Formula 1

E’ la SF90 la causa dei mali di Sebastian Vettel?

Il campionato 2019 di Sebastian Vettel non sarà ricordato come uno dei suoi migliori in Ferrari. Nè come uno dei più positivi della sua carriera. Una sola vittoria (a Singapore), due partenze al palo (Canada e Giappone), un quinto posto nella classifica pilota. Questo il bottino del trentaduenne di Heppenheim che ha sofferto l’ingombrate presenza di Charles Leclerc che, al primo anno in un top team, è riuscito a battere un quattro volte campione del mondo e, nel numero di pole position complessive, è addirittura stato in grado di mettere in scacco Lewis Hamilton che della specialità è recordman di sempre. Un’annata difficile insomma, un mondiale con pochi acuti e diversi errori che hanno fatto piazzare Vettel all’ottavo posto nella classifica dei migliori driver stilata proprio dai venti protagonisti che si sono dati battaglia sui circuiti del mondiale.

Quando una stagione non è esaltante non c’è mai una sola ragione a determinare il risultato poco brillante. Il tedesco ha sicuramente guidato, in alcune gare, al di sotto delle sue possibilità incappando in topiche evitabili (su tutte Barhain, Canada, Inghilterra, Italia e Brasile). Questo va sottolineato con chiarezza evitando di scadere in inutili difese d’ufficio che non renderebbero un servizio alla verità. Va altresì detto che la SF90 n°5 si è spesso imbattuta in problemi tecnici che hanno tarpato le ali al pilota. In linea generale, comunque, è stato Leclerc il mattatore nel team di Maranello se consideriamo l’intero mondiale.

la Ferrari SF90 di Sebastian Vettel dopo il contatto con Charles Leclerc nel GP del Brasile

Ma come è stato possibile che un giovanotto, seppur maledettamente rapido, abbia messo in scacco uno scafato pluricampione del mondo alla prima occasione buona? Sicuramente la componente velocistica ha giocato un ruolo importante: Leclerc si è dimostrato uno dei piloti più forti in griglia sia sul giro secco che sul passo gara. Anche la sfera psicologica ha avuto un ruolo fondante. Un ambito nel quale il monegasco è subito sembrato esser più solido del compagno di squadra. Ma esiste un altro fattore chiave che spiega le difficoltà incontrate da Vettel durante l’anno: la mancata consonanza tra lo stile di guida del tedesco e le caratteristiche della SF90. Detto in termini semplicistici: Seb e Lina (così è stata ribattezzata la SF90 dall’alfiere rosso, nda) non si sono mai presi più di tanto.

Vettel, da sempre, predilige un’auto che abbia un posteriore solido, monolitico, preciso e prevedibile nel comportamento. Gestibile in una sola parola. La SF90, specie prima del famoso “Pacchetto Singapore“, era una vettura tutt’altro che domabile nella parte del retrotreno che invece di muoversi su immaginarie rotaie, tendeva a scodare con scorbutica arroganza. Un fatto confermato direttamente da Mattia Binotto: “Seb è stato molto a disagio con la monoposto a inizio stagione. La mancanza di stabilità in frenata lo ha limitato“. Primo indizio di una condizione che ha negativamente inciso sulle performance dell’ex driver della Toro Rosso.

Esistono precedenti che confermano la difficoltà di Vettel ad adeguarsi a macchine poco calibrate al retrotreno. Il primo è quello relativo alla Ferrari dell’anno scorso. Il secondo è riferibile alla prima Red Bull dell’era ibrida, quella RB10 che mise nei pasticci il tedesco che non riuscì a reggere il confronto con Daniel Ricciardo che staccò di ben 71 punti il compagno di team. E’ lo stesso Sebastian che, in un’intervista successiva al GP d’Australia del 2018, spiega quali sono le asperità quasi invalicabili che incontra con alcune vetture: “L’auto non risponde come vorrei – ha detto riferendosi alla SF71H scivola quando non voglio che lo faccia. Adoro una macchina che sia precisa quando freno e quando giro il volante“. Un’ammissione che spiega anche quale possa essere il tunnel mentale nel quale un pilota entra se non sente il feeling col suo mezzo da lavoro. Ancora Vettel: “Se hai fiducia e credi nella tua auto non devi pensare un secondo su ciò che devi fare. Lo fai e basta“. Se quella confidenza manca, viene da sè che la guida è condizionata da una sorta di sovrastruttura psicologica che limita la performance. Controllare una bestia da 1000 cavalli senza la necessaria sicurezza diventa un’opera ardua.

Dunque, possiamo asserire con pochi margini d’errore che il tedesco abbia vissuto una stagione ostica anche a causa di una monoposto che mal si adattava al suo stile. Cosa diversa, invece, è successa a Leclerc che ha visto nella SF90 una sorta di abito sartoriale cucito sulla sua condotta di guida. A darcene conferma è Alexander Albon in uno dei podcast della serie “Beyond the Grid” prodotta dalla F1. Il pilota della Red Bull ben conosce il talentino della Ferrari avendoci corso spalla a spalla in F2: “Charles è molto forte in frenata e nella percorrenza della curva. Il suo segreto è mettere quanto più dritta possibile l’auto prima dell’apice della curva. In questo aspetto è molto bravo“. La differenza di stile con con Vettel è grande visto che quest’ultimo tende a fare traiettorie “più rotonde” che pretendono un posteriore più neutro che deriva da una vettura abbondante di carico. Cosa in cui il modello 2019 era manchevole.

Nel momento in cui gli ingegneri di Maranello hanno approntato un pacchetto aerodinamico più efficiente nella zona del retrotreno, la stagione di Vettel è andata in crescendo. Sia in qualifica che in gara. E’ lo stesso Binotto ad aver sottolineato che i problemi al posteriore della monoposto italiana non sono del tutto stati risolti in corso d’opera, ma che il sensibile miglioramento ha ridato fiducia ad un pilota che finalmente si sentiva in grado di maneggiare con più facilità la monoposto.

Sebastian Vettel esulta dopo la vittoria nel GP di Singapore

La Ferrari del prossimo anno, stando alle parole del team principal, dovrebbe nascere stravolgendo il concetto aerodinamico della scorsa stagione: più downforce, più resistenza all’avanzamento. Una vettura generalmente più carica, anche al posteriore. Un fattore che potrebbe – anzi dovrebbe – favorire li driving di Vettel che è chiamato, nell’ultimo anno di contratto con Maranello (a meno di prolungamenti non ancora in agenda), a puntare a quel mondiale che gli manca dal lontano 2013. Questo l’obiettivo massimo. Quello minimo è cercare di vincere il duello interno con Leclerc dopo un anno che lo ha visto soccombere in maniera piuttosto netta. Perchè se in questo campionato c’è stata l’attenuante di un legame difficile con la SF90, potrebbe essere meno comprensibile uscire sconfitto anche con una macchina adeguata alle proprie caratteristiche. Dopo cinque anni in rosso il livello di pretese dei tifosi si è notevolmente alzato. Anche perchè qualcuno sostiene che un quattro volte campione del mondo dovrebbe essere in grado di uscire dalla sua comfort zone tecnica sublimando le prestazioni anche di quelle macchine che sente meno “comode”.

Autore: Diego Catalano@diegocat1977

Foto: Ferrari, F1

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Diego Catalano