Ferrari croce e delizia, finisce come inizia, senza infamia, senza letizia. Un anno di alti e bassi caratterizzato da abissi profondi e qualche vetta. Ma ancora troppo poco per uscire a rivedere le stelle. Stelle che sono già sei per le frecce d’Argento, scagliate verso l’empireo, pronte a surclassare le celestiali memorie della Rossa che fu. Attimi lontani, attimi fuggenti, impolverati dalla nostalgia, macchiati da pecche ed errori. Un Cavallino che si fa fuori da solo, a volte per troppa irruenza, a volte per incostanza o semplicemente per dimenticanza.
Talvolta, infatti, pare che la Ferrari dimentichi di essere la Ferrari. Che non ci creda abbastanza e neppure fino in fondo, lasciandosi andare al sopraggiungere della prima difficoltà, abbandonandosi ad esultare anzitempo non appena mostra una prova di forza. Eppure, a ben guardare, quando la Rossa è stata forte, il merito è stato di qualche pista favorevole, ma soprattutto dei piloti. Sissignore, avete letto bene. Di Charles in primo luogo, che ha saputo sfruttarne appieno la velocità, aggiungendo la sua grinta e la sua determinazione. Ma anche di Seb, che ha saputo applicare la propria esperienza in termini di gestione e di strategia. Di entrambi, sempre pronti a difendere la loro squadra, cercando di nasconderne o di giustificarne le pecche.
Questa Ferrari presuntuosa, che si attribuisce un 8 in pagella, si è salvata solo in virtù delle magie operate dai due driver. Nonostante le indiscusse e indiscutibili qualità di un eccellente Binotto, per qualche motivo la gestione non è riuscita ad ingranare. Risultati positivi a intermittenza, eccessiva rassegnazione davanti alla sconfitta, mancanza di polso in svariate situazioni, errori ridicoli del muretto. Spia che forse manca un certo tipo di coesione, un’abitudine a lavorare in perfetta sincronia. D’altronde il team principal del Cavallino lo ha detto chiaramente: “siamo una squadra giovane”. Una squadra che ha subito una rifondazione e un cambiamento profondo. E, come è logico, questo può destabilizzare.
Purtroppo però pare che la Ferrari non abbia ancora trovato il bandolo della matassa e si limiti a metterci una pezza, un po’ dove capita, senza riuscire a riparare ciò che conta. Il Cavallino, dopo un esordio australiano troppo brutto per essere vero, riesce a rialzarsi in Baharain, fornendo una pia illusione. Tutto questo però è avvenuto grazie alla magistrale prestazione di Leclerc, capace di imporsi nel deserto di Manama prima di essere tradito dal suo propulsore. Sono seguite ombre cinesi e una favola azera stroncata sul più bello, con Charles andato oltre il limite nel disperato tentativo di conquistare la prima fila. L’incornata spagnola, con le due Ferrari spompate, lontane dai vertici e il pasticcio monegasco che priva Montecarlo del suo principe rosso.
Una prima fase di campionato in cui la Ferrari è stata letteralmente salvata dalle gesta di Leclerc, meravigliosa creatura che mette tutti d’accordo nel nome dell’eccellenza. Mentre il Cavallino subisce, la febbre per Leclerc cresce. Unica nota positiva nel mezzo di un inizio opaco come la livrea 2019. Nel frattempo Vettel resta in attesa. Qualcuno lo dà per finito, qualcuno ne annuncia la resa. Mai ai vertici, condannato da un’auto che non gli va a genio, che fatica a guidare, con la quale gli è impossibile performare.
Almeno fino al Canada. Uno spartiacque importante per la sua stagione e per quella dell’intera Formula Uno. A Montréal Sebastian ritorna imbattibile, diventa un guerriero. Pole e lotta contro un Hamilton indiavolato. Fiero vincitore poi condannato da una discutibile penalità. Iconico nel dissentire a fine gara, al punto da dare un forte segnale a chi decide e a chi punisce. Il ricorso Ferrari ha toni da barzelletta, ma il gesto di Vettel diviene l’emblema di una protesta e costringe la FIA a rivedere i modi di applicare le regole. Il che significa finalmente piloti liberi di lottare, di usare maniere un po’ rudi, di farci emozionare.
E, nel corso dell’estate, con la sola eccezione di un soporifero Paul Ricard, è un’esplosione di adrenalina. Grazie a Leclerc e Verstappen che infiammano Austria e Gran Bretagna con duelli serrati. Grazie a Vettel che commuove con la disperata rimonta di Hockenheim, dopo che la sua Lina aveva deciso di confinarlo in ultima posizione. L’Ungheria è una monotona litania intonata dai soliti noti, mentre le Rosse di vergogna deambulano in pista con un minuto di distacco. Il punto più basso per la Ferrari che già appare un punto di non ritorno.
Si riflette e si lavora nel corso della pausa estiva. Tuttavia noi spettatori restiamo scettici. Un campionato dall’esito già scritto, ma che, nonostante tutto ci riserva sussulti, singhiozzi, sobbalzi. La realtà amara di una Ferrari eterna seconda viene ravvivata dall’azione in pista, viene salvata dai due alfieri, che non si risparmiano. Sbagliano, incantano, fanno arrabbiare, stupiscono. Ci regalano pezzi di storia recitando con impeto e follia un copione insulso e noioso. Ci fanno sognare un domani migliore.
Che puntualmente arriva quando meno te lo aspetti. La Ferrari da 8, rimandata a settembre, sembra superare brillantemente gli esami di riparazione. Con Spa e Monza, capolavori di Charles su due piste finalmente amiche. Con Singapore, luci e lacrime per Seb, finalmente vincitore. Una Russia iniziata in pompa magna e proseguita nel segno della scalogna. Un piccolo inciampo prima di una comunque ottima Suzuka che fa ben sperare in vista della trasferta nel nuovo mondo.
Nuovo mondo che regala antichi grattacapi, tra cali di prestazioni, guasti e cedimenti, fino ad arrivare alla resa dei conti. Il trittico americano è tutto un calando, con le velleità Ferrari che vanno scemando. Un Brasile particolarmente sotto tono offre solo qualcosa di cui sparlare, a causa dell’incauta e sfortunata manovra che ha innescato la collisione fatale tra Vettel e Leclerc. Fiumi d’inchiostro a riempire i giorni tra Interlagos e la passerella finale di Abu Dhabi. Trionfale per Mercedes, letale per Ferrari. Lenta, pasticciona, incomprensibile, quasi capace di perdere il podio.
La fine come l’inizio, dicevamo. Sembra quasi un vizio. O forse un circolo vizioso che ci riporta a un ozioso spaccato che poco di buono lascia presagire. Si è fatto un gran parlare, dopo l’estate, di una rinascita Ferrari, di quella o quell’altra pista come banco di prova. L’exploit di Singapore, le buone prestazioni di Suzuka. Poi la Rossa è tornata a brancolare nel buio. Ad Abu Dhabi è andata in scena la resa dei conti, la prova del nove. E, dato che la matematica non è un’opinione, questa Ferrari da 8 non la si promuove.
Autore: Veronica Vesco – @veronicafunoat
Foto: Ferrari