Formula 1

Mercedes: la stabilità aziendale è il segreto dei successi in F1

Nella vulgata comune il settimo anno è quello che dovrebbe portare crisi generalizzate e sciagure assortite. Dopo i primi due Gran Premi stagionali sembra che questa regola non scritta non si applichi al mondo Mercedes che, dopo aver dominato con imbarazzante superiorità nei sei anni precedenti, si appresta a marchiare a fuoco con la Stella a Tre Punte anche questo anomalo 2020 da definire ancora nel dettaglio. La situazione è abbastanza chiara e lascia spazio a ben poche interpretazioni: le W11 sono il riferimento tecnico della categoria, ancora una volta. Lo saranno per tutta la stagione? Difficile a dirsi, ma la sensazione è che gli avversari principali abbiano gatte da pelare più o meno grosse.

La Red Bull esce dalle due gare gemelle di casa ridimensionata. Che i “bibitari” dovessero ancora inseguire era evidente già dopo i test di febbraio. Ma molti, a partire dai tecnici di stanza a Milton Keynes, ritenevano che il distacco dalla vetta fosse minore. La sorpresa è arrivata, per ora, sul frangente motoristico. Il V6 turbo-ibrido messo a punto sotto la nuova guida di Hywel Thomas pare aver staccato nelle performance il propulsore Honda da cui ci si attendeva qualcosa in più anche perché a Tokyo hanno avuto la possibilità di lavorare mentre le fabbriche europee erano chiuse dal lockdown imposto dal Coronavirus.

Se i “Tori” sono comunque sulla strada giusta per provare ad infastidire le Mercedes, diversa è la situazione della Ferrari. Quella che l’anno scorso è stata la seconda forza del campionato è calata a rotta di collo in un baratro tecnico dal quale sarà difficile riprendersi nel breve periodo. Gli aggiornamenti portati nel GP di Stiria non hanno funzionato. Altri ne dovrebbero arrivare tra cinque giorni, ma restano i timori per l’atavica mancanza di correlazione tra le risultanze del simulatore e i dati che la pista impietosamente evidenzia. Già si parla di un SF1000 in versione B per la gara di Barcellona, quinto appuntamento in calendario. Quando, in pratica, Mercedes e Red Bull, che non restano a guardare e sviluppano costantemente, potrebbero aver già preso il largo i classifica. Un gap che difficilmente si andrebbe a recuperare stante la limitazione sulla possibilità di sviluppo. Specie sulla power unit che sono il vero tallone d’Achille della monoposto rossa dopo le indagini della FIA dell’anno scorso e le succedanee direttive che hanno reso il V6 di Maranello un fucile che spara a salve.

Lewis Hamilton festeggia dopo la vittoria del GP di Stiria

Che Mercedes abbia fatto un netto scatto in avanti rispetto a 12 mesi or sono lo si capisce dal diretto paragone prestazionale tenendo il tracciato di Spielberg come costante. Quello austriaco è un nastro d’asfalto che era rimasto abbastanza indigesto alle vetture argentee. L’anno scorso fu trionfo Red Bull con la Ferrari incollata a giocarsi la gara – con Leclerc – fino alle battute conclusive. Due anni fa andò addirittura peggio: le W09 conobbero un doppio ritiro causato da defaillance idrauliche. La configurazione altimetrica della pista ha sovente creato grattacapi al turbo non troppo generoso in dimensioni progettato dal reparto Powertrains di Brixworth. Quest’anno, nel giro di sette giorni, la W11 ha dimostrato di aver superato i problemi che affliggevano le sorelle maggiori ed ha impartito una lezione alla RB16 che, sulla carta, doveva fare faville sull’asfalto amico. Se questa superiorità si proietterà negli altri appuntamenti iridati allora si capisce come le sorti di questo campionato possano essere segnate. Anche se siamo solo agli albori della tenzone.

Questione di continuità

Ma qual è il segreto del successo della Mercedes? Come fa questo team a imporre il proprio imperio così a lungo e in maniera così perentoria? Perché è in grado, ancora, di non abbassare la guardia e di non concedersi battute d’arresto o passi indietro come, ad esempio, è accaduto alla Ferrari dell’era turbo-ibrida? La parola chiave è continuità. Sotto tanti e decisivi aspetti.

Poco prima dell’inizio di questo mondiale la Mercedes ha comunicato l’avvicendamento tra Cowell, padre del V6 che ha riscritto la storia della F1, e Hywel Thomas. Molti hanno pensato ad una rimozione forzata dovuta alle difficoltà motoristiche incontrate nella seconda parte della scorsa stagione. Alcuni adombravano la possibilità di un calo prestazionale importante anche nel 2020 e sollevavano, brandendola, la questione affidabilità emersa di botto durante i test invernali. Nulla di tutto questo. A Brixworth si è operato un passaggio di consegne programmato tra un ingegnere responsabile e un suo stretto collaboratore che lavora in Powertrains da almeno tre lustri.

Il team campione del mondo opera così, non ha bisogno di ricercare spasmodicamente risorse esogene per affidare loro ruoli di comando. E quando lo fa opera con oculatezza. Emblematico è il passaggio di testimone tra Aldo Costa e James Allison, tecnici entrambi provenienti da Maranello e che sono alla base dei successi delle Frecce d’Argento. Allison è entrato nello staff tecnico ed ha preso poteri man mano che Aldo Costa firmava il suo disimpegno. Un avvicendamento morbido, non shockante, nel quale sono rimaste ben salde le filosofie concettuali che hanno reso le varie “W” le monoposto da battere. Allison ha lavorato, sublimandoli, su qui principi postulati ed applicati da Costa: il passo lungo, il rake relativamente basso, la capacità del corpo vettura di generare grandi punti di carico aerodinamico. Concetti mai rinnegati. Anzi, che sono stati sviluppati, affinati, perfezionati in maniera maniacale. La W11 è figlia e frutto di questo lento e costante processo di cesellatura aerodinamica e meccanica.

Toto Wolff, James Allison e Lewis Hamilton

In Mercedes non assistiamo a epurazioni o a stravolgimenti nel ruoli di peso, ma a costanti assestamenti. A Brackely non si producono terremoti, si osserva piuttosto il corso d’acqua modellare la terra adattandola alle sue esigenze di scorrimento. Altra chiara manifestazione di questa filosofia aziendale è data dalla continuità nella gestione sportiva. Toto Wolff è arrivato nel team insieme a Lewis Hamilton, nel 2013. Dal quel momento è saldamente in sella. E lo fa in virtù della fiducia che ottiene dalla proprietà tedesca, un lasciapassare che gli consente di essere un vero e proprio plenipotenziario. Un legame col team talmente saldo e immarcescibile che ne è diventato anche azionista di rilievo in virtù dell’acquisizione di circa il 33% del pacchetto. Un decisore libero e che agisce per gli interessi del team. Ma anche per i propri visto che i successi gonfiano anche il suo portafogli.

Alla continuità gestionale che ha le sembianze di Wolff si associa anche l’assiduità programmatica. La visione industriale di Daimler AG è chiara e coerente: la Formula Uno è una risorsa che consente di massimizzare gli introiti da ritorno di immagine con un investimento nullo visto che il team si autofinanzia da ormai un lustro. Il progetto F1 nasce e cresce grazie alla lungimiranza e alla passione di Dieter Zetsche che ha creato in prima persona una macchina da guerra selezionando con cura certosina gli uomini chiave, da Wolff a Lauda passando per Lewis Hamilton. Con il pensionamento del baffuto dirigente si pensava che la voglia di motorsport di Stoccarda calasse. Per lunghi mesi non si è fatto che congetturare su un disimpegno totale o parziale della casa automobilistica che avrebbe seguito la volontà di un Ola Kallenius poco entusiasta della sfera sportiva e più avvezzo a far quadrare un bilancio caduto in un preoccupante rosso. Nulla di più falso. Il programma F1 è stato confermato. E addirittura rilanciato visto che le power unit Mercedes andranno ad equipaggiare tre team oltre a quello ufficiale. Ciò vuol dire che otto vetture, ossia il 40% del totale di quelle presenti in griglia, monteranno un motore che esce dagli stabilimenti di Brackely. La cosa si traduce in un duplice vantaggio.

Il primo è di stampo economico: i motori costano caro e i team clienti li pagano profumatamente per averli. Ma c’è anche un ritorno strategico. Avere quattro squadre sotto il controllo più o meno diretto fa sì che la Mercedes abbia una grande incidenza politica. Essere “pesanti” al tavolo delle trattative per la scrittura delle norme tecnico-sportive è un vantaggio rilevante. Dopo la vittoria dei primi anni Dieci, quando fu certificata l’introduzione dei propulsori ibridi, Stoccarda continua ad imporre la sua visione strategica del motorsport. Complice anche una concorrenza che troppo spesso si smarrisce in facezie e guerre intestine perdendo di vista l’obiettivo primario. A Brackely hanno chiarissimi i propositi e fanno di tutto per raggiungerli. Una spietatezza politica figlia di una pragmatismo aziendale che sta facendo la differenza e sta generando una sorta di mostro sportivo che sembra marciare in maniera inarrestabile verso trionfi mai prima raggiunti in Formula Uno.

La Mercedes W11 di Lewis Hamilton in azione durante il GP di Stiria

La perfetta rappresentazione di questo stile votato all’assiduità aziendale è dato dalle line-up piloti che negli anni si sono succedete. Sono solo quattro i driver che hanno guidato una Mercedes da quando questa è ritornata “in prima persona” in F1: Michael Schumacher, Nico Rosberg, Lewis Hamilton e Valtteri Bottas. E la parabola sembra che debba continuare nella sua traiettoria dato che, stando anche alle parole dell’AD svedese, la coppia Hamilton – Bottas dovrebbe rinnovare il legame anche per il 2021. Un duo che si rispetta, che sa lavorare di concerto e che ha dimostrato di essere sano nelle relazioni rispetto alla pericolosa opposizione che si era creata tra Hamilton e Rosberg.

Mercedes, in conclusione, è una precisa visione strategica prima di essere un team. Una metodologia di lavoro sedimentata, resa di anno in anno più efficace ed efficiente, che è in grado di rispondere prontamente anche ai mutati scenari tecnici. La stabilità di squadra come costante per affrontare e vincere le sfide che uno sport così competitivo come è la Formula Uno presenta in ogni stagione. Siamo solo agli albori di questo campionato, sarebbe errato fare del facile determinismo e considerare il caso particolare – leggasi i due GP d’Austria – alla stregua di una legge generale. Ma la sensazione che anche quest’anno gli uomini di nero vestiti siamo la stella polare da inseguire è pressante. Tra cinque giorni, in Ungheria, avremo ulteriori risposte in tal senso.

Autore: Diego Catalano @diegocat1977

FotoF1Mercedes

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