Formula 1

Al coro dei contrari alla sprint race si aggiunge Valtteri Bottas

Per qualcuno era un’opportunità per sparigliare le carte, per altri avrebbe rappresentato un ingiusto stravolgimento dei valori: la sprint race di trenta minuti a griglia invertita rispetto alla classifica iridata ha fatto discutere parecchio negli ultimi giorni. Ossia da quando si è capito che la Mercedes, con uno stoico e solitario voto controcorrente, ha fatto sì che il provvedimento non venisse applicato. Almeno per il momento. L’idea era venuta alle teste d’uovo di Liberty Media e sarebbe entrata in corso di validità per una delle due doppie gare previste nel calendario provvisorio di una F1 che riaprirà i battenti tra esattamente tre settimane. Il perché dell’opposizione di Toto Wolff e soci è comprensibile: una sistema del genere avrebbe generato una tale confusione da rischiare di mettere in discussione l’imperio delle Frecce d’Argento. Per la stessa ragione, invece, Ferrari si era fatta sponsor e portavoce dell’iniziativa lodandola pubblicamente tramite Mattia Binotto.

Maranello non era sola in questa volontà di rivoluzionare il format. Anche quella Red Bull che da molti è accreditata come l’avversario più credibile della Mercedes nella lotta al titolo si era spesa per l’iniziativa. Oltre ad altre sei scuderie che vedevano nell’inversione la possibilità di assaporare l’aria fresca che si respira nelle adiacenza della linea del traguardo, sotto ai semafori dello start. Alla fine della votazione, dunque, c’è stato un totale di nove team ad esprimere rammarico e uno solo a godere per il mantenimento dello status quo. Un’anomalia democratica, a ben vedere, che però è tutelata e legittimata dal Patto della Concordia che pretende l’unanimità per questo genere di cambiamenti. Uno stop che ha comunque fatto felice lo zoccolo duro degli appassionati che mai avrebbe voluto vedere l’abolizione, seppur parziale, del tradizionale “giro della morte” del sabato pomeriggio.

Valtteri Bottas in azione con la Mercedes W11

Non deve sorprendere, quindi, che Valtteri Bottas abbia espresso perplessità sulla gara breve. Il finnico cova il sogno e la speranza di tirare un colpo gobbo a Lewis Hamilton provando a scippargli il mondiale. Per puntare alla corona d’alloro serve tutto fuorché una variabile impazzita come la sprint race. “Provare la gara veloce, in un certo senso, poteva essere un’idea interessante – ha detto il “77” Ma sarebbe stata anche ingiusta, soprattutto su quelle piste dove i sorpassi sono molto difficili. Mi piacciono le gare corrette, quelle nelle quali vincono i piloti che fanno il lavoro migliore. Eco perché al momento mi trovo meglio con il format classico”.

Il trentenne driver di Nastola non è il solo a perseguire questa idea. In diversi momenti altri illustri colleghi di volante hanno espresso riserve sulla radicale modifica al formato. E questo ci racconta con chiarezza che esiste ancora una spaccatura netta tra chi si cala nell’abitacolo e chi scrive le regole standosene seduto dietro una scrivania, anteponendo altri parametri ed interessi al valore supremo che è rappresentato dalla sfida sportiva. L’opposizione del team campione del mondo è andata a supportare la visione strategica dei piloti ed ha salvato la natura di questa disciplina che vede nella qualifica un esercizio peculiare in cui ogni professionista sfida prima se stesso, poi il cronometro e in ultima battuta gli avversari. La F1 deve mantenere la propria identità evitando di scimmiottare serie propedeutiche come la F2 che, tra l’altro, assegna punti per la sprint race. Cosa che non sarebbe avvenuta nella massima categoria. Una copia mal riuscita e che avrebbe soddisfatto solo chi detiene il potere politico ed economico.

Chase Carey, presidente e CEO della Formula Uno

Ma la partita non è affatto chiusa. Il rischio che questa proposta rifaccia capolino è concreto. Già l’anno scorso la gara veloce fu sonoramente bocciata e, nonostante ciò, Chase Carey è tornato alla carica in questo anomalo 2020. Dopo l’ennesimo stop giunto anche grazie agli interessi della Mercedes, il n°1 di Liberty Media ha riferito che nel prossimo futuro la proposta ritornerà sul tavolo dei team. L’intento dei decisori è chiaro: aumentare l’hype intorno all’evento creando un gran premio nel gran premio. Un tentativo di attirare sponsor, investitori e telespettatori per aumentare il volume della fatturazione e massimizzare gli introiti. Un dettaglio che si incastra nel più ampio progetto di portare il numero di gare a 25. Una necessità per il colosso americano dell’intrattenimento che deve rientrare dall’enorme esborso effettuato per prendere il giocattolo dalle mani di Bernie Ecclestone. Una logica coerente e comprensibile. Una logica che però mal si sposa con la scala valoriale che la F1 ha espresso da sempre: la competizione e l’agonismo prima dello spettacolo.

Liberty Media pare che voglia ribaltare questa prospettiva facendo della massima espressione del motorsport una sorta di evento ludico da abbellire con fregi ed ornamenti per poi venderla meglio sul mercato dei media e degli sponsor. Alla lunga questa strategia potrebbe non pagare perché rischia di allontanare i tifosi che già si agitano per il blocco dello sviluppo delle monoposto, per il budget cap e per tutta una serie di paletti regolamentari che rischiano di mandare in cianosi la F1. Attenzione a ben dosare gli elementi di novità perché basta poco per vedere la situazione sfuggire di mano.

AutoreDiego Catalano – @diegocat1977

Foto: Alessandro Arcari@berrageizf1,  F1, Mercedes

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Diego Catalano