aveva ben due circuiti per poter testare la sua vettura) e congelava lo sviluppo tecnico; e perché no, ci sarebbe da discutere su un regolamento (sempre quello) cucito addosso alla Mercedes (che prima non vinceva praticamente mai). E gioverà sempre ricordare l’episodio targato 2013, il famigerato “Pirelli-gate” con le Mercedes divora gomme che con un test illegale fecero ben 1000 km (ricordo bene la sceneggiata dei piloti che su Twitter fingevano di essere in vacanza mentre in realtà, con casco nero, rigorosamente anonimo, provavano le gomme Pirelli). A proposito, come mai nessun grande giornalista fa una domanda in merito a Toto Wolff? Oppure ai dirigenti Pirelli?
Ma andiamo oltre. Questi fatti, seppur utili a comprendere il contesto attuale della Formula 1, non possono assolvere neanche lontanamente la Scuderia più importante del mondo motoristico che, tra l’altro, misteriosamente, a livello politico, in seno alla Fia, pesa praticamente due grammi.
In definitiva, tornando alla crisi Ferrari: manca una chiara capacità di evolvere la monoposto, manca il guizzo tecnico e la lettura del regolamento fra le righe, manca capacità tecnologica innovativa. La monoposto attuale, ad un povero cronista come il sottoscritto, sembra una sommatoria media delle altre, senza infamia e senza lode. Con l’aggravante che è difficilissimo metterla a punto (per ammissione, finalmente, anche di Arrivabene e dei piloti) che fa lavorare malissimo le gomme (delle Pirelli dovremmo parlare diffusamente a parte) e che, ancora una volta, non ha sviluppi telaistici ed aerodinamici degni di tale nome. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole mentre l’ennesima monoposto Ferrari scivola verso la mediocrità. Fate il paio con la capacità innovativa e progettuale della Red Bull. Cosa dovremmo fare, permettetemi la provocazione: comprarla in blocco e dipingerla di rosso? Non funziona, perché sarebbe solo una “toppa” temporanea (finita l’era Schumacher, siamo tornati dove eravamo prima). La Ferrari deve avere una “sua” squadra di tecnici eccellenti cresciuti in casa. Una chimera? Non credo. Basti vedere, appunto, come si sono organizzati i “bibitari” in pochi anni: ammirevole.
Neanche una nuova “epurazione” serve (sempre che le epurazioni servano a qualcosa…). Forse semplicemente tanto polso dentro (squadra) e fuori (rapporti con la Fia) e qualche innesto tecnico di valore (James Key?), cui far crescere attorno telaisti, aerodinamici, progettisti attuali e quelli futuri. Il bello è che gli italiani, in inventiva, non sono secondi a nessuno!
Postilla al veleno. Non me ne voglia, ma mi punge il dubbio che Arrivabene (persona indubbiamente di valore), salutato con gioia all’arrivo da tanti ferraristi, non sia adatto a questa particolare stagione della Ferrari. E a dirla tutta, con le sue ultime esternazioni mi ha fatto rimpiangere Domenicali(!!!). La speranza, flebile, di un irriducibile tifoso di fede ferrarista, è che non passi un altro decennio prima di rivedere una Ferrari campione del mondo di Formula 1. Tuttavia, se dovessi puntare su un cavallo vincente per l’anno prossimo, non sarebbe un cavallo, ma un toro che “ti mette le ali”.
di Mariano Froldi
Presentazione di Mariano
Mi chiamo Mariano Froldi. 44 anni. Giornalista, docente di Storia e
Letteratura, appassionato di tecnologia ed in particolare, nello sport,
di Formula 1 (che seguo avidamente dal 1987). Aggiungete ferrarista,
lettore di Sci-fi, amante del bricolage, della buona pizza, del buon
cibo e delle birre bianche, last but not least, Batman-maniaco.