Gli ultimi GP della stagione in corso (mi riferisco al Canada, Francia e soprattutto Austria) hanno mostrato chiaramente quanto l’attuale regolamento sia incompatibile con le esigenze televisive e con il pubblico che segue la Formula Uno. Tanto che, ormai, si sta assottigliando sempre di più. Quanto sto per affermare potrà non piacere, perché tocca un argomento, quello del pericolo negli sport, che oggi è diventato, oltre modo, delicato. L’attuale F1, non fa altro che godere della popolarità che è esplosa tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90…epoca citata non casualmente, visto che la televisione iniziava ad entrare prepotente nei salotti di casa nostra (Bernie Ecclestone fiutò l’affare al volo!). A sua volta, tale epoca basava le sue fondamenta su ciò che la F1 era prima, e cioè lotta allo stato puro, con, purtroppo, inevitabili incidenti legati a monoposto e circuiti pericolosi, il più delle volte anche mortali.
La differenza è che, prima, nessuno vedeva queste scene drammatiche, a meno che non si fosse presenti in circuito, senza dimenticare che la stessa scena un conto è immaginarla dopo aver letto la notizia dal quotidiano sportivo, un altro è vederla in diretta. Con l’avvento della televisione, come dicevo, la F1 ha inevitabilmente acquistato popolarità per il semplice motivo che era fruibile ad un pubblico più ampio, rispetto ai soli appassionati, che facevano i salti mortali per cercare di captare filmati o immagini dell’uno o dell’altro GP. Una popolarità che nel corso degli ultimi 20 anni è cresciuta in maniera esponenziale, tanto che la F1 è lo sport più seguito al mondo, seconda solo al calcio.
La domanda che ci dovremmo porre è: grazie a cosa gli appassionati sono aumentati? Come mai sempre più persone si sono avvicinate a questo sport?
Ritengo che la risposta sia alquanto ovvia tanto quanto scontata: il pubblico (quello generalista…anche se naturalmente anche l’appassionato più purista non fa eccezione) vuole vedere le monoposto sfrecciare tra una curva e l’altra, vuole vedere i piloti che lottano tra di loro sorpassandosi, sfidandosi in staccate impossibili, vedere battaglie ruota a ruota e vuole cercare di capire chi cederà per primo…in pratica vorrebbe vedere sempre qualcosa che assomigli al GP d’Austria 2019.Ad inizio anni 90 uscì nelle sale cinematografiche un film (THE PROGRAM) che fece molto discutere l’opinione pubblica. In quel lungometraggio c’è una scena in cui uno dei personaggi (allenatore della squadra di football universitaria) dice al rettore che: “Ottanta mila persone non riempiono uno stadio per vedere un esperimento di chimica!”.
Mi sembra evidente e scontato che l’azione, il movimento (in qualunque attività sportiva) generi attenzione, e quindi emozioni, e poiché l’essere umano è un divoratore di sentimenti non può che affezionarsi ad un sport che non fa altro che creare emozioni continue. La F1, dai suoi albori fino a qualche tempo fa non ha fatto altro che fare questo: generare sentimenti di ogni sorta, grazie alle continue lotte che c’erano in pista. Purtroppo (c’è sempre il trucco) “motor sport is dangerous” come amano dire gli inglesi, ed inevitabilmente questa azione in pista oltre a creare tanto entusiasmo, ha creato anche tanto strazio, a causa delle morti che ci sono state tra i piloti (non a caso definiti cavalieri del rischio).
I piloti del motor sport in generale, e della F1 in particolare sono perfettamente consapevoli e consci del pericolo che corrono. Ne erano consapevoli quelli degli anni ‘30 che al posto del casco avevano un cappuccio di cuoio, e nonostante la consapevolezza di questo pericolo, scendevamo comunque in pista, perché andare a 200 orari in curva non è un mestiere…è una vocazione.
E come un prete sente di dedicare la sua vita a Dio e quindi prende i voti, allo stesso modo, un Fangio, uno Stewart, un Lauda, un Villeneueve (e potrei continuare con un lungo elenco), sono tutti uomini che hanno avuto una unica vocazione: quella di rischiare la vita consapevolmente. Gli spettatori che li guardano lo sanno…ed è proprio questo sentimento che ha contribuito alla fama di questo sport. Con ciò non voglio dire che gli spettatori accendono la tv per vedere incidenti o peggio (anche se purtroppo esistono anche queste persone). Voglio solo rimarcare il fatto che gli appassionati ed i curiosi accendono la tv per vedere i piloti lottare. Naturalmente, se lo si fa a 200 orari, bisogna mettere in conto che ci può scappare l’incidente. Con il passare del tempo, la qualità delle immagini televisive è andata sempre migliorando e con esse sono (per fortuna) migliorate anche le monoposto, sia in termini di performance che soprattutto di sicurezza.
In special modo, dopo la morte di Senna la F1 dedicò sforzi e risorse in maniera importante per raggiungere standard di sicurezza che oggi sono sotto gli occhi di tutti (andate a rivedervi il volo di Alonso nel GPd’Australia del 2016). Purtroppo con il passare del tempo, oltre alla tecnologia è cambiato anche la cultura di approcciarsi a questo sport e inevitabilmente è cambiato il modo di pensare. Si è smarrito il senso della misura, in quanto la sicurezza è stata usata come strumento per rendere la F1 più consona ai tempi che corrono, ovvero il “politically correct”, parola anglofona che oggi tanto piace e che purtroppo mal si sposa con uno sport come quello della massima serie motoristica, che tutto ha, tranne che di essere politicamente corretta.
Purtroppo, chi governa la F1 (sia dal punto di vista politico che commerciale), dall’orecchio buono, proprio non ci sente, e lentamente ed inesorabilmente ha iniziato ad incatenare l’animale, fino a mettergli il giogo al collo e a tenerlo ben imbrigliato, attraverso un regolamento tecnico-sportivo tanto cervellotico quanto al limite del ridicolo. Quello a cui abbiamo assisto nella domenica del GP francese e purtroppo a quello austriaco (paradossalmente per non aver applicato alla lettera, come è stato fatto negli ultimi due appuntamenti, il regolamento stesso) è solo l’ultima di un insieme di idiozie che tendono ad omologare il comportamento dei piloti in pista. Essi possono lottare, solo che devono farlo entro i confini di ciò che impone il regolamento, affinché nessuno si faccia male. Chi viene sorpassato ha diritto ad un solo movimento nel difendersi e guai se sgarra in un secondo moto…venti centimetri…rischia la reprimenda o la sanzione.
Chi sorpassa deve farlo nel limite della pista, e guai se taglia la stessa…è un cattivo esempio per i giovani che guardano. Poi non importa che tra un rettifilo e l’altro c’è un tabellone pubblicitario che ti invita a bere, sebbene responsabilmente. In nome della sicurezza si fa tutto, e non importa se il sabato ti qualifichi con assetto da asciutto e la domenica piove e non puoi modificarlo…il regolamento vieta di farlo. Lo spettatore medio, nel vedere trenini omologati non si pone nessuna domanda…cambia direttamente canale. L’appassionato medio, pur di trovare un briciolo di interesse litiga via social con il suo “collega” su argomenti di ‘giurisdizione sportiva’; l’appassionato puro, l’inossidabile, quello vecchio stampo, segue e piange ripensando alla F1 dei bei tempi che furono.
Ogni pilota che scende in macchina è ben consapevole che rischia la vita, cosi come è consapevole che il collega che ha affianco non è un killer che lo vuole ammazzare, quindi ben venga che siano liberi di lottare, ben venga che facciano quello per cui sono profumatamente pagati: sfissare e regalare emozioni. Le monoposto sulle quali corrono sono solidissime e il pericolo di decesso è stato ridotto al minimo.
Dopo Ayrton, l’unico decesso registrato è stato quello del povero Jules esattamente venti anni dopo, in Giappone. L’ironia della sorte è che il povero ragazzo è morto proprio a causa dell’eccessiva sicurezza e non per una foga eccessiva del giovane pilota o perché la monoposto non ha retto all’urto; tutt’altro. Se quel GP non fosse partito sotto regime di safety car, o comunque, tale regime non fosse durato venti minuti (davvero inutili considerando la situazione in pista), sarebbe finito prima, anticipando quella pioggia torrenziale che si è andata ad abbattere proprio nel finale di gara, con i piloti che non riuscivano a stare in pista e che sono stati costretti a girare lo stesso, in quanto lo spettacolo era già stato “mortificato” all’inizio del GP.
Personalmente penso che la sicurezza, come ho già detto, sia solo uno strumento per poter difendere qualcos’altro, e cioè le coscienze di chi sa che ha sbagliato e, soprattutto, gli interessi di tutto il Circus. Episodi come quello canadese tra Seb e Lewis, negli anni 70 non sarebbe stato nemmeno preso in considerazione come oggetto di investigazione. Sorpassi come quello di Daniel in Francia sarebbe stato preso come una normale situazione di gara. L’atteggiamento di Max visto in Austria sarebbe la normalità se ci fosse, naturalmente, uniformità di giudizio. Invece il politicamente corretto di questo regolamento vuole tutti (dai piloti agli spettatori sul divano) coperti e allineati, tutti omologati e guai ad esagerare.
Ritengo paradossale poter accettare il fatto di assistere ad uno spettacolo come quello di monoposto che sfrecciano in pista e non prendere in considerazione che i piloti si possano far male. Se si vuole questo allora è meglio che tutti cambino canale oppure, meglio ancora, cambino sport!
La chiave, il successo di questo sport è rimettere ‘l’uomo’ al centro dell’attenzione. E’ l’uomo che deve fare la differenza e non la macchina. Se una monoposto è mediamente più veloce di tutta la concorrenza di oltre mezzo secondo al giro, anche a causa di un regolamento tecnico che limita nello sviluppo, non si fa altro che mortificare il talento (l’uomo!) che c’è in pista e quindi lo spettacolo. Se poi si aggiunge un regolamento sportivo che governa e condiziona il comportamento in pista, allora possiamo dichiarare morta ogni tipo emozione.
Un regolamento tecnico/sportivo (per qualunque disciplina) è si necessario, e ovviamente deve essere rispettato, solo che non può essere usato come scudo per difendere la coscienza e gli interessi di chi governa. Il vero regolamento della F1, l’unico che dovrebbe essere rispettato sempre alla lettera è quello delle emozioni, perché solo quello conta..la passione che i nostri beniamini sanno regalarci ogni domenica quando corrono, se possono…liberi.
Autore: VitoQuaranta – @quaranta_vitoFoto: Red Bull – FIA