Mara Sangiorgio, inviata di SkySportF1, un’amica di FUno Analisi Tecnica. Mara si racconta in una bella chiacchierata tra passato, presente e futuro…
Ciao Mara, cominciamo subito con la scintilla, quando e perché ti sei innamorata del Motorsport?
“Quando qualcuno mi fa questa domanda penso sempre che si aspettino che io risponda che a farmi innamorare del Motorsport sia stata la passione per un pilota. Invece c’entrano una moto e la sensazione che ho sempre provato mettendomi un casco e chiudendo la visiera. Quando avevo 13 anni, un ragazzo che mi piaceva parecchio ogni tanto mi accompagnava a casa con la sua moto da enduro e così un giorno, quasi per scherzo, me la fece provare per qualche metro. Ecco, fu in quel momento lì che successe qualcosa. O scattò la scintilla se ti piace di più. Poco dopo avrei compiuto 14 anni e a mio papà chiesi una moto come quella al posto del motorino che avevano tutte le mie amiche. Me la ricordo ancora, la mia prima moto. Era una Honda CRE 50, bianca, gialla e rossa fluorescente. In quegli anni abitavo ovviamente ancora con i miei genitori in un paesino in Provincia di Ello. Tutto stradine e sali scendi. Passavo i miei pomeriggi andando in moto e poi ci andavo anche scuola, al liceo, quando ho cominciato a studiare a Monza. Mi piaceva la sensazione che mi dava guidarla, il vento, il casco, essere sola con i miei pensieri mentre andavo chissà dove. Ecco, è nato tutto così.”
“Discorso delicato. Non vorrei cominciare a prenderle proprio ora! (sorride) Capiamoci, mi piace la parte democratica dei Social, il fatto che tutti abbiamo la possibilità di commentare o esprimere quello che pensano è giusto. A volte, anzi spesso, si leggono cose e spunti interessanti da chi usa i Social per dire solo la propria. Quello che davvero non mi piace è la deriva che stanno prendendo ultimamente: sembra stiano diventando un posto per vomitare le proprie insoddisfazioni, a volte anche verso gli altri. Prendi noi che lavoriamo in TV ad esempio; normale che una persona pubblicamente esposta sia più esposta anche alle critiche. Funziona così, fa parte del gioco. Però ogni tanto si esagera senza provare a mettersi mai nei panni degli altri. Ormai scrivere un tweet di 280 caratteri è facile, istantaneo. Si fa senza pensare. Ecco, bisognerebbe tornare a ragionare di più prima di scrivere quello che ci passa per la testa. In fondo nessuno di noi può conoscere o sapere davvero come stanno le cose di qualcun altro, o come funziona ad esempio il mondo della TV o la gestione di una diretta, come io non posso sapere le difficoltà di dipingere una parete o gestire un sito web o qualsiasi altra cosa ti possa venire in mente. Insomma, sembra che ci sia tanta troppa gente che sa davvero tutto di tutto. Ogni tanto mi viene da pensare beati loro che hanno tutte queste certezze che io non ho.”
A proposito di web, che consiglio daresti ai giovanissimi, sono tanti e appassionati di Motorsport, che vorrebbero fare questo lavoro?
“Io sono stata anche fortunata a un certo punto: mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto, ma alla fine la verità è che ci ho sempre creduto. Volevo fare la giornalista e dal niente ce l’ho fatta. Ho studiato, ho fatto stage a destra e sinistra, mi sono sempre messa in gioco e questo secondo me nella vita e nel lavoro è la cosa che conta. Capisco che il mondo del lavoro adesso è ancora più complicato e di difficile accesso, anche il nostro settore, ma provare a farsi sentire, scrivere, cominciare con qualche sito internet, provare con i canali ufficiali come gli stage all’università. Se ci sono la passione e la volontà qualcosa arriva sempre.”
La F1 ha sempre avuto un’anima tecnicamente del tutto Europea, fondamentalmente tra Italia e Inghilterra. Non credi che le linee della vettura 2021 siano troppo American style?
