Auguri F1
Domenica prossima la F1 festeggerà i suoi primi settant’anni e noi con lei saremo testimoni di questo evento tanto atteso anche se, parliamoci chiaro, non si può proprio parlare pienamente di festeggiamento. Che festeggiamento vero è senza pubblico, che festa è senza ragazze danzanti e sorridenti per la pista? Le cose succedono, purtroppo, e non possiamo farci nulla se non sperare di festeggiare i suoi ottanta anni in maniera consona e decisamente diversa da ora.
Di sicuro, nel 1950, tutti questi problemi il pubblico di allora non ne aveva. Anzi, lasciatemi questa piccola digressione storica: l’umanità del 1950 veniva da problemi ben più seri del Covid, come le macerie lasciate dalla seconda guerra mondiale. Nonostante la devastazione e la miseria del conflitto globale, il mondo si è rialzato per ritornare al più presto alla normalità.
Il primo GP di F1 in assoluto svoltosi proprio in quell’anno, proprio su una ex pista militare di atterraggio (non a caso abbiamo una parte della pista che si chiama “hangar straight” ) e pista sulla quale praticamente si corre da sempre, è la testimonianza diretta di quella voglia di ritornare alla normalità. Che tempi che erano quelli, per l’ingegno e la tecnica. Che tempi erano quelli per i piloti… veri cavalieri del rischio. Impavidi, spavaldi, che rischiavano la vita già all’accensione della macchina! Altro che caschi (usavano un cappuccio di cuoio), altro che protezioni, altro che perbenismo social… le piste di F1 erano un cimitero itinerante, inutile girarci intorno; e nonostante questo le gradinate e i prati erano sempre pieni. E’ stato grazie al sacrificio di quegli eroi sprezzanti del pericolo, che inseguivano non di certo la morte (tutt’altro, inseguivano l’immortalità), che oggi abbiamo raggiunto livelli di sicurezza inimmaginabili, tanto da azzerare quasi completamente la morte sui circuiti del motor sport.
Nel 1950 alla prima gara, su sette in totale, più altre 16 (sedici!) non valide per il campionato, allo schieramento di partenza si presentarono quattro Alfa Romeo (che con la Sauber di oggi non ha nulla a che vedere), sei Maserati e altre scuderie minori. Ferrari non si presentò perché i soldi di partecipazione offerti li considerò un affronto: troppo pochi (il Vecchio è sempre stato cosi: o tutto o niente, anche quando non era ancora il re indiscusso dei costruttori in F1). A guidare le Alfa c’erano Juan Manuel Fangio, Nino Farina, Luigi Fagioli e (in onore alla nazione ospite) Reg Parnel.
Oggi gli inglesi la fanno da padroni. Prima invece i costruttori d’oltre manica erano i nostri scendi letto e non potevano che stare a guardare la prima fila targata tutta Alfa (prima partivano in quattro di fianco… tipo motoGP); cosa che si replicò nelle prime tre posizioni a fine gara con Nino Farina che andò a vincere davanti ad un signore di nome Fangio e all’inglese Parnel.
Quel 13 maggio del 1950 iniziò un sogno che si chiamava F1 e dopo settant’anni noi siamo gli eredi di quel sogno. Cosa direbbero ora di questa F1? Sono sicuro che rimarrebbero a bocca aperta nel vedere meccanicamente cosa il genere umano è riuscito a produrre nel corso degli anni (chiedete ad Hamilton cosa ne pensa della Mercedes di Stirling Moss) sui circuiti del mondo. Eppure sono sicuro che avrebbero da ridire non poco su cosa sia diventata, sia sul lato sportivo che umano, questa attuale F1: la vera natura del nostro sport è quella di osare e di sfidarsi sempre oltre i limite, sia sui tavoli da disegno e soprattutto in pista. No, sono sicuro che i pionieri della F1 si lamenterebbero eccome, considerando i sacrifici profusi negli anni.
Auguriamoci che tutta la governance della F1 capisca che cosi come è strutturato tutto il Circus, non va bene. Nel frattempo auguri F1, lunga vita a te.
Buon GP a tutti
Autore: Vito Quaranta – @vito1976
Foto: Formula Uno – Alfa Romeo