Formula 1

Vettel: il lungo viaggio di un uomo tranquillo

Vettel: il lungo viaggio di un uomo tranquillo


Vettel, “l’uomo che salì sulla collina e scese dalla montagna“. Il titolo di un film che potrebbe riassumere la sua storia agonistica, ma anche la piccola follia di una scalata per affrontare sua maestà il monte Fuji. 3.776 metri da percorrere, con l’entusiasmo dei 21 anni, senza altra logica fuorché quella di inseguire l’ispirazione del momento. Ecco, forse per Sebastian la vita è sempre stata così, semplice e istintiva, perché, come lui stesso afferma: “Non preoccuparti, fallo e basta. Se pensi che sia una buona idea, fallo. E lo capirai strada facendo.”

Vettel, che di strada ne ha fatta tanta, parla dall’alto dei suoi 250 Gran Premi. Miriadi di chilometri che si snodano lungo i circuiti di tutto il mondo, sinuosi come promesse, insidiosi come chimere. Soddisfazioni e delusioni, attimi intensi che non si possono riassumere nel freddo linguaggio dei numeri, tasselli che vanno a inserirsi in una classifica dove non conta il cuore, dove viene meno l’intensità. Difatti Sebastian sottolinea che non sia una statistica giusta, a paragone con il passato, poiché “una volta si disputavano meno gare rispetto ad oggi, dunque il conto risulta un po’falso“.

Sebastian Vettel, stagione 2020, Ferrari

Sebastian Vettel è così, resta a metà tra cielo e terra, tra sogni e realtà. Concreto e metodico per quanto concerne il lavoro, passionale e impetuoso come certe sue manovre in pista. Comunque uomo del presente, lontano da ogni tipo di rimpianto. “Non sono solito guardare indietro. Se lo faccio è solo per cercare di imparare qualcosa. E se c’è una lezione da apprendere spero di non farmela scappare. Ma non sto guardandomi indietro per pensare a quanto fossi grande o a quanto sia stato bello un determinato momento. Ovviamente non rinnego i bei ricordi, e questi mi spingono anche nelle successive situazioni, ma generalmente non passo molto tempo in queste congetture. Preferisco guardare avanti“.

E avanti Seb guarda davvero, verso un futuro nuovo, ignoto, ma non troppo. Quanto basta per non trasformarsi in un salto nel buio. Avevamo temuto che Vettel mollasse, sfiancato dagli anni tetri di una Ferrari matrigna, accolto dalle lusinghe di una famiglia meravigliosa. Invece la sua favola continua, lontano dal rosso, dall’Italia, da quella che per sei anni è stata casa e passione:

Lawrence Stroll mi ha convinto. Sicuramente un aspetto riguarda il fatto che la squadra stia crescendo, ma ci sono molti fattori. Alcuni abbastanza facili da valutare, in termini di prestazioni ad esempio. Ma penso che sia stato ancora più importante constatare che c’era una mentalità vincente e la volontà di fare qualcosa di buono. Suona come un progetto divertente, qualcosa di cui alla fine ho deciso di fare parte. Penso che si tratterà di un viaggio interessante e stimolante per me e per tutto il team e unendomi a loro spero di contribuire a costruire qualcosa di buono dentro e fuori dalla vettura.”

Lawrence Stroll, patron della Racing Point

Si costruisce insieme, e, allo stesso modo, si sbaglia insieme. Questo forse non vale per Vettel, bersagliato oltre misura dalle critiche. Oggetto di fiducia, prima; di biasimo, poi. La legge della Ferrari non perdona. Il pilota che non conclude matematicamente delude. Si tratteggiano bilanci sommari, che prescindono dalla totalità dei dati, basati spesso e volentieri sulle sole evidenze. Purtroppo e malvolentieri su ingiuste sentenze. Dettate da impressioni e da tifo, dalla frustrazione e dalla rabbia di un risultato sfumato. Sebastian però non è molto più indulgente con se stesso. Infatti, parlando di Ferrari, riconosce:

Effettivamente è vero che ho fallito perché mi ero posto l’obiettivo, che consideravo una missione, di vincere con al Ferrari. Ci sono cose che avrei dovuto fare meglio, altre che avrei forse dovuto vedere prima, battaglie che forse non avrei dovuto scegliere di ingaggiare. Ma poi penso