“E’ stato anche il mio primo pensiero quando ad Austin per la prima volta ho visto il modellino delle macchine del 2021. La Formula Uno ha nel suo DNA la ricerca tecnologica, l’estro, la scelta esatta, il rischio, l’estremizzazione. E’ fatta così e mi è sempre piaciuta così. Ma il mondo sta cambiando e capisco anche chi, in Formula Uno, stia cercando di far crescere questo sport facendolo andare nella direzione giusta. Non mi piace la semplificazione perché non credo faccia parte di questo sport ma non mi sento nemmeno di coprirmi gli occhi. Vedremo cosa si inventeranno gli ingegneri sulle nuove macchine del 2021 e poi potremo giudicare. Magari ci sorprenderanno, è troppo presto adesso solo per criticare e non provare nemmeno a capire i motivi di certe scelte.”
“Per la verità è che non mi ero immaginata nulla. Mi sono trovata catapultata in un paddock, da addetta ai lavori, nel 2013 per la prima volta senza pensare a cosa avrei trovato. Mi era sempre piaciuto stare in pista, per passione, guidando ogni volta anche il kart o andando a vedere qual che gara soprattutto di Moto GP. Mi piace l’asfalto, mi piacciono i rumori, mi piace la frenesia. Mi ci sono trovata subito a mio agio anche lavorando. Se mi chiedi cosa mi ha stupito di più? Il fatto che io sia una donna e sono sempre stata rispettata e valorizzata per quello che sono e che faccio in un ambiente prettamente maschile. Se fai le cose con passione e dimostri che ami quello che fai sei credibile anche se parli di power unit o delta tra i piloti o differenze negli stili di guida.”
“Non c’è né una in particolare. In ogni ambiente di lavoro ho sempre trovata una o più persone di riferimento che mi hanno aiutata a crescere e migliorare e da cui ho imparato molto. Avere persone intorno a te che credono in te e ti danno fiducia è importantissimo per crescere professionalmente e migliorarsi sempre. Io la vedo così, anche adesso. Non si è mai arrivati. E’ il segreto per divertirsi ma anche migliorarsi sempre. Gara dopo gara, intervista dopo intervista, pezzo dopo pezzo.”
I fatti di questi ultimi anni, specialmente quelli più brutti come le morti in pista, che segni lasciano quando si richiude la valigia per tornare alla vita normale?
“Siamo umani prima che professionisti e tragedie di questo genere sconvolgono e segnano. Soprattutto le prime volte che siamo costretti ad affrontare la morte e doverla gestire e raccontare. Alla fine siamo anche fortunati, siamo in un mondo dorato in cui il rischio fa parte di questo sport ma è anche limitato alle eccezioni. Chi fa cronaca ha a che fare con la morte magari tutto il giorno ad esempio. Però quando succede come è successo a Marco Simoncelli, Jules Bianchi, Anthonie Hubert. Ecco quando succede a ragazzi che in parte conosci e hai conosciuto, intervistato, con cui hai condiviso giornate e spazi, nel paddock e anche fuori, con cui magari hai oltrepassato quel limite che separa la professione e l’amicizia non è per nulla facile. Ecco quando succede a questi ragazzi che alla fine stanno inseguendo un sogno, e quel sogno tu lo capisci, lo racconti, lo segui con loro, metterci la faccia o la voce per raccontare la loro tragedia non è mai facile. E nemmeno tonare a casa e far finta che tutto sia normale. Perché non può esserlo. Perché magari qualcuno di loro manca davvero. Ma fa parte, purtroppo, del loro e del nostro lavoro.”
“Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”. Friedrich Nietzsche nella tua Bio. Perché?
