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Binotto funambolo tra Charles e Seb

Binotto e la Ferrari. Un binomio che si esprime attraverso un’alchimia nascosta, corrisposta, seppure qualche volta indecifrabile. Un sodalizio antico che è parte della storia, che nel presente vorrebbe significare gloria. Invece la cronaca spesso ci riporta le trame di un complicato rebus, difficile da decifrare, di un’intricata matassa, complicata da sbrogliare. Il rischio è quello di perdere il filo, di non riuscire a tenere le redini di un Cavallino sempre più scalpitante, ingombrante, strabordante. Di eventi e di talenti.

La natura di Binotto è riflessiva, la sua indole è quieta. Risoluto quanto basta, mai polemico, lontano dagli eccessi. Si mantiene a debita distanza, non cerca la frase ad effetto, non punta ad esasperare il difetto. Parla in maniera misurata, con l’imperturbabilità tipica di chi sa esercitare il controllo, ma non sente la necessità di ostentare il privilegio dato della sua posizione. Pacato, certo, ma capace di farsi rispettare. Nell’universo sempre più mediatico della Formula Uno, il team principal della Ferrari si distingue per sobrietà e per trasparenza. Un’evidenza che crea talvolta un impatto stridente con il dictat della dissimulazione, arte di cui Toto Wolff è indiscutibile maestro.

Sebastian Vettel, Mattia Binotto e Charles Leclerc

Binotto è calmo e razionale. Non fa proclami e non cerca scuse. Semplicemente si esprime, esternando pensieri e parole che rispecchiano pienamente la sua visione dei fatti. Non fa eccezione il commento a caldo, rilasciato dopo il clamoroso risultato del Giappone. Un’opinione controversa, che offre una visione dei fatti quasi lapidaria. Mattia, ammettendo che Leclerc è stato condizionato in partenza, a suo avviso, dall’errore di Vettel, sembra buttare benzina sul fuoco. E, trattandosi di Ferrari, i tizzoni sono sempre ardenti, pronti ad infiammarsi per ogni parola sbilanciata, travisata, mal interpretata.

Binotto tuttavia ha voluto sottolineare questo aspetto, ma il suo intento, siamo certi, non era volto a colpevolizzare i piloti. Non si trattava propriamente di un rimprovero per la quasi falsa partenza di Sebastian, e neppure di un’ammonizione per un Charles troppo concentrato a marcare il compagno. Le speculazioni vengono create a posteriori, sulla base di supposizioni abilmente trasformate in certezze a seconda dell’opinione in voga al momento. Si è trattato piuttosto di rimarcare come spesso un singola circostanza determini una catena di eventi imprevisti, dalle conseguenze spiacevoli. E anche un sussulto può generare qualcosa di devastante quanto un terremoto, nella concitazione estrema del via.

Purtroppo una dichiarazione simile, in questo particolare momento, altro non fa che compromettere il delicato equilibrio che si cerca di ricostruire dopo ogni gran premio in casa Ferrari. La Rossa, tornata prepotentemente quanto sorprendentemente competitiva, rischia paradossalmente di creare più problemi rispetto alla monoposto sgraziata, dai risultati altalenanti, che ha deambulato lungo i tracciati nella prima parte del mondiale. Una vettura in grado di vincere è un abito troppo stretto per due piloti entrambi motivati e (pre)destinati al successo. La coperta rimane troppo corta e un po’ di freddo inizia a farsi sentire.

Mattia Binotto, team principal Scuderia Ferrari

Mattia Binotto, a metà strada tra padre comprensivo e padrone della baracca, deve agire di volta in volta da mediatore, da paciere, da motivatore. Tra rimproveri e lodi, osservazioni e apprezzamenti, prova a contenere l’esuberanza dei propri piloti. Raramente accigliato, più spesso analitico, l’ingegnere Reggiano si districa abilmente tra le domande tranello rinnovate senza posa dai giornalisti in cerca di materiale che scotta. Ma allo stesso tempo si offre senza bisogno di autocensura, certo di percorrere la strada giusta. Perché probabilmente, al di là di una sana rivalità e di un’attitudine diversa dovuta alla distanza anagrafica, le frizioni tra Charles e Sebastian non sono ancora così gravi come spesso si tende a far credere.

I due Ferraristi infatti rappresentano una feconda fonte d’ispirazione, una sorgente da cui l’acqua della polemica può sgorgare copiosa. Quasi amici? Non proprio. Nemici dichiarati? Nemmeno. Sono solo due compagni, che riescono a convivere abbastanza pacificamente, dispensandosi vicendevoli sorrisi fino al momento di scendere in pista. Pista nella quale si innesca sì una rivalità, ma che è la logica conseguenza dell’essere piloti. Entrambi al vertice, entrambi talentuosi, entrambi, seppur diversamente, bisognosi di affermarsi con questa Ferrari.

Charles Leclerc, Mattia Binotto e Sebastian Vettel

Binotto lo sa e lo capisce meglio di noi. Perfino quando il muretto sembra perdere la bussola, perfino quando i due volpacchiotti ricorrono a qualsiasi più o meno lecito espediente per prevalere l’uno sull’altro. La situazione è indubbiamente calda, ma non sul punto di esplodere come abitualmente ci viene raccontato. La verità è un’altra: Charles e Sebastian si stimolano e si migliorano a vicenda. Difficile a credersi, eppure è l’unica evidenza. Vettel, dopo anni vissuti nella convinzione di essere il capitano indiscusso, oggi è costretto a dare il meglio di sé per sopravanzare un ragazzino dannatamente veloce. La pole di domenica ne rappresenta una meravigliosa testimonianza. Leclerc, da parte sua, con le sei partenze al palo e le due caparbie vittorie, mostra una maturità grandiosa e un’abilità spettacolare.

Pazienza per l’esito nefasto della trasferta giapponese, l’ennesimo fantasma da infilare nella lunga lista nera del Sol Levante. Binotto è già pronto a indirizzare il suo pensiero verso il Messico, a canalizzare le sue energie verso un nuovo traguardo. Dietro agli occhiali sferici lo sguardo è diviso a metà. Tra la carezza dolce degli occhi, che abbracciano i suoi ragazzi terribili e l’espressione severa che contempla e analizza ogni possibile scenario. Di pace armata, di tregua, di bellicosi intenti.

Ma Mattia, il gigante buono della Ferrari, ha le redini salde in pugno e le risorse giuste per non farsi disarcionare, nonostante la folle velocità della corsa a cui sta prendendo parte. Il resto sono solo fantasie che galoppano al ritmo scalmanato di migliaia di click. E forse, a volte, davvero servirebbe un ippogrifo, in grado di andare sulla luna a recuperare il senno perduto da molti, che cercano soltanto qualcosa di cui sparlare.

Autore: Veronica Vesco

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