Mal#essereFerrari: giudizi e pregiudizi
Ferrari o Red Bull, McLaren o Renault. Vettel o Gasly, Norris o Ricciardo. Squadre e piloti in un unico calderone, un pagellone mediatico che non fa sconti, che continua a infierire anche se i conti non tornano. Critica o giudizio, parere illustre o fittizio, si pontifica troppo, spesso si condanna, a causa di una propensione innata al pregiudizio. Si rischia di creare un ingorgo, al netto dei fatti, tra numeri e statistiche che troppo spesso rappresentano campioni inadatti. Si rischia di navigare nel torbido, strizzando l’occhio ai malpensanti, che si fermano ad additare, senza allungare lo sguardo un poco più avanti.
Così Ferrari è da sempre nell’occhio del ciclone. E ancor di più i suoi piloti. Ragazzi in tuta rossa pronti per essere sbranati alla prima battuta d’arresto. Presto e prima che l’errore o la presunta propensione a sbagliare prenda il sopravvento. L’esercito del nulla è sempre pronto a sfoderare numeri a casaccio. Buoni a far confronti solo se si tratta di una tombola natalizia. Eppure utilizzati, legittimati, consacrati, quasi fossero una novella Bibbia su cui fare giuramento.
In qualche caso, va detto, i numeri nudi e crudi possono fornire interessanti chiavi di lettura, spunti per un nuovo metodo di osservazione. Purtroppo c’è chi li utilizza a senso unico, solo per dimostrare verità faziose, oziose lamentele nei confronti di questo o quell’altro. Se poi il protagonista del confronto è un pilota Ferrari le corbellerie si sprecano, purtroppo anche da parte di penne autorevoli. Che qualche volta cedono alla voluttà del giudizio fine a se stesso.
Numeri uno e numeri bugiardi. Niente di più vero per quanto riguarda il Cavallino targato 2019. 3 vittorie (oppure 3+1 per chi giustamente, come a Maranello, fa i conti senza l’oste e senza l’ostilità della FIA). Ben 9 pole. Uno sguardo miope e poco preparato potrebbe leggervi una sorta di supremazia, o, quantomeno, il resoconto di una stagione tutt’altro che da buttare. E purtroppo chi dà i numeri c’è da sempre. Al punto che qualcuno ha sostenuto che forse Ferrari avrebbe anche potuto lottare per il mondiale seriamente, non fosse stato per colpa di un certo pilota sciupone e sopravvalutato.
Il tedesco più chiacchierato d’Italia, secondo le ultime stime, perde di misura nei confronti del rampante monegasco. Una differenza di 24 punti a sfavore di Vettel che vengono moltiplicati all’ennesima potenza dai detrattori. Fino a diventare 24000. Baci nei confronti di Leclerc, potremmo accettarlo, dato che Charles ha disputato una stagione da urlo. Ma più che altro si tratta di 24000 pesanti illazioni nei confronti di Sebastian che, va ammesso, qualche piccolo svarione lo ha pur commesso, ma non per questo merita la gogna.
Affronti e confronti dicevamo. Ok, quanto a pole Leclerc si è dimostrato imbattibile. In questo dato però, perdonatemi se pecco di romanticismo o di indulgenza, io ci leggerei soltanto l’unicità di Charles. Veloce, affamato, implacabile: un vero protagonista del domani. Non utilizzerei di certo il 7-2 alla stregua di un risultato calcistico per infamare chi ha conseguito il risultato inferiore. Prediligo i confronti positivi e costruttivi, preferisco guardare al merito più che evidenziare il presunto demerito. Ma chiaramente sono io in difetto, dato che la “matematica non” è stata “mai il mio mestiere“.
Mestiere ancor più difficile quello del pilota Ferrari. Idolo delle folle, acclamato, adorato. Ma pronto ad essere biasimato, abbandonato, dimenticato non appena sopraggiungono le prime difficoltà. Nel corso di questa tribolata stagione ne ho lette e sentite di tutti i colori. Ma la cosa buffa, sebbene tenderei a definirla grottesca, riguarda la continua altalena fatta di idolatria e affossamento. Qualcosa che -inaudito al sol pensarlo- ha riguardato anche un’eccellenza come Leclerc. Colpevolizzato a oltranza per quel suo unico errore di Hockenheim. Charles il fenomeno messo in discussione per una svista che lo ha accomunato peraltro a tanti drivers, tra cui big e ben più esperti. Il monegasco messo ko dalla stessa pioggia che esaltava il tedesco, per una volta quasi profeta in patria.
Eh, già. Incredibile a dirsi. Questa volta è mr. Sebastian Vettel da Heppenheim, il pilota “pasticcione, sopravvalutato e bollito”, a fare la differenza. Ad essere preso come pietra di paragone, in positivo, solo perché l’altro è stato colto in fallo. Il vento cambia troppo in fretta, non aspetta. Ma soprattutto dimentica. Il buon senso, ma ancor più uno stralcio di oggettività. Già perché l’eroe della Germania è pur sempre lo stesso uomo dello svarione di Silverstone. Ed è l’identica persona che ha incantato a Singapore, che ha lottato in Canada. Sarebbe bene ricordare che “ognuno reca in sé il paradiso e l’inferno“. Nessuno può essere solo sublime o solo infimo.
Ma questo non vale per i piloti Ferrari. Per quanto dediti, eccezionali o straordinari essi siano, subiranno prima o poi l’onta del biasimo, la vergogna della feroce invettiva. Di chi li considera “vituperio delle genti del bel paese là dove il sì suona” alla prima giornata storta. Filosofia contorta o memoria corta di giudizi stolti e pregiudizi incolti. Raccolti qua e là, a seconda del momento e dell’argomento che fa più rumore.
Numeri, ancora. Numeri uno e numeri due. Perché non bastano le pagelle a sancirlo, bisogna nonostante tutto ribadirlo. Prima guida o seconda, ritornano i blabla. La verità è che il Cavallino è difficile da domare, ancor di più da addomesticare. Ma noi abbiamo due “capitani coraggiosi” in grado di spartirsi oneri e onori. Alla fine uno solo prevarrà ovviamente, ma non prima di averci raccontato una nuova storia, avvincente e accesa. Noi speriamo in un finale a sorpresa, nel giusto premio dopo anni di attesa. Non del migliore o del peggiore, non di chi scalza o di chi incalza. In attesa di vedere guarito il nostro mal#essereFerrari dalla panacea di un salvifico successo. Che possa mettere finalmente tutti d’accordo, sotto la stessa bandiera.
Autore: Veronica Vesco – @veronicafunoat
Foto:Ferrari