Formula 1

L’obbligo Mercedes: scoprire i segreti del motore Ferrari

L’obbligo Mercedes: scoprire i segreti del motore Ferrari


La preoccupazione esiste. E’ palpabile. Anche in casa Mercedes. Malgrado il titolo costruttori archiviato, con quello piloti che resta una pura formalità, a Brackley regna l’incertezza. I tedeschi, campioni in carica per 6 anni consecutivi, non sembrano godere appieno dei propri successi. Qualcosa non sembra andare nel verso giusto. Un po’ per abitudine, un po’ per paura, scattano gli allarmi. Lo spauracchio? Il “famigerato” motore italiano. Circa 3 settimane fa, proprio su Formula Uno Analisi Tecnica, si disquisiva del propulsore capace di far volare la Rossa. Qui (un clic lo consiglio) si spiegava la filosofia adottata dai tecnici italiani sulla monoposto italiana, supportata da una power unit “intelligente”. La terza specifica scesa in campo a Monza ha regalato un repentino innalzamento delle prestazioni. Inatteso dagli avversari, meno dalla Ferrari, l’ultimo step unisce potenza e gestione dei consumi.

Sin dagli anni 70 del secolo scorso, in Formula Uno i mondiali si vincono anche giocando a bocce ferme. I detrattori, usciti come funghi al primo sole dopo una settimana di pioggia, sostengono l’irregolarità del propulsore di Maranello. Qui (click consigliato) i dettagli sulla faccenda. La FIA, al momento, non ci sente. Tanto rumore per nulla? Forse. Ma la considerazione che tocca fare è un’altra. Mercedes, come giustamente sostiene “l’integerrimo” collega Mariano nel pezzo di ieri (fateci un giro), sembra non saper perdere. Nonostante in realtà stia facendo incetta di successi. Di traverso, che ne sappia io, le gioie non vanno mai. Quindi? Cosa c’é dietro? Semplice o no provo a spiegare il mio pensiero. Il team di Brackley non vince dal 2014. Domina letteralmente. Quando sente “l’odore” dell’avversario avvicinarsi si preoccupa. In realtà, “baggianate di Hamilton” a parte, buone solo per i rotocalchi rosa, un vincente vuole trionfare facile. Non vuole la sfida all’ultimo sangue. Desidera la tranquillità del campione. Guardando comodamente gli altri arrancare alle spalle.

Lewis Hamilton, Mercedes AMG

Citando un’altra volta il più “altolocato” (intellettualmente parlando) Mariano, mi scappa un paragone storico. Il secondo in un mese. Lui, Froldi, ne sa parecchio. D’altronde è un professore. Io la butto li. Vediamo poi che dice. La nutrita cavalleria del motore Ferrari ha fatto una breccia nella corazzata tedesca? Che film era? “300”? Oppure il propulsore italiano è come il cavallo di Troia? I tedeschi non se l’aspettavano. Ci ridevano su… e poi improvvisamente non sanno che fare? 

Ok, finita. La riflessione, dico. Non il pezzo. Quello lo continua Mariano. Ah, quasi dimenticavo. Io di Storia no ne so “un casso”. Se ho scritto una fesseria non importa. Sarà una delle tante.

Eccomi, “evocato” da Alessandro… troppo generoso di complimenti. Il rischio poi è che io magari faccia qualche svarione o scriva qualche fesseria (capita a tutti) e sia messo nella carretta destinata alla gogna pubblica come accadeva ai malfattori ed a Lancillotto, per amore di Ginevra (povero Re Artù), nel celeberrimo romanzo cortese. Non credo, caro collega, che tu abbia torto nella tua disamina conclusiva. Forse mamma Mercedes sente che la Ferrari è riuscita a fare qualcosa di diverso, e magari negli uomini della stella a tre punte, mezzo inglese e mezzo tedesca, si è insinuato il dubbio… il tarlo, della serie… “come facciamo a risolvere questo handicap motoristico?”.

Anche perché ormai si può inventare più poco sulle PU, dicono gli addetti ai lavori. Non so se Ale ricorda il meraviglioso film “Inception” di Nolan, regista che io amo particolarmente. Il protagonista, Dom Cobb, ad un certo punto spiega che il parassita più resistente è “un’idea […] . Una volta che un’idea si è impossessata del cervello è quasi impossibile sradicarla. Un’idea pienamente formata, pienamente compresa si avvinghia qui, da qualche parte.” Che poi è, in qualche modo, il concetto del “cavallo di Troia” di cui parlava prima Alessandro… la cosa che tuttavia mi ha colpito è forse un’altra. Siamo in un’epoca fortemente globalizzata. E la Formula Uno dovrebbe rappresentare questo mondo “cosmopolita”. Eppure, alla fine, perché si tratta di un mondo molto ricco ma piccolo, emergono “pulsioni provinciali”.

Sebastian Vettel sulla griglia di partenza del Gran Premio del Giappone.

E così vedi che, appena la Ferrari va avanti, arrivano una marea di illazioni che hanno matrice nelle rotative albioniche o teutoniche “insufflate” a dovere da team ostili alla Rossa e, d’altro canto, in Italia accade la stessa cosa contro gli avversari di Maranello. Tutto, molto… provinciale. Tornando al nocciolo del discorso, alla fine resta la sgradevole sensazione che i tedeschi siano stati abituati troppo bene. E’ scontato, ma sacrosanto, ricordare che questo dominio nasce con un lavorio politico molto efficace per avviare l’era turbo-ibrida (chiedere a Brawn) e con un gap tecnologico sulla concorrenza di almeno due anni. Al contrario, gli anni di dominio Ferrari videro tentativi costanti della FIA di “rovinare” il giocattolo. Per impedire troppa dominanza. Ma questa cosa la Federazione l’ha sempre fatta negli ultimi decenni. Basti pensare al trattamento riservato alla Williams con le sospensioni attive, bandite nel 1994 per manifesta superiorità l’anno prima.

Proprio l’eccezionale stabilità regolamentare che vige dal 2014 (nel suo complesso) ha rappresentato, a mio parere, l’arma in più che ha permesso il predominio di una corazzata che ora, forse, mostra qualche crepa ma che sembra ancora, meritatamente, imbattibile. E così, caro Alessandro, non ci resta che riderci su proclamando che i tedeschi certamente sanno vincere ma, forse, non sanno perdere. Ma lo diciamo, se sei d’accordo, con una risata sardonica, come quella dell’inquietante Joker. E’ che anche i pazzi, talvolta, dicono la verità.

Autori: Alessandro Arcari@berrageizf1Mariano Froldi @marianofunoat

Foto: Ferrari

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  • Passati gli anni di superiorità per "partenza anticipata", una volta livellato il campo di gioco, l'ingegneria italiana dei motori ha palesemente il sopravvento.

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Pubblicato da
Zander Arcari