Formula 1

Ferrari: costretti a sbagliare

Ferrari ci risiamo. Grazie davvero. Per questo anno senza speranze, per questi risultati prima che inizino le danze. La colpa di chi è, se mai andasse ricercata? La colpa forse è di chi ci ha creduto, a dispetto dei troppi campanelli d’allarme, incurante di segnali di fumo capaci di rivelare le tarme. Dirigenza, se ci sei, batti un colpo! Troppo difficile ora, nel momento in cui bisogna giustificare il maltolto. Troppo inopportuno adesso, dopo mesi di silenzio, in cui si è avallata una bonaria omertà.

Ebbene tacere non è più opportuno. Meglio strigliare, fare la voce grossa. Altrimenti l’anarchia dilagherà, senza argini e senza confini. Confini come quelli dei box, adiacenze obbligate. Che possono generare come è ovvio convivenze forzate, più o meno collaborative. In questo caso si vede rosso. La lotta è ovunque, relegata al centesimo, tra chi dovrebbe collaborare, tra chi non ne vuole sapere di rallentare. Una corsa verso la gloria del futuro. Oppure una strenua resistenza per dimostrare di esserci ancora.

Prendiamo Vettel. Massacrato dalla stampa, licenziato senza convenevoli. Un primo gran premio in cui, pur causa vettura inguidabile, si è macchiato di un errore. Il ragazzo è intelligente, consapevole dei propri mezzi. Allora oggi opera una scelta conservativa, anche per via delle gomme. Accetta di perdere posizioni in partenza, di essere sfilato, contando ottimisticamente di recuperare, scegliendo opportunamente di non strafare. Niente di troppo oltre la ragione. Si accoda con giudizio, calibra ogni azione, sia mai che finisse nuovamente sul banco degli imputati…

Mattia Binotto, team principal Scuderia Ferrari

Poi c’è Leclerc, l’eroe del Red Bull Ring, della Stiria o “come diavolo si chiama“, per citare un Kimi evergreen. Il ragazzo è un talento speciale, e non servono queste parole per ricordarlo. Infiammato dal sacro fuoco di una rimonta insperata, ancora ebbro da un podio e da una seconda posizione agguantata con le unghie, con i denti e con un pizzico di fortuna, Charles spera di ripetersi. Nonostante la qualifica sfortunata, nonostante la monoposto inadeguata. Il suo cuore batte e promette riscossa. Una qualifica deludente e una penalità costituiscono motivazioni abbastanza forti per andare all’attacco.

Osare, sempre e comunque. Caratteristica dei campioni, prerogativa degli audaci. Charles spinge la sua Ferrari in partenza, si appaia a Vettel, autore di uno start deludente causa coperture. Sono entrambi nel mucchio, in quella ressa caotica che accumula gli abitanti della mezza classifica. C’è chi s’ingegna per risalire, c’è chi attende sornione la propria occasione. C’è chi da lontano guarda e pianifica. Il fondo è salvifico per coloro che puntano solo a un’innocua sopravvivenza. Ma la Ferrari, solitamente, abita i piani alti e non è avvezza alle mezze misure. Non accetta di sgomitare, tanto meno di aspettare. Specie se a guidarla è un cavallo di razza che risponde all’epiteto di ‘predestinato‘.

Charles diventa indemoniato, scalpita, s’imbizzarrisce. Fino a cercare un varco impossibile. Lo fa – e qui il fato nemico ci mette lo zampino, anzi le ruote – a scapito del suo compagno, infilandosi dove lo spazio non esiste. Sebastian non allarga, è in bagarre con altre due vetture, ma neppure stringe. Leclerc fa tutto da solo, si butta, allunga la staccata, non controlla e, complice un cordolo che lo scompone, finisce malauguratamente contro il compagno, in un contatto sciagurato. Il monegasco salta letteralmente addosso alla Ferrari numero 5, tarpandogli l’ala posteriore e costringendola al ritiro, come un’ape che affoga nel miele.

Charles Leclerc e Sebastian Vettel, piloti Ferrari

Si parla dunque di fiele, di bile, di punto di non ritorno. Ma in realtà la colpa è solo di questa Ferrari. Ammaliante sempre, vincente mai. Carente al punto che genera una lotta fratricida tra i suoi piloti, pronti a darsi battaglia nel nulla pur di non soccombere. Scene quasi freudiane in un contesto dove la psicologia fa da contorno. Alle parole vuote e reiterate di chi, come Binotto, non sa come gestire capra e cavoli. Eppure, come direbbe l’incontestabile senno del poi, ha voluto la bicicletta…

Io, che pedalo per diletto, ho usato le due ruote per schiarirmi le idee. Mentre le ruote giravano, per fare sbollire la rabbia, ho realizzato che non c’è errore che non sia figlio di una situazione di necessità. Se rubo una mela per fame non sono un vero ladro. Se tento una manovra azzardata, ai limiti dell’assurdo, perché altrimenti sarei spacciato, non sono un kamikaze. Allo stesso modo, se soccombo girandomi in un corpo a corpo non sono un inetto. Questo è tutto. Charles e Seb a questo punto sono le stesse facce di un’identica medaglia. Illustri e degni di blasone, ma costretti alla ruggine, causa mancata occasione.

La sentenza di Austria e Stiria è unanime: a meno di eventi fortuiti, ci si scorda persino di lottare tra quelli che contano. Lo sa bene un mastino come Kimi, neppure a punti con una vettura deludente. Ne è consapevole Antonio che ci prova sempre, con un Alfa irriconoscibile. Le Hass non pervenute. Ma è davvero questo il destino di chi si fregia del nome (e del motore) di una Ferrari?

Charles Leclerc, pilota Ferrari

Si tocca il fondo senza neppure avere avuto l’opportunità di testare il nuovo fondo. Si abbandona prima di aver avuto la possibilità di verificare e di analizzare i piccoli passi avanti sulla stessa pista. Un banco di prova importante è stato completamente eliminato da un attimo di foga. Ma, torno a ripetere, la colpa, apparentemente e coerentemente di Leclerc, non è da attribuire al pilota. Almeno non in maniera esclusiva. Charles stesso ammette: “ Oggi ho commesso un errore e devo riconoscerlo. Sono sempre stato onesto e devo dire che oggi non sono stato bravo… Sono semplicemente deluso da me stesso.”

Il mea culpa di Leclerc gli fa onore. Allo stesso modo valgono le dichiarazioni di un Vettel dispiaciuto, comunque pacato, mai alla ricerca di polemica, che si rammarica di non aver avuto occasione per effettuare un long run, importantissimo per verificare la validità dei nuovi aggiornamenti. Ciò che non va, a Maranello, non sono certo i piloti. Esperti o arrembanti, in cerca di conferme o astri nascenti, comunque di prim’ordine. Serve riorganizzare le idee, le priorità e la gestione. Serve, prima di tutto, una direzione. Ma soprattutto c’è un disperato bisogno di migliorare. Affinché i piloti non siano più costretti a sbagliare.


Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco

Foto: Ferrari

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Veronica Vesco