Zak Brown, prima di diventare CEO della McLaren, ha costruito la sua carriera di manager iniziando dal basso. Saggiando la pista in prima persona. Come spesso accade, il debutto avviene nel karting per poi fare il salto su vetture a ruote scoperte più dotate di cavalli: prima la Indy Light americana e poi la F3 tedesca. Il culmine della carriera “pistaiola” arriva con le gare di Endurance, categoria nella quale il pilota di Los Angeles ha ottenuto discrete soddisfazioni. A fine anni Dieci Brown ha abbandonato volanti, cambi e pedaliere per darsi al management sportivo creando un team, la United Autosports, che ha operato nelle gare di durata. Un’esperienza fondamentale per acquisire quel background gestionale che si sta rivelando prezioso nel lavoro che sta svolgendo nel team di Woking. Negli anni Brown ha sviluppato professionalità che in questo periodo stanno emergendo prepotentemente nella trattativa interna alla Formula Uno che sta portando alla definizione del budget cap che diventerà operativo a partire dal 2021.
Le regole tecniche che entreranno in vigore tra due anni e l’individuazione di un tetto di spesa saranno quegli espedienti che, se ben calibrati, dovrebbero consentire alla F1 del futuro di annullare quell’ampio solco che si è creato tra i tre top team e i restanti sette. Un’evidenza confermata dal fatto che negli ultimi sei anni, ossia dall’avvento delle power unit turbo-ibride, solo Mercedes, Ferrari e Red Bull siano riuscite ad ottenere una vittoria di almeno un gran premio. Una situazione paradossale che di fatto ha trasformato 14 vetture – ed altrettanti piloti – in spettatori non paganti in uno spettacolo a volte poco entusiasmante. Liberty Media, colosso dell’intrattenimento di estrazione statunitense, ha capito che questo andazzo è deleterio per l’intero movimento e sta quindi lavorando affinché la categoria diventi più combattuta ed imprevedibile. Una filosofia che Brown sposa e per la quale si sta parecchio parecchio prodigando.
Nello stesso lasso temporale cui si faceva riferimento in precedenza, in Indycar hanno alzato la coppa del vincitore ben undici team. Una cifra spaventosa se paragonata a quella della Formula Uno. Il CEO della McLaren si è riferito proprio a questi dati incontrovertibili auspicando che la massima categoria del motorsport imiti i cugini d’oltreoceano per ridare vita al movimento nella sua interezza. Cosa che aumenterebbe non solo lo spettacolo, ma anche il ritorno d’immagine. Che significherebbe anche un deciso e sensibile incremento del fatturato. Un qualcosa che Maffei e Carey hanno messo in cima alla lista delle cose da fare per rientrare dal mostruoso investimento effettuato per accaparrarsi la F1.
“Penso che il livello di concorrenza che ha raggiunto la Indycar è quello che dobbiamo aspettarci in Formula Uno. Non mi riferisco alla tecnica – ha spiegato Brown ad Autosport – la F1 è la F1 e la Indycar è la Indycar, non fraintendetemi. Quel che voglio dire è che anche negli States i campionati li vincono sempre i grandi team. Ma ogni anno, in diciassette gare, ci sono sempre tanti trionfatori. Quando ti presenti al GP di Detroit, per esempio, puoi immaginare che possano vincere almeno dieci piloti. Il che è il doppio di quanto accade in Formula Uno dove non ricordo quand’è che ha vinto un pilota a sorpresa”.
L’obiettivo, dunque, è quello di appressare le prestazioni per aumentare la bagarre. Ancora Brown: “Pur avvicinando le performance delle vetture, i grandi team saranno i favoriti per la vittoria del campionato. Ma non dovrebbe più verificarsi un caos totale per consentire ad un driver di seconda fascia di vincere una gara”. Alla base di una F1 più imprevedibile ci sono le nuove regole la cui entrata in vigore non può essere ulteriormente procrastinata dopo lo slittamento al 2022: “Una squadra di metà classifica dovrà avere la possibilità di centrare podi e, di tanto in tanto, di ottenere qualche vittoria. Così da generare profitti. Se riusciamo a centrare questo obiettivo possiamo avere un futuro sostenibile”.
Lo spettacolo, dunque, è una componente che deve fare il pari con la capacità di ogni partecipante di aumentare i propri introiti derivanti dai successi. “Con le auto attuali, che sono molto complesse, accade che più spendi e più sei competitivo. Dobbiamo livellare questo andamento. La F1 è uno sport e quindi è giusto che vincano gli attori che hanno lavorato meglio. Ma è altrettanto corretto immaginare una categoria più competitiva”.
Quelli della F1 e della Indycar sono due mondi concettualmente agli antipodi che si sono sovente osservati in cagnesco. Ognuno a rivendicare le proprie peculiarità, ognuno a ritenere se stesso il modello vincente. Due realtà talvolta conflittuali come ha recentemente dimostrato la questione non proprio edificante che ha coinvolto Pagenaud e Norris. Due pianeti che comunque possono ispirarsi a vicenda per migliorarsi ed offrire un prodotto più accattivante ai rispettivi tifosi. In questa chiave vanno lette le parole di Zak Brown.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Alessandro Arcari – @berrageizf1, McLaren