Io e Ayrton
“Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di
vivere. Sognare è necessario, anche se nel sogno va intravista la realtà. Per
me è uno dei principi della vita”. “Non mi interessa essere paragonato a Fangio
o nessun altro. Io amo correre in macchina e quando lo faccio sono felice”.
“Non esiste curva dove non si possa superare”. In queste frasi, si può capire molto di Ayrton, e del suo carisma.
Del suo sopravvivere alla morte dopo 24 anni. Foscolo aveva ragione.
La letteratura, la memoria, rendono eterni i grandi uomini.
Queste mie parole avranno senso e saranno capite soprattutto da
chi, come me, è un grande appassionato di Formula 1. Questo è il mio ricordo di
Ayrton. Lo scrivo prima di tutto per me stesso. Non si tratta di farne un idolo
o di “santificarlo”. Era un uomo di profonda spiritualità (parlava spesso di
Dio e la sua fede era un elemento centrale della sua vita) che aveva scelto il
rischio come “senso della vita”, animato dal sogno di diventare il più grande
di tutti nello sport motoristico per eccellenza. Figlio di una ricca e potente
famiglia brasiliana scelse il cognome della madre, immagino quasi per pudore.
Personalità complessa e fuori dal comune. Tanto amabile fuori dal Circus quanto
determinato e “feroce” agonisticamente.
Non l’ho mai conosciuto personalmente; non sono mai stato un suo
tifoso, tutt’altro. Perlomeno quando era in vita. Lo sono stato dal momento
della sua morte e lo sono ancora di più oggi, che lui non c’è più, e devo
ammettere che è abbastanza strano.
Il problema è che devo fare ammenda. In qualche modo.
Ammenda di non aver capito, allora, di non aver assaporato
appieno, allora, la grandezza di quello che per intensità e capacità è stato il
più grande pilota della Formula 1 moderna. Come lui solo Schumacher, che
incrociò Senna proprio negli ultimi anni della carriera del brasiliano. Ricordo
che in quell’inizio di mondiale, in quel maledetto 1994, il tedesco 25enne, con
la sua Benetton lo batté nelle prima due gare (ed inducendolo all’errore mi
pare proprio in Brasile) mettendo addosso al tri-campione una pressione enorme,
complice anche una Williams ancora superlativa ma molto difficile da mettere a
punto, essendo stata defraudata, per manifesta superiorità, delle sospensioni
intelligenti che le avevano fatto fare il vuoto nel 1992 e 1993. Il piantone
dello sterzo, modificato su sua richiesta perché aveva poco spazio
nell’abitacolo (Senna come collaudatore era secondo solo ad Alain Prost,
l’arcirivale amato-odiato, maniacali entrambi nel regolare la monoposto in modo
ottimale, arte fondamentale per essere campioni ma che oggi si è quasi del
tutto persa, vedi sconclusionato regolamento di F1) con una saldatura che si
romperà proprio quella maledetta domenica e la sfortuna di quel braccetto della
sospensione anteriore che faranno il resto. Una serie, purtroppo, di maledette
e sfortunate coincidenze. Semmai, proprio defraudate dell’elettronica un pò
tutte le monoposto, oltreché estremamente potenti, erano anche molto
scorbutiche da guidare, e qualche avvisaglia di un possibile dramma già c’era
stata nei primi appuntamenti mondiali. Ma d’altronde erano anni che non moriva
più nessuno in Formula 1 e non ci si aspettava la doppia tragedia di Imola.
Senna mi era, allora, antipatico sino al midollo. Avevo 22 anni e
per me, come per milioni di appassionati tifosi, esisteva solo la Ferrari. Ogni GP era vissuto con un’ansia
spasmodica e ogni ritiro, ogni sconfitta, vissuti quasi come drammi personali.
