Formula 1

Fabrizio Tanfani: Il cosmopolita del gusto

Viaggia per il mondo e se ne sente cittadino anche se ogni tanto
torna nella sua Toscana. D’altronde
la sua parlata inconfondibile lo “tradisce” subito. Ama mescolare gusti e
sapori presi dalla natura, recuperare quelli antichi, usare se possibile
prodotti freschi (ripete spesso “a chilometro zero”); prima o poi, anzi più poi
che prima, aprirà un suo locale, ma per ora vuole continuare a fare il
giramondo con il Circus. Ovunque sia
andato ha “assorbito” un pò della cucina locale, tanto che potremo definirlo il
“cosmopolita dei fornelli”.
Non ha messo ancora su’ famiglia, e ammette di soffrire della
sindrome del settimo anno che arriva implacabile. La sua vita è in cucina, dove
si è già preso non poche soddisfazioni, e se gli parli degli chef in
televisione gli viene un travaso di bile perché è convinto (come dargli torto)
che spesso sia tutto finto. E’ il cuoco di
Pirelli Motorsport
in Formula Uno,
un gigante di simpatia che non smetterebbe mai di raccontarti gli aneddoti
della sua vita. Stiamo parlando di Fabrizio
Tanfani
, 36 anni, che oltre a deliziarci con il palato, ci ha concesso
questa intervista esclusiva per i lettori di Formula Uno Analisi Tecnica.
Fabrizio racconta così la sua vocazione,
perché ci vuole eccome la vocazione, gastronomica: “Un po’ nasce perché stavo spesso dalla nonna, anche mia madre cucinava
abbastanza bene. Però probabilmente sarebbe accaduto lo stesso che mi
innamorassi della cucina. Stavo spesso da solo, con gli amici, a 14 anni.
Aprivo il frigo e cominciavo a cucinare. Il primo piatto che ho fatto è stato
scaloppine al limone e nessuno mi ha insegnato a farle. Mi ci sono messo ed è
venuto bene. Così ho capito che c’era qualcosa che legava la salsa. E poi mi è
sempre piaciuto il vino, che non può mai mancare a tavola. Cibo e vino sono
cose collegate
”.
Poi?
Lavoro nella ristorazione
da quando avevo 16 anni. Ho fatto la scuola alberghiera e, non essendo a quei
tempi riconosciuta a livello statale, dalle mie parti si lavorava per le unità
montane dell’Isola d’Elba. La scuola era l’albergo che
durante l’inverno essendo chiuso fungeva da Istituto. D’estate riapriva e noi
studenti andavamo direttamente a lavorare negli alberghi che ci venivano
assegnati. I migliori andavano nei piu belli, mentre gli altri si
accontentavano di quelli meno prestigiosi. Ho iniziato la mia carriera all’Hotel del Golfo, dove per i primi 2
anni ero stagista in cucina
”.
E’ filato tutto liscio?
«Non proprio… al secondo
anno, in cucina, dissi una cosa un “po’ storta” allo chef, in occasione di un
buffet in bella vista. Assaggiai una cozza, grossa, blu e verde, mi sembrava
molto strana. Gli chiesi da dove arrivasse e lui rispose: “Dall’Australia”. “Ma dall’Australia” –
replicai – “Abbiamo cozze eccezzionali tra Genova
e la Sardegna e proprio dall’Australia le facciamo venire?”. Aveva
un sapore ed una consistenza al quanto strana. Lui la prese male e mi fece fare
un mese allo stoccaggio dei prodotti; sinceramente non ho visto un fornello, un
coltello ed una padella, ma fra macelleria e pesce, che arrivava congelato (a
mio malincuore), ho imparato tanto
.”
Chiaccherando a microfoni
spenti in più di un’occasione hai menzionato l’importanza dei prodotti freshi.
Quindi fin da giovanissimo avevi in testa un’idea di una cucina diversa e ben
definita, volendo trattare il prodotto fresco?
«Sì, io cerco sempre un
prodotto fresco che arrivi dal nostro mare o dal nostro entroterra, a
chilometri zero, tenendo in conto che tanti prodotti che ci sono da noi vengono
spesso dimenticati.
Fabrizio non ha fatto solo il cuoco, ma nel
suo “apprendistato” possiamo incontrare: bagnino, cameriere, barista nelle
discoteche. E poi è cominciata la sua carriera di giramondo “gastronomico”. Oltre
a Piombino (dove Fabrizio è nato): Brescia, Svizzera, Spagna
(Andalusia e Catalogna), Francia, Paesi Bassi, Germania, Inghilterra, Usa hanno contribuito a “riempire” il già interessante carniere di
un ragazzo, che una volta  diventato
uomo, ha saputo esprimere al meglio tutti le sua saggezza culinaria.
Cosa ti hanno lasciato
quelle esperienze lavorative?
In Francia la base di tutto sono i brodi, per esempio, utilizzati
anche per fare le salse. Lo spagnolo lo fa forte, come i francesi, noi italiani
invece più delicato perché non vogliamo nascondere il gusto del cibo.
Normalmente per la pasta alla spigola faccio un brodo di spigola, se uso
gamberoni faccio il brodo di gamberoni, non mischio tutto insieme, come fanno
invece francesi e spagnoli. La cucina italiana è una cucina “fusion”, riesce
facilmente ad amalgamarsi con quella di altri paesi e nazioni. Anni fa negli Stati Uniti, a New York e San Francisco
è stato terribile…mangiavano solo hamburger, anche ora però hanno fatto un
bel salto in avanti nel servizio e nella qualità
”.
Quindi, dopo aver appreso
un po’ di qua e un po’ di là, finalmente sei approdato in Formula Uno. Com’è
nata l’opportunità?
“Quando stavo a Brescia,
quindi prima di andare in Spagna e
in Francia, lavoravo per la GP2, solo per 10 gare in estate. Io
avevo chiesto di lavorare al piatto. Si lavorava nel catering, eravamo circa
300 persone”.
.
Poi è arrivata la Formula
Uno con la Pirelli…
“Ero a Brescia,
cucinavo anche per varie famiglie, per cene private, facevo il “personal chef”
quando ancora non era di moda. E lì mi hanno notato. Sono venuto a Barcellona a fare la prova per il
catering della Renault F1 per Briatore, ed ho cucinato solo per gli
ospiti. Il primo giorno avevo 30 ospiti russi, da solo al piatto. Cosa fai ai
russi? Un antipasto buono è la parmigiana di melanzane, fatta “stilosa”: si
apriva e veniva fuori questo fondente di burrata. E poi decisi di fare i
tortelli fatti a mano, con un ragù toscano. Lo guardavano e dicevano “Oh, ragù
alla bolognese”. No, questo è ragù toscano, completamente diverso. Il tortello
toscano è grosso con la pasta fine. Il giorno dopo rifeci il raviolo con
interno di ricotta e spinaci e il rosso dell’uovo. Avevo il tartufo nero, il
bianchetto sopra, spettacolare. Da lì ho cominciato a lavorare per la Formula Uno, nei test. E poi è arrivata
la Pirelli dove adesso sono in
pianta stabile”.
La Formula Uno è un mondo a
se, come si organizza una cucina che deve essere montata e smontata in
continuazione?
Visto gli evidenti problemi
logistici la cosa migliore è partire da un foglio bianco, per poter cosi sfruttare
tutti gli spazi disponibil creando un ambiente di lavoro funzionale, anche
perché è molto difficile fare il nostro servizio; in 45 minuti devi servire 30
persone e noi facciamo tutto espresso. Io non ho niente di precotto, uso
sempre, se possibile, pasta fresca. Se uso quella secca a volte faccio
aspettare anche 10 minuti, però ho un bollitore grande, quindi alla fine riesco
a gestirmela bene.Con l’esperienza abbiamo capito i tempi e perfezionato la
logistica fra zona per impiattare, per cucinare, bollire, stoccaggio prodotti, e
zona per i freschi. Un’altra cosa importante è la squadra con cui lavori. Noi
in Pirelli ci sentiamo tutti
affiatati… io senza di loro non potrei fare niente
”.
Una curiosità. Se hai un
ristorante ti organizzi, qui sei itinerante per il mondo. Quindi quali sono le
difficoltà?
Devi conoscere tutti i
prodotti della zona. Quando scendi dall’aereo, ad esempio in Asia, già senti profumi nell’aria
totalmente diversi. Vegetazione, piante, tutto cambia. Lo stesso quando si gira
per l’Italia. In Toscana c’è un profumo, in Emilia ce n’è un altro. Sono i profumi
dell’aria che ti danno l’ispirazione per i piatti, perché sono i prodotti che,
bene o male, vai a cucinare. Quindi devi adattarti molto al posto in cui vai. Proprio
perché vuoi preservare la freschezza, quando vai in giro per il mondo nei paesi
dove non puoi portare qualcosa, porti la pasta secca, e se hai la possibilità
te la fai da te. Per il resto devi comprare tutto lì
”.
La reperibilità dei
prodotti?
All’inizio era un problema,
però sono sempre stato abbastanza scaltro e non mi sono mai appoggiato ad
altri. Mi è sempre piaciuto avere qualcosa di diverso. Avendo la fortuna di
andare in alberghi rinomati, se potevo andavo in cucina a conoscere lo chef e
da lui mi facevo dare le dritte per i fornitori dei prodotti che volevo. Devo
dire che ho sempre trovato quello che gli altri non avevano. Addirittura in India, dove nessuno aveva il manzo, io
l’ho utilizzato. Costava una “fiammata” ma l’ho trovato… e lo stesso tanti
altri prodotti. Inoltre ero l’unico ad avere il pesce. Gli altri erano tutti “in
paranoia” perché facevano sempre e solo pasta al pomodoro, invece io avevo
trovato tutto. In India ne hai
voglia a dire “non ce l’hanno”, devi cucinare. Il pollo lo puoi fare, hanno
fagioli, tanti ceci, usano tante spezie ed io ho imparato a utilizzarle. Lo
stesso, andando in Asia, trovi pesci
nuovi, gusti nuovi
”.
Una sfida ulteriore è stata
quella di limitare il più possibile l’uso della plastica, soprattutto per le
bottiglie…
Il vetro crea problemi
logistici, la plastica inquina e quindi meno ne utilizzi meglio è. Pirelli e Sant’Anna, che per prima ha brevettato una bottiglia di plastica
biodegradabile, hanno così dato vita ad una collaborazione e il problema è
stato risolto; ora possiamo portare l’acqua italiana ovunque nel mondo
”.
Qualche tuo segreto, prima
di salutarci?
A me non devi togliere
l’olio d’oliva… però è anche vero che che per cucinare utilizzo una qualità
extravergine che non sarà mai come quello che prendi al frantoio, anche se
quello è un olio che va usato solo a crudo, per insalate, pesci o carne”
.
Autori: Alessandro Arcari – @BerrageizF1Mariano Froldi – @MarianoFroldi

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Pubblicato da
Redazione FUnoAT