Vettel lo sapeva, ne era certo. Sentiva che la sua Singapore non lo avrebbe tradito un’altra volta. Gli avrebbe riservato l’abbraccio sfavillante delle luci, la corroborante sensazione della vittoria. Vettel ne aveva bisogno. Qui e ora. Non poteva più rimandare l’appuntamento con il successo. Non poteva più attendere per ritrovare se stesso. Un trionfo per salvarsi. Una lunga notte per raccontare una meravigliosa storia di riscatto, da inventare momento per momento attraverso miriadi di parole, vergate da ogni singola traiettoria, impresse sull’asfalto dall’inchiostro di gomme che non avrebbero potuto cancellare nessun errore. Sebastian come Sherazad, artefice del proprio destino, inizia a narrare la favola del tanto atteso ritorno.
Vettel arriva a Singapore con il cuore spezzato, ancora ferito dall’umiliazione di Monza, ancora stordito dalla violento ritornello dei fischi. Un fiasco totale rimediato proprio mentre l’altro riempiva la botte con un vino d’annata, profeta in una patria che da troppo tempo non era stata espugnata. Il nuovo principe di Maranello ruba la scena, genera entusiasmo, mette tutti d’accordo. Sebastian invece si fa fuori da solo, innesca critiche, fomenta il livore dei facinorosi. Fuoco sacro e fiamme dell’inferno per i due piloti, in un antitesi creata ad arte per disegnare un antagonismo fintamente esasperato.
Un momento duro per Vettel, eroe decaduto, declassato al rango di seconda guida. Qualche voce fuori dal coro in mezzo alla fauna sempre ben nutrita degli sciacalli, sussurri lievi che non possono contrastare chi grida e chi irride con il proprio canto di guerra. Sebastian, tuttavia, non si lascia abbattere e rinnova il suo giuramento, dichiarando amore eterno alla Ferrari, esternando la sua totale dedizione. Il cuore del tedesco non si arresta, anzi si appresta a preparare un’altra battaglia. Per farlo non affila le armi, ma si affida alla leggerezza delle parole. Fogli leggiadri come ali di farfalla che recano impressi pensieri delicati, dedicati, ammirati. Ambasciatori di pace, forieri di rispetto e di affetto. Grazie a tifosi che, da tutto il mondo, recapitano messaggi d’incoraggiamento per il loro beniamino. Il tedesco li legge, e ne trae una forza speciale.
Marina Bay è l’incanto delle luci che sciolgono il loro riverbero nel mare, tremando timidamente al tocco dell’acqua che le trasfigura, rendendole simili a sogni, a brandelli di stelle cadenti in cui riporre lo scrigno di un desiderio. Il desiderio di Vettel è quello di poter vincere finalmente. La sera del sabato però riserva ancora le sue faville a Charles, che dal suo firmamento ha disegnato una pole più veloce della luce. Non è bastata la rabbia del suo piede, non è bastata la grinta trasmessa al volante dalle mani rapide e precise: Sebastian firma solo un terzo tempo che pare il presagio a una nuova, ripetuta condanna.
Il cavallino argenteo impresso sul casco di Vettel scintilla nella notte, ammiccando al caleidoscopio di stelle riflesso sui bagliori del metallo. La visiera trasparente fa da sipario agli occhi concentrati su di un punto fisso, che allontanano le seducenti distrazioni offerte da corpi e colori. Sebastian si prepara a partire isolandosi dal mondo che lo circonda, sguardo attento solo in direzione delle luci del semaforo. La gara, dopo la consueta bagarre dello start, inizia a cristallizzarsi nell’attesa.
Venti giri dissolti in un’andatura lenta, incapace di regalare un sussulto. Poi la sosta, il lungo transito nella corsia dei box, l’accordo perfetto dei meccanici, l’istante sublime del rientro in pista. Vettel capisce che tutto si decide nella danza frenetica di un singolo giro da percorrere all’impazzata. Si butta a capofitto sul tracciato, corre e rincorre. Un tempo, una magia, un destino. Il desiderio, inconfessabile e insperato, si realizza. Sebastian è il primo tra i piloti del gruppo di testa. Davanti a sé le ombre di vetture più lente, su differenti strategie. Le passa una ad una con l’impeto determinato di una lucida follia. Ogni azione diventa emozione.
L’arrivo in vetta ha il sapore mistico della redenzione. In seguito altre prove, altri attimi di tensione: la profusione di safety car, l’intenzione mai doma di Charles, che non vuole accontentarsi di essere secondo. Ma Vettel è più forte di tutto nella notte di Singapore. Non concede il fianco, non cede all’errore. Conquista la vittoria e continua a raccontare la sua fantastica storia. Lo fa senza cantare, attraverso un composto ringraziamento. Lo fa senza esagerare, con la lentezza soave di chi assapora un momento. Sul gradino più alto del podio quasi non si muove, ma si commuove. Occhi liquidi inumiditi da lacrime intense, dolci e amare, che battezzano il ritorno di un campione.
Mentre le note dell’inno italiano iniziano a risuonare, Sebastian sventola la sua bandiera: un vessillo bianco con la scritta #EssereFerrari. Perché per Vettel Maranello è casa, è causa, è conseguenza. Perché Vettel è Ferrari. Come la Rossa sbaglia e appassiona, palpita e scalpita. Fa arrabbiare, ma, nonostante tutto, riesce a farsi amare.
Autore: Veronica Vesco
Foto: Ferrari