Interlagos giro 66: Ferrari vs Ferrari
Ferrari: weekend di suggestioni. Novant’anni da festeggiare, e invece si fa la conta dei danni. Cento gran premi di Vettel con la Rossa, che si ritrova nella fossa. Dei leoni da tastiera, dei facili giudizi che arrivano alla sera. E poi Leclerc idolatrato, scagionato, accusato, a seconda di come tira il vento. Non c’è storia dopo Interlagos, si parla e si straparla, fomentando odio, cercando facili appigli per denigrare l’uno o l’altro e poi fuggire come conigli. Fanno più rumore gli strilli o gli strilloni e tutto sembra chiaro, palese, un giusto pretesto per brandire offese.
Chi paga e chi prende. Colpevolisti e innocentisti che si fanno scudo di numeri e di filmati. Frame by frame, per dimostrare che lo sterzo gira e chi lo muove per primo. Ma in fondo la monoposto è un’estensione del pilota. E con quella lui si esprime. Un abitacolo troppo stretto, tempi di reazione infinitesimali. Confronti titanici e bestiali. Da risolvere in una frazione di secondo. Anche in modo scomodo per il mondo. Basta poco e basta niente per mutare opinione, per passare dal torto alla ragione.
Ma se guidi una Ferrari sarai sempre alla gogna. Ferrari è essenza, incandescenza. E il modo migliore per renderle giustizia è non abbassare mai la testa. Mercedes e Red Bull vincono le tenzoni, ma non hanno i blasoni. Troppo semplice per loro ordinare, calmierare, stemperare. C’è un pilota 1 e un pilota 2. Fine della storia. Per la Rossa lo è stato, un’abitudine di lungo corso. Ma quando si decide per la lotta libera bisogna accettare anche gli inconvenienti. Perché chi arriva a Maranello con ambizioni non potrà mai rassegnarsi a un ruolo di comparsa. Neppure per un anno soltanto. Soprattutto se, come Leclerc, si possiedono mezzi e carisma per imporsi.
Allo stesso modo Vettel non ci può stare, non si può arrendere, non può arretrare. Nonostante la propensione all’errore. Sebastian sbaglia, è innegabile. Il suo talento cristallino, quando viziato dalla foga, produce una collezione di svarioni. C’è chi si è preso la briga di contarli, di enumerarli, per mostrarne la fragilità. In realtà ogni suo fallo è una dimostrazione di forza, perché non accetta di accodarsi, di seguire, di non tentare. Il tedesco ci mette la faccia anche quando sarebbe più comodo attendere. Accetta di fare una figuraccia, in mondovisione, in luogo di demordere.
Non è opportuno, non è savio. Ma lui non riesce a essere nient’altro. Peggio e meglio che si fondono, che si confondono, in manovre avventate, figlie di scelte spesso sciagurate. Un guasto in qualifica che lo costringe a recuperare. Un confronto in cui la vuole a tutti i costi spuntare. Contro Hamilton, contro Verstappen. E, soprattutto, contro Leclerc. Perché Charles come lui guida una Ferrari. La stessa auto, differenti motivazioni. Ma un unico scopo: essere campioni. Missione fallita per Seb negli ultimi due anni. Missione abbracciata per Charles, in proiezione futuro. E dunque si capisce perché si gioca duro. Entrambi non vogliono cedere, non vogliono soccombere.
Interlagos dunque. Non un posto qualsiasi. Significati molteplici, evocazioni, illusioni. La Ferrari è convinta, attende una spinta. Non si cura della penalità di Leclerc, certa di poter recuperare. La lotta si accende fin dalle qualifiche. Verstappen incalza, s’innalza, ne ha di più. Vettel lo segue, lo insegue dalla seconda piazza. Leclerc fa un piccolo errore, che sommato alla sanzione, lo confina quattordicesimo. Entrambi i Ferraristi hanno qualcosa da dimostrare, da conquistare.
Una rimonta, un assalto. La samba di Interlagos è suadente, eccitante. Dannatamente sfiancante. Sebastian parte bene, ma pattina causa lato sporco. Max s’invola, Hamilton passa. Così il tedesco con la sua Ferrari si ritrova a fare il terzo incomodo, mai brioso, mai pericoloso. Nel frattempo Charles recupera e sorpassa, aggressivo, volitivo, redivivo. Power unit fresca e piglio spavaldo. Non si ferma davanti a nulla, anzi si afferma. Specie nel finale, con gomme fresche. La Ferrari numero 16 ne ha di più dopo la ripartenza. E anche la Red Bull numero 23. Pneumatici nuovi per tentare la rincorsa al podio. Ai danni di Vettel, che desiste al cospetto della vettura di Albon, che inizialmente soccombe al sorpasso di Leclerc. Per poi ritentare, sferrando nuovamente l’attacco. Guerra aperta con il compagno, inutile esercizio di stile che non porta guadagno. Ma perché Sebastian non arretra? Perché attacca, contro ogni logica, sfidando la sorte?
Interlagos, giro 66, è l’emblema della lotta annunciata, temuta, pronosticata. Lotta tra titani che non vogliono mollare, ognuno perso a rincorrere la propria affermazione, la giusta consacrazione. Battaglia senza esclusione di colpi. Bassi o di sterzo. Spazio per fare i gradassi e incorrere in un millimetrico contatto. Roba da poco a prima vista, una piccola svista. Ma che mette fuori entrambe le Ferrari e regala ad altri il podio e gli onori. Perché la Formula Uno è veloce e crudele. Imprevedibile e insaziabile. Dopo una tragedia lascia spazio alle favole, al riscatto. Figli di un dio minore alla ribalta, mentre chi è atteso salta.
Salta da un trampolino troppo alto per non farsi male, e regala materiale a chi vuole sparare a zero. La coppia che scoppia. Un tetracampione non all’altezza. Una questione di scelleratezza. Ferrari tremendamente in bilico, tra questioni di cuore e di sicurezza. Chi decide non ha polso, in un concorso di colpe troppo difficile da stabilire. Binotto attendista, poco incisivo, mai decisivo. Giudizi di diversa foggia pronti a cadere come pioggia, a silurare chiunque, dovunque si trovi.
Realtà effimere. Un gioco di squadra inesistente, una situazione consunta e dolente. Perché entrambi i piloti non si accontentano di gareggiare. Vogliono primeggiare. L’uno sull’altro prima che sugli altri. Leclerc intende imporsi. Ha carattere e talento, numeri e caparbietà. Vettel non è intenzionato a lasciare. Ha un sogno e un ambizione, un verdetto da ribaltare, una fame insoddisfatta da saziare. Entrambi nel nome della Ferrari. Attori e strumenti. Uomini e intenti. A fare del loro meglio, mostrando il peggio se necessario. A darsi battaglia, oggi e domani, in una faida assassina. Perché i veri campioni non sono disposti a fare un passo indietro. Sono solo disposti ad andare avanti, a testa alta. Per incedere, senza mai cedere.
Aurore: Veronica Vesco – @veronicafunoat
Foto: Ferrari