Max Verstappen è indubbiamente l’uomo del momento; tolta la supremazia che Hamilton e Mercedes stanno (ancora una volta) esercitando su questa stagione, dietro c’è un solo avversario e risponde proprio al nome dell’olandese.
La sua crescita in ambito di solidità è stata impressionante durante il 2019: Mad Max ha perso quella pazzia espressa dal suo soprannome, a beneficio di una concretezza figlia di un’inedita maturità nella condotta di gara. Niente più colpi di testa o mosse da lotteria, concepite nell’istante vissuto, stile “O tutto o niente”: Verstappen ormai si muove e ragiona dentro il respiro più ampio della durata di una corsa. Certamente, la sua aggressività è rimasta intatta, zero timori per la lotta che, al contrario, brama e in cui si infila con la grinta che abbiamo imparato a conoscere e che tanti appassionati amano. L’istinto e la sua potenza straripante, però, ora sono filtrati dalla testa, dal ragionamento, dall’ottica d’insieme che un pilota deve avere per capitalizzare il proprio lavoro e quello del team. Un mix letale che lo sta proiettando a velocità supersonica verso i grandi nomi di questo sport.
Il tallone d’Achille di Max Verstappen, però resta la mancanza d’umiltà. Lo so, probabilmente starete pensando che sono una che si attacca alle parole per muovere una critica, che alla fine i risultati di Max sono lì dimostrare la sua eccelsa qualità e al diavolo tutto il resto! In realtà, però, io credo che l’approccio e la considerazione di se stessi, facciano molto nello sport così come nella vita e che un‘eccessiva autostima possa anche essere una trappola. Sia chiaro, la stoffa dell’olandesino è indiscutibile e di primissimo livello, ma quanto gli può far bene continuare a “cantarsela e suonarsela”, soprattutto alla lunga?
Il suo entourage è parte integrante della faccenda, basti leggere le recenti dichiarazioni di babbo Jos: “A vedere ciò che Max fa in pista, credo che nessuno dovrebbe essere sorpreso, semplicemente penso sia l’inizio di una nuova era in F1: lui ed Honda, se tutto andrà bene, domineranno per quattro o cinque anni”. Ora, chapeau ad Honda che sta tornando ad esprimersi al meglio archiviando il disastro con McLaren, elemento di certo fondamentale nei risultati di Verstappen, ma una comunicazione del genere quanto fa crescere un pilota? A ciò uniamo che in Red Bull si è puntato esclusivamente su di lui, tanto che Max, davanti al cambio Gasly-Albon, dice che nemmeno gli interessa più di tanto chi ci sia al suo fianco. Non solo, rincara la dose così: “La maggioranza dei piloti arriva in F1 a 21-22 anni”, Max approdò alla massima serie nel 2015 sedicenne, un record molto discusso, “se guardiamo chi ci corre attualmente, non credo ci siano piloti completi come me, anche se hanno 29-30 anni”. A chi gli fa notare il diverso atteggiamento in pista di quest’anno, risponde: “In realtà faccio le stesse cose di sempre, se all’improvviso cambiassi, sarebbe come affermare che prima sbagliavo, cosa che non penso affatto”.
C’è chi crede che questa condotta sia finalizzata al mettere pressione ad Hamilton, facendogli percepire il nuovo che avanza senza paura: peccato che stiamo parlando di un cinque volte campione del mondo che, per giunta, proprio sul porsi mediatamente non ha da imparare da nessuno, visto come da sempre li usa a proprio piacimento con una naturalezza disarmante, plasmandoli al suo personaggio. Sinceramente, ammesso che questa teoria abbia fondamento, credo che un attacco sul fronte delle dichiarazioni nascerebbe già perdente, oltretutto sfiorando il ridicolo, sia perché Hamilton non soffre minimamente questo approccio e sa rispondere, poi si andrebbero ad opporre parole, seppur molto aggressive e smaliziate, a cinque iridi che pesano più di qualunque frase bellicosa o autocelebrativa. Se veramente Max e la sua claque affronteranno con questa forma mentis la continuazione della carriera in F1, rischiano, paradossalmente, di non far esprimere appieno tutto quel talento che tanto vanno decantando (e che, cristallino, esiste indubbiamente, lo ribadisco). Le capacità, specie di un giovane, e non importa che abbia già tanta esperienza, vanno formate, accresciute, valorizzate attraverso l’umiltà, che si esercita senza proclami d’essere i migliori, ma ammettendo i propri errori presenti e passati, focalizzandosi sui punti deboli come priorità del lavoro su se stessi e rispettando, ovviamente s’intende fuori dalle battaglie in pista, i gradi che il palmares, cosa più concreta e meritoria nello sport non esiste, impone. Si può avere tutta la bravura del mondo e anche vincere, ma alla fine si diventa grandi e si resiste ai vertici per anni, solo armonizzando la crescita di pilota con quella a livello umano.
Charles Leclerc, che per capacità innate, percorso ed età è la persona più paragonabile a Max, lo sta facendo: più volte davanti ad un errore, ha dichiarato senza filtri e anche con severità, fosse responsabilità sua. Non l’ho mai sentito lodarsi smodatamente nemmeno quando dominava in GP3 e F2, al contrario usa una visione costruttiva, godendo sì di un momento positivo, ma contestualizzandolo, attraverso un’analisi che non mette mai se stesso al centro di tutto e che coglie ogni piccolo accadimento per imparare. Ma lo fai se pensi di avere qualcosa d’apprendere, non se credi d’aver sempre fatto tutto giusto…
Occhio, quindi, per il futuro a lunga scadenza: questo tasto, ora all’apparenza solo teorico, potrà essere una discriminante rischiosa per Max se non impara a mettersi in discussione in un modo sano e obiettivo, soprattutto quando anche piccole sottigliezze potranno fare la differenza nella lotta per laurearsi Campione del mondo e mantenersi, visti i tanni anni che ha davanti a sé in F1, vincente a lungo.
Autore: Elisa Rubertelli – @Nerys_
Foto: Red Bull, Max Verstappen