Col Gran Premio di Monza si è chiuso il secondo terzo del campionato mondiale 2019. Il back to back post pausa ha consegnato alla Formula Uno un nuovo eroe, quel Charles Leclerc che, da solo, è stato in grado di risollevare (parzialmente) la stagione storta della Ferrari che in inverno sembrava essere, a detta di molti, la principale pretendente per il titolo mondiale. La doppia vittoria del monegasco è stata una calda ventata che ha portato un salvifico rinnovamento in un mondo che si stava stancamente assuefacendo al quasi totale monopolio della Mercedes che, d’un tratto, si scopre essere non più un dominus tecnico. Questo impetuoso refolo ci ha riconsegnato anche un Verstappen tornato ad essere eccessivamente arrembante e che ha decisamente frenato quella rincorsa alla piazza d’onore che sembrava incontrastabile dopo i trionfi in Austria e Germania.
Tra le cose immutabili, invece, troviamo la situazione in seno al team campione del mondo: Hamilton, seppure a secco di affermazioni nelle ultime due gare, continua, nelle prestazioni, a randellare Bottas che strappa un piazzamento solo grazie all’errore del britannico. Topica figlia, probabilmente, della volontà di spiegare al ragazzino rosso che la F1 ha ancora un leader manifesto. Che, a questo giro, ha però dovuto inchinarsi al nuovo che avanza.
Sono 63 le lunghezze tra i due portacolori della Stella a Tre Punte. Praticamente lo stesso distacco che si segnava dopo la cavalcata magiara di Lewis Hamilton. 63 punti ma due gare in meno da disputare. Con 182 punti in palio (giri veloci compresi) Bottas dovrebbe rendersi protagonista di una progressione fuori dal normale che andrebbe favorita da una contestuale e decisa frenata di un Hamilton che, osservando le prestazioni in pista, sembra tutt’altro che appagato.
A Monza il finlandese ha sprecato un’occasione. Gli errori di Lewis sono eventi rari. In Brianza, dopo il lungo alla Prima Variante con annessa posizione persa, Valtteri aveva il dovere di provare a sopravanzare un Leclerc condizionato dalla bandiera bianconera e “graziato” anche successivamente per il taglio della chicane in fondo alla rettilineo di partenza. Bottas godeva di un passo gara migliore ma, messosi a seguire da presso la SF90, ha commesso, in una manciata di giri, più sbavature di quelle messe insieme negli ultimi week end iridati. Al finnico è mancata la precisione di guida e, probabilmente, la fame di vittoria. Quella scintilla che, scoccando, avrebbe fatto incendiare la voglia di mondiale. Che pare non avere.
Valtteri è a secco da Baku, appuntamento numero quattro della stagione agonistica. Tanto tempo. Troppo tempo. Un digiuno associato ad un declivio prestazionale marchiano di cui lo stesso pilota è l’unico reo. Non si sono verificati problemi tecnici di sorta, la W10 è stata il solito orologio atomico. E’ Bottas che, forse distratto da un rinnovo che pareva non arrivare e che, molto a sorpresa, è stato siglato proprio alla vigilia del Belgio, ha preso a guidare senza mordente, condendo le sue prestazioni da errori non forzati come quello del GP di Germania. Altro evento chiave, quello di Hockenheim, che ha sancito una manifesta mollezza generale nel replicare alle prestazioni offerte dal compagno di squadra. Dieci gare senza salire sul gradino più alto del podio: un delitto. E se la W10, fino al Gp di Francia compreso non aveva lasciato per strada neanche le briciole, ora sembra essere più vulnerabile, maggiormente attaccabile. I trend parlano chiaro: nonostante in gara abbia sempre dimostrato un passo forse inarrivabile per le altre, la vettura progettata in quel di Brackley ha vinto “solo” il 33% delle volte negli ultimi sei appuntamenti iridati. Un dato che racconta di un netto calo se confrontato al 100% di primi posti ottenuti dall’Australia al Paul Ricard.
La Mercedes sta dunque attraversando, come comprensibile, una fase di appiattimento prestazionale. Red Bull e Ferrari si sono fatte più vicine ed hanno cominciato a metter pressione ai campioni in carica. Che ultimamente, sia con i due piloti che al muretto, qualche errore di troppo l’hanno commesso. Se prima, quindi, Bottas aveva nel solo Hamilton la preda da catturare (e sicuramente l’opera appariva improba) ora gli avversari sono molteplici: Verstappen che non ha abbandonato l’idea di chiudere al secondo posto; Leclerc lanciato alla velocità di un missile terra aria in forza dei 50 punti ottenuti nel back to back che gli consentono di mettersi alle spalle il compagno di squadra. E anche lo stesso Vettel che, reduce da una GP di Monza disastroso per l’ennesimo errore gratuito in una stagione nera come la pece, ha voglia di dimostrare a se stesso, al suo team e al mondo intero di essere ancora quel pilota capace di vincere titoli e Gran Premi a raffica.
La seconda fase del mondiale non è, dunque, un sistema di forze bipolare. Si tratta di un vero e proprio multipartitismo nel quale diversi soggetti, supportati da mezzi tecnici al zenit dello sviluppo, sgomitano per un posto di rilievo. Hamilton, nel suo viaggio verso l’imminente sesto titolo, ha quindi più di un alleato esogeno: più interpreti si rubano vicendevolmente punti mondiale, più la quota del titolo si abbasserà. E minori saranno le possibilità per Bottas di provare a rendere avvincente le sette gare che mancano da qua ad Abu Dhabi.
Inutile perdersi in perifrasi. La domanda è molto semplice: cosa vuole essere Valtteri Bottas? Un pilota capace di lottare per il titolo o un guardaspalle fidato, con pochi guizzi e piegato a più alte ragion di Stato? Questa che si avvia alla conclusione è la terza annata del finlandese in Mercedes. Se un primo anno di apprendistato è comprensibile, meno giustificabile è la condotta degli ultimi due anni. Nel 2018, dopo una partenza buona, c’è stato un crollo verticale, imponderabile, a tratti grottesco. La W09 non era una vettura dominate, questo va sottolineato a chiare lettere, ed è servito un sontuoso Hamilton per aver ragione di una Ferrari fortissima per quasi due terzi di campionato, ma il quinto posto finale di Bottas, con l’aggravante di zero vittorie nel casellario personale, è un conseguimento che si fa fatica a giustificare. Quest’anno le cose vanno meglio se osserviamo la classifica, ma, già dopo Montecarlo, era evidente che l’ex Williams potesse iniziare a replicare la medesima parabola discendente sulla quale s’era incamminato l’anno precedente.
Posto che, in questa fase storica, Hamilton è il peggior compagno di squadra che si possa desiderare, è un’evidenza cogente che Bottas non abbia quasi mai saputo sfruttare a proprio vantaggio una defaillance del talento di Stevenage. Ogni qualvolta il fato ha presentato una chance su un piatto d’argento, il “boscaiolo” ha reagito quasi sprezzante del dono, gettando alle ortiche l’inattesa possibilità offertagli. Perchè la F1, come la vita, è fatta di attimi che, se colti, possono indirizzare esiti che parevano esser scontati: partenze errate che hanno vanificato sabati eccellenti, passi gara troppo blandi per essere utili nel tenere a bada il martello inglese, errori piccoli (Monza) o grandi (Germania) nel giorno in cui il 44 paga amaro dazio alla sua sete di gloria hanno allontanato inesorabilmente il pilota di Nastola dal ruolo di pretendente al titolo che si era costruito, a fatica, nell’abbrivio di stagione. Quella sete di gloria che sembra mai sopirsi in Hamilton. E che pare essere prorompente nei nuovi fenomeni Verstappen e Leclerc che, a suon di staccate, sorpassi e chiusure al fulmicotone, stanno provando ad insidiare il regno di Luigi V. Anzi, VI.
Forse Bottas è stato riconfermato proprio per questo? Forse Mercedes cercava un fido e domo scudiero? Forse Hamilton ha spinto affinché non avesse fastidi interni per poter lottare a mente più sgombra contro le nuove ad arrembanti leve? Con un 2020 alle porte nel quale i valori delle forze in campo potrebbero essere più vicini (diffido dall’idea di una Mercedes nuovamente così dominante; Ferrari e Red Bull hanno compreso come accorciare sensibilmente il gap) Toto Wolff potrebbe aver capito che l’attacco a una punta è più remunerativo di uno schema bicefalo che potrebbe sottrarre vicendevolmente punti, forze, energie.
A Bottas dimostrare che questa lettura è errata. Finora non ha saputo farlo. Riuscirà ad invertire la rotta? Riuscirà a dimostrare di non essere un secondo per indole? Perchè così, Valtteri, proprio non può continuare.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Stefano Arcari – Andrea Lorenzina
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Bottas è un pilota forte. il suo problema è che corre accanto a Hamilton che non molla mai.
Comunque leggo sempre con piacere questa rubrica.
Innanzitutto grazie per la fedeltà.
Su Bottas concordo col tuo pensiero: tenere testa ad un cavallo di razza come Hamilton non è semplice. Ma riscontro anche un certo rilassamento nel pilota che pare non voglia mai cogliere le occasioni che gli si presentano. Ormai è una cosa ciclica.