“Mi piacciono le stelle. Non le stelle che girano per strada o tra di noi e si sentono stelle (sorride). Mi piacciono le stelle che si vedono lassù in cielo e che forse un cielo dove stare lo cercano sempre. Perché mi sento un po’ così, una stella alla ricerca del suo spazio e del suo posto. Sempre alla ricerca di qualcosa per cambiare, migliorare, sentirsi viva e perché no danzare. Il caos e i dubbi fanno parte di me, ma ne vedo anche il lato positivo: mi hanno sempre spinta in mondi diversi per danzare sempre un po’ di più e un po’ più lontano.”
“Non si può, o meglio si può ma i rapporti veri sono pochi e preziosi. Ed è importante averli. Passiamo 180 giorni fuori casa, in giro per il mondo, lontano da famiglia e amici. Avere punti fermi anche nel paddock o nei rispettivi gruppi di lavoro è fondamentale, per ridere a volte piangere, a volte sfogarsi, a volte diverstirsi, a volte non parlare solo di Formula Uno. Come si dice sempre, meglio pochi ma buoni e soprattutto veri.”
Il giorno peggiore o una delusione?
“Il giorno peggiore purtroppo è facile ricordarlo: 5 ottobre 2014, il giorno dell’incidente di Jules Bianchi. Nessuno ebbe il tempo di salutare un amico e un ragazzo fantastico. Delusione? Mah, viviamo e lavoriamo in un ambiente ultra competitivo, se anche noi non avessimo le nostre ambizioni e delusioni sarebbe sbagliato. Fa parte del gioco.”
Il giorno più bello, un episodio o una particolare soddisfazione che ti piace ricordare?
“Ce ne sono tanti, troppi. Mi piace tanto quello che faccio, ogni giorno cerco di trovare la piccola soddisfazione facendo quello che faccio, un collegamento dai box, una banalissima intervista di trenta secondi o qualcosa di più importante. Forse la soddisfazione più grande è vedere l’orgoglio negli occhi di mamma e papà per quello che faccio. Ecco, forse quella è la cosa che più mi ricorda ogni volta quanto valga la pena fare i “sacrifici” che facciamo.”
Come in sliding doors film 1998, se anni fa non avessi perso quell’aereo per un incidente in moto?
“Sarei tornata a New York. Una città che amo. Un posto pieno di colori, odori, energia, lontano – forse troppo – da casa Italia, ma forse adatto a una stella danzante che cerca sempre nuove energie, slanci e spazi. Ma non lo saprò mai.
Si va verso le 25 gare di F1. Delle volte immagino sia molto difficile partire, come si fa a vincere la fatica?
“Si fa la valigia, si prende un aereo e si parte. Fa parte di noi. Perché alla fine siamo un po’ zingari dentro, come mi dice sempre mio papà. Credo che bisogna essere un po’ portati per fare questa vita, anche se alla fine un po’ “pesa” a tutti. E’ un lavoro dinamico e bellissimo, internazionale, che ti da un sacco di stimoli, che ti fa girare il mondo e stare a contatto con piloti e tenere i piedi sull’asfalto, ma c’è anche un “ma”. Rinuncia a tante cose “normali”, al tempo con la tua famiglia o con gli amici veri o gli affetti. A volte qualcosa o qualcuno manca.”
E quando torni a casa, la primissima cosa che fai solo per te?
“Apro le finestre di casa mia, mi metto una tuta e vado a bere un caffè nel bar sotto casa. Quello dove ti conoscono e ti chiamano per nome. Così, per sentirmi davvero a casa. Perché sa tanto di normalità.”
I tuoi obiettivi oltre la F1?
“Crescere. Sempre, e non fermarmi mai anche quando per forza di cose la Formula Uno non farà più parte della mia vita. Succederà, prima o poi. Ma sarà giusto e normale così. Nel lavoro mi piacerebbe avere sempre l’opportunità e la voglia di migliorarmi continuamente, nella vita privata chi lo sa: pensare “da grande”.
Sei felice?
“Certo che sì. Malinconicamente felice, come le stelle che cercano sempre qualcosa. Fa parte di me.”
Grazie Mara, stella danzante nel paddock, ma soprattutto fuori.
Autore: Giuliano Gemma – @GiulyDuchessa