Contava solo che la Ferrari vincesse. Noi tifosi ferraristi avevamo un conto in
sospeso con lui. Senna aveva buttato fuori Prost, in piena lotta mondiale alla
guida della mitica Ferrari 641 (soprannominata la papera per via del muso
particolare), deliberatamente come egli stesso ammise, nel Gp di Suzuka del
1990. Ha ricostruito dettagliatamente Leo Turrini, uno dei giornalisti che
meglio ha conosciuto il campione brasiliano, nel suo toccante “Senna, in
viaggio con Ayrton”, (Imprimatur editore). Senna rivendicò l’atto estremo con
cui pose fine al sogno iridato di Prost, e della sua Ferrari, a pochi metri dal
via. Lo riteneva un atto di giustizia estrema. Speronò volutamente la Ferrari
dell’arcirivale, partita meglio di lui e andò a finire fuori pista assieme all’odiato
francese. Gli aveva reso pan per focaccia e questa forse fu l’unica grande
macchia della carriera di Ayrton.
L’antefatto fu, come noto, Suzuka 1989. Senna arriva, dopo gli
anni in Lotus, quella bellissima, tutta nera, con lo sponsor “John Player Special”
a lettere dorate, e quella più bruttina gialla, in Mc-Laren nel 1988. E’ uno
specialista delle pole position, ma deve ancora consacrarsi campione. E’ un
anno dominante per quel gioiello tecnologico partorito dal duo Murray/Nichols e
per quel motore turbo, incredibile, progettato dalla Honda. Su 16 gran premi,
15 vinti dai due. Una supremazia imbarazzante. Il Mondiale lo vince finalmente
Senna, che scalza dalla leadership del team Prost, già bi-campione del mondo e
soprannominato “Il professore” per l’estrema perizia di guida e redditività
(quasi impossibile vederlo compiere un errore in gara). Nel 1989 è una
guerra feroce fra i due, si scontrano non solo in pista ma anche mediaticamente
con una franchezza che è struggente, genuina, cristallina se riletta ora,
quando qualsiasi dichiarazione viene filtrata dagli addetti stampa e i piloti
sono sinceri quanto un pappagallo istruito dal padrone.
A Suzuka, penultima gara del Mondiale, ormai una tappa classica e
circuito tosto, al 46 esimo giro, mentre Senna sta rimontando furiosamente su
Prost, partito davanti e meglio (nonostante la pole mostruosa di Ayrton) le due
monoposto si incastrarono letteralmente fra di loro poco prima della chicane,
dopo un rettilineo. Manovra astuta di Prost? Manovra troppo irruenta di Senna
per andare in testa? Entrambe? Ancora oggi ci si interroga, come ci si
interroga sulle discutibili scelte dei commissari FIA che squalificarono Senna,
rientrato in pista da una via di fuga ed aiutato dai commissari presenti in
zona, assegnando matematicamente il titolo a Prost che si era invece ritirato.
Potete capire, dopo il 1990, quale fosse dunque il malanimo di molti di noi. Ma
anche Ayrton aveva vissuto un periodo
nero. La lotta furiosa con Prost e la FIA lo aveva devastato, e lui si era
sentito solo contro tutti. Così, torniamo nel 1994, quando vidi la Williams
schiantarsi sulle barriere ad Imola, davanti al televisore, mi misi ad urlare
come un dannato. Forse saltai pure, pieno di gioia. Ero contento che Senna
fosse subito fuori. La Ferrari avrebbe avuto un’occasione in più per poter
vincere la gara. Tuttavia, dopo pochi minuti, mentre lui non usciva dalla
monoposto, né accennava reazioni, compresi come tutti che qualcosa di terribile
era successo. Solo dopo qualche ora arrivò la certezza ineluttabile. Il pilota
più iconico, rappresentativo, celebrato della Formula Uno se n’era andato. E
tutto il fine settimana era stato segnato dal lutto di Ratzenberger. Il volto
di Senna, in quella domenica, diceva di una nuova imminente tragedia. E sono
ormai note ed acclarate le sue preoccupazioni per la pericolosità delle vie di
fuga
Ripenso spesso con pudore e vergogna a quella mia sciocca
esultanza. Con il filo della memoria ho recuperato tante immagini di Senna che
ora non posso fare a meno di “amare”: i suoi giri perfetti per la pole
position, la sua classe immensa sul bagnato, la sua capacità di guidare ai
limiti anche con un cambio mezzo scassato. Le sue vittorie a Montecarlo. Il suo
duello rusticano con Prost e il loro rapporto di odio-amore e infine dal 1993,
di rispetto reciproco. Tante belle pagine di sport che nessuno potrà portare
via a tutti gli appassionati come il sottoscritto. Quel funerale. Quel
funerale degno di un re, da brividi…con Prost che porta la bara di Senna
assieme agli altri piloti, emozioni tristi ma indimenticabili.
Poi restano la vita di Senna fuori dall’abitacolo, i suoi pensieri
mai banali, e la consapevolezza che Dio vuole presto a se chi più ama…
Io e altri abbiamo avuto la fortuna, negli anni Ottanta, di vedere
veri e proprio titani, cavalieri del rischio, gente che forse non troverai mai
più tutta assieme, di tale fatta da aspirare sempre al massimo, al rischio come
scelta di vita che ti proietta verso l’infinito: Villenueve, Pironi, Senna,
Prost, Piquet, Mansell, Alboreto. Senna è stato il traghettatore dell’ultima
Formula Uno romantica e rischiosa, dove abbiamo pianto terribili lutti e gioie.
Senna ci ha traghettato verso una Formula 1 più sicura (quella di oggi lo è
infinitamente di più), e quasi come un agnello sacrificale (non risulti
blasfemo questo paragone) è morto mentre era il re indiscusso della massima
categoria sportiva automobilistica. Quasi come se la creatura esigesse il
sacrificio del suo indiscusso protagonista. La F1 dopo di lui non è stata più
la stessa, come è inevitabile che accada quando un evento epocale crea un prima
e un dopo. Senna ha lasciato un solco non solo in Brasile, come è facile
immaginare, visto che in lui e nella nazionale di calcio i brasiliani avevano
visto il loro riscatto a livello mondiale, ma anche nella cultura pop.
Basti pensare, fra i tanti tributi, al bellissimo verso di Cesare Cremonini in
marmellata 25 “Ah..da quando Senna non corre più…non è più domenica…”
Dino Zoff, il portierone campionissimo della Juventus e della Nazionale,
grande appassionato di Formula 1, ricorda (dalla prefazione del libro di
Turrini): “Il primo maggio del 1994, quando la sorte gli tagliò la strada a
Imola, io stavo in panchina, allenatore della Lazio, per una partita di
campionato di serie A. Non ricordo assolutamente il risultato: in compenso,
rammento vivissimo il dolore, come per un lutto personale, che provai quando mi
dissero che Ayrton non c’era più. Ed è per questo che anni dopo, trovandomi in
Brasile per ragioni legate al mio mondo, al calcio, mi sono recato al cimitero
di Morumbi. Per dedicargli una preghiera”. Leo Turrini, che ad Imola ha visto
visto Senna e Ratzenberg in obitorio, uguali nella morte, come rammentano
celebri versi di Totò, di recente ha affermato: “Sono passati tanti anni ma è
come se fosse ieri; chiunque ha nel cuore la velocità non riesce a dimenticare
quel tragico week end; prima morì il milite ignoto, poi tocco alla superstar
assoluta. Li ho capito che chiunque si metta al volante di una vettura da gran
premio merita rispetto ed ammirazione. Senna ha lasciato un vuoto incolmato e
incolmabile per una ragione particolare: era insostituibile il suo carisma”.
Sono passati 24 anni e tutti parlano, davvero, ancora di te
Ayrton. Quante cose ci siamo persi, quante gare incredibili se tu fossi rimasto
fra noi, magari guidando una Ferrari (era stato trovato un accordo proprio con
Cesare Fiorio nel 1990 per approdare in Ferrari l’anno successivo ma poi non se
ne fece più nulla). Chissà quale sarebbe stata la tua vita appeso il casco al
chiodo, se ti avremmo visto fare il commentatore. No…troppo banale per uno come
te.
Mi commuovo pensando a te. Come tanti. E mi commuovo, sono uno
sciocco sentimentale lo so, sperando che tu, da lassù, possa dare un aiuto,
una mano al grande Michael affinché
torni alla sua famiglia che da anni sta passando momenti terribili.
Eri semplicemente il più grande. E’ morto il re. Viva il re.
di Mariano Froldi