Formula 1

La “cucaracha” del campione.

La “cucaracha” del campione. 


La ‘cucaracha’ ha più versioni, oltre a quella dello scarafaggio, quella che a me piace di più si riferisce alla vettura del comandante messicano Pancho Villa, la quale aveva si qualche problema, ma con cui si dice viaggiasse spesso col braccio di fuori per guidare i contadini rivoluzionari. In effetti, in Messico si può descrivere la W10 come una monoposto, sulla carta, con qualche seria problematica (cooling), ma che alla fine vince con un grande trascinatore, Lewis, canticchiando sarcasticamente la cucaracha

E col braccio di fuori. La cucaracha del quasi Esa-campione. Siamo in Messico a 2300 metri di altitudine e la W10, ampiamente campione, soffre, non di vertigini. La macchina, quando ha certi limiti non può esprimersi al meglio, non può girare forte. Un po’ quello che è successo in Austria. Ricorderete il passo scadente di Lewis e Bottas. E anche lì, se ricordate, la Hard è stato il compound da gara. D’altra parte, nel 2019 non c’è stata una vettura buona per tutte le stagioni. Su questo ogni gran premio competitivo aumenta il rammarico per una stagione che poteva essere così, diciamo lunatica, dall’inizio. Quindi entusiasmante. 

Lewis Hamilton, durante il Gran Premio del Messico 2019

Perché parlo dei problemi Mercedes se ha vinto con un grande passo? 

Perché Ferrari non riesce mai a sfruttare i punti deboli dell’avversario. Se c’era un modo per vincere era tenerli dietro, nel traffico, mettendoli fortemente in crisi con le temperature. Ma perché quasi nessuno, a parte Leclerc, Albon e le Toro Rosso ha usato l’aggressività della strategia sulla carta più rapida? Mentre, buttare un occhio su Ricciardo che faceva solo tempi green ogni volta che poteva e soprattutto su Verstappen che volava, mi sembrava scontato. Devo sottolineare, per questo, anche l’errore di Red Bull, che i dati li aveva persino in casa. Ma lì sapevano di dover provare qualcos’altro… 

Ferrari doveva solo marcare bene come uno stopper. Nelle strategie al simulatore non è possibile calcolare breaks management, fuel saving o il traffico. Sono solo alcuni dei problemi da gestire. Sono sempre indicative le strategie; oggi non puoi più fare per esempio 25 giri da qualifica. E l’esperienza conta. Vedi Vettel sulla chiamata box. L’altra questione, che è persino più grave della prima scelta: perché non evitare il traffico a Sebastian con la pressione di Lewis mettendolo sulle Hard!? In modo da anticipare e marcare completamente l’inglese?

Sebastian Vettel, durante la sosta ai box nel Gran Premio del Messico 2019

Mercedes sapeva di non poter sorpassare ma di avere passo, sì. Con la tattica più annunciata e la “porta” lasciata aperta dal muretto rosso, che porta Lewis in serenità al comando e ci rimane. Mi lascia molto perplesso che, da Singapore, Leclerc parta in pole quasi sempre ma non abbia, di conseguenza, un supporto strategico adeguato. Ma questo per ora è un altro discorso. Ferrari top solo di sabato, anche per l’ultima leggerezza di Max Verstappen. Nonostante avesse ragionato su un set-up meno da Q3 e più da gara. 

Essere concreti non è il punto di forza del 2019 ma perché la SF90 è guardata con fascino da avversari e da appassionati? C’è qualche riferimento a quando in Ferrari era tutto muscoli di motore e meno ricamini. In realtà questa non è una vettura fatta con l’accetta come erano certe altre del passato. Potenti e perdenti degli anni ’90. La potenza è nulla senza il controllo, famoso slogan Pirelli di 25 anni fa! Mi pare che la SF90 stia vincendo la scommessa sia sulla potenza che sul grande neo degli ultimi 10 anni, il finale (tecnico) di stagione. Eppure non basta.

Manca da anni lo stesso tassello fondamentale, la visione di gara.

Autore: Giuliano Duchessa@giulyfunoat

Foto: Ferrari

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Giuliano Duchessa