#EssereFerrari è cuore e follia
#EssereFerrari è un credo, una religione. Un’innata propensione. Non è qualcosa che si assume o si eredita vestendo una casacca rossa. Si tratta piuttosto di un sentimento che sgorga dal profondo, che fa impazzire il mondo. Un vessillo che riempie d’orgoglio e accomuna in nome di un’unica fede. Nonostante gli anni trascorsi a trangugiare bocconi amari, a sopportare i sorrisi degli altri, trovatisi a combattere una sfida che è fin troppo facile vincere.
EssereFerrari è un intero universo, capace di brillare di luce propria, indipendentemente dalle alterne fortune, dalle annate digiune. Il Cavallino consacra e massacra, innalza e scalza, prende tutto e spesso offre poco in termini assoluti. Ma regala, a coloro che hanno avuto l’onore di farne parte, una sorta di immortalità declinata nella leggenda. Forse proprio per questo è da sempre considerata la squadra da battere, anche quando in pista offre risultati ben poco incoraggianti. Forse proprio per questo gli avversari gridano allo scandalo, cercano il complotto, inveiscono e accusano contro la Rossa, anche quando non è in lizza per la vittoria.
Perché #EssereFerrari fa paura, a prescindere dalla classifica. Lo sanno bene in casa Red Bull, con la squadra tutta che si intromette, che si permette di alzare la voce denunciando in realtà una grave crisi di identità. Da sempre metonimicamente individuati attraverso la lattina, i bibitari provano a far parlare di sé attraverso stupide esternazioni. Esplosioni che vorrebbero essere frizzanti ed energetiche come la bevanda di cui portano il nome, ma che purtroppo si identificano in un implosione da passo falso. Che non ha nulla a che fare con la leggera frizzantezza di chi mette le ali. Piuttosto le tarpa a chi parla e sparla senza pensare.
EssereFerrari è una minaccia. Ce lo ricorda il buon Toto Wolff, che ad ogni Gran Premio afferma di temerci, anche quando i distacchi si misurano in unità da clessidra. Cassandra o menagramo, abile dissimulatore o finto provocatore. Eppure c’è del vero in tutto questo timore. Perché Mercedes vince, stravince, convince. Ma fa più rumore una pole della Rossa strappata con i denti rispetto a una sfilza di doppiette consecutive. Fa più innamorare una vittoria combattuta come quella di Leclerc a Monza rispetto a tante cavalcate solitarie offerte dal divino Hamilton. Fa più sussultare il ritorno al successo di Vettel in una magistrale e insidiosa Singapore, rispetto al sesto titolo conquistato dal Re Nero.
Quindi è vero. La Ferrari va sfidata, infangata, se possibile depauperata. Sul piano della credibilità, dei presunti imbrogli, dell’illegalità. Illazioni deboli e flebili come le foglie d’autunno, destinate in un attimo a ritrovare la terra, a scomporsi e a plasmarsi in un nuovo fango, ben più denso e persistente di quello che avrebbero voluto gettare e generare. Non è possibile vincere la partita della suggestione, dell’evocazione, della passione. Qui il Cavallino trionferà sempre.
Perché Ferrari è favola, è desiderio, è storia e memoria. EssereFerrari è un giovane Charles, provato da un dramma terribile, consapevole di essere prossimo all’ultimo saluto nei confronti del padre, che trova il coraggio e l’incoscienza di mentire. Annunciando che sarà pilota Ferrari, quando ancora non ne aveva la certezza. Sperando e regalando la speranza. Nonché un’estrema luce al volto incupito dalla malattia.
EssereFerrari sono le lacrime di Seb sul podio di Singapore, il suo sguardo commosso e lucido, ma vivido e pronto a ribadire amore imperituro. Nonostante il duro avvio, le inutili accuse, le cattiverie profuse. Con il tedesco spesso messo alla gogna per via di un auto con cui non si riusciva a trovare, ma che non ha mai smesso di supportare. Con Vettel che continua a credere in se stesso, ma soprattutto nel sogno di diventare campione con la sua Rossa.Un anno tremendo per le ambizioni dei piloti Ferrari. Illusi dal mite inverno di Barcellona, delusi da una primavera avara di soddisfazioni. Aspettative destinate ad arretrare, ad essere tarate su di una nuova e ben più modesta unità di misura. Qualche lampo fugace, qualche prestazione mordace.
Ma troppo poco per aggredire. Ormai troppo tardi per impensierire. Poi l’estate, calda e polemica. Con un Canada che fa arrabbiare. Un’Austria che vede lottare. Un’Ungheria che vuol farsi dimenticare. Estate che si accomiata nel segno di una ritrovata velocità. Una Ferrari risorta che domina settembre con tre vittorie e con quattro pole. Che accoglie l’autunno con sei partenze al palo consecutive. Eppure, da un certo punto in poi, la gloria del sabato non riesce a concretizzarsi la domenica, prolungando la ben poca lusinghiera conta dei guasti, dei ritiri, degli errori. Errori di strategia, ma anche ai box. Pit stop interminabili e pistole fallibili che sparano a salve mettendo in croce le residue speranze di continuare l’inseguimento. Inconvenienti a ripetizione per Leclerc, due ritiri per Vettel, che mettono la pietra tombale sulle ambizioni di un finale in crescendo.
Il tutto condito da biasimo e rimproveri. Sviste veniali messe sotto la lente d’ingrandimento da parte di chi fa della critica l’unico modo d’interpretare un Gran Premio. Pochi applausi a piene mani, troppi indici puntati. Perché il rovescio della medaglia dell’EssereFerrari è questo: essere sottoposti alla gogna mediatica. Costante che accomuna passato e presente. Piloti di ieri e di oggi, inclusi i più grandi. Perché chi sbaglia con la Rossa difficilmente viene perdonato. Dalla stampa e dai tifosi, dall’opinione pubblica e dal senso comune.
Tuttavia, nonostante ciò, non viene meno la passione, che si nutre di coraggio e di incoscienza. Da parte di chi guida e di chi continua a inseguire il sogno. Da parte di chi tifa e di chi continua a sperare nel lieto fine. Perché #EssereFerrari è una sorta di continua ebbrezza. Purezza e follia, dedizione ed emozione. Che fa superare ogni frustrazione, che rinnova la motivazione. Trasformandola in una danza febbrile cadenzata sui battiti dell’immenso cuore rosso.
Autore: Veronica Vesco
Foto: Ferrari
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Complimenti per l'articolo e il tuo modo di scrivere.
Condivido appieno....bell'articolo :D
Veronica ha una grande capacità di colorire ogni suo racconto di metafore che ne rendono la prosa ricca e unica