La questione è semplice, dalla notte dei tempi e fino a non
molto tempo fa si diceva: chi va bene a Barcellona
va bene mediamente dappertutto, insomma ha una vettura competitiva più o meno
tutto l’anno. Una sentenza scolpita nella pietra almeno fino all’inizio
dell’epoca ibrida. In realtà e in buona parte è ancora così, ma è vero che gli
strumenti, soprattutto in riferimento ai programmi di lavoro, sono ormai
totalmente diversi rispetto ad appena sei anni fa. Senza parlare di quando
c’erano i test in pista e non al simulatore. Vecchia storia, anche perché sei
anni in Formula Uno passano alla
velocità della luce, per cui la distanza che ci separa da quel periodo (pieno
di ombre peraltro) sembra infinita.
Un po’ di tempo fa scrissi che la massima categoria del
motore senza una Ferrari
protagonista e, almeno ogni tanto vincente, somigliava sempre di più ad una
bellissima auto, magari piena di accessori innovativi e ultra-tech, ma senza alcun
fascino, senza una storia. Può piacere. Ma non ha memoria. Ferrari in definitiva è la memoria della Formula Uno. E lo è nel bene e nel male s’intende. Quando pensiamo
a chiunque della concorrenza – per lo più inglese- abbia vinto un titolo o
anche solo una gara, pensiamo automaticamente a quale Ferrari fu sconfitta in quel momento e questo, salvo rare
eccezioni, a me pare non possa accadere per nessun’altra attuale presenza.
Venendo al presente, gli sforzi per tornare alla vittoria
dopo anni di indecisioni sul da farsi sono stati enormi, e dobbiamo ricordarci
che la battaglia contro un “mostro da ultimo livello” quale Mercedes non potrà avere mai un esito
scontato. Con una certa leggerezza, mea culpa, ho creduto ad un inizio pieno di
dubbi ingombranti nel lato tecnico anglo-tedesco. Ciò che riesce ancora a
sorprendermi dopo cinque anni è la capacità di “decidere bene”, intendo dal
vertice fino alle scelte di tutti i giorni. E non sto parlando solo e
banalmente di tattiche di gara. Sembrano di un’altra categoria.
Ferrari con Binotto, nonostante la continuità con
il ciclo Marchionne – Arrivabene, molto lentamente ma
gradualmente e inesorabilmente ha innescato un processo di rinnovamento senza
clamori o rivoluzioni brutali. L’obbiettivo più importante è quasi filosofico,
nonostante il direttore sia un tecnico: non illudere e non deludere. Vincere o
perdere ma giocando fino alla fine, tirando fuori dagli uomini a disposizione
più di quello che avrebbero potuto mostrare in condizioni normali. Cominciare
dalla Spagna dove a febbraio la SF90 ha vissuto, come tutti, i primi giorni
ma più belli finora. Purtroppo quando non contava.
Domenica invece conterà tantissimo al di là di ogni
classifica. Tutto quello che può portare in fatto di aggiornamenti, Ferrari avrebbe deciso di portarlo,
alla faccia eventualmente della cautela sul numero di PU annuo. Ben venga provare, dimostrare a chi osserva che il cuore
non manca, anche prendendosi dei rischi. Una Ferrari vincente invece manca, ma ad oggi manca ancora di più rivedere
certe gesta perché chissà, forse solo in qualche occasione, dove non si arriva
con la tecnica, possono arrivare gli uomini.
E i tifosi sapranno apprezzare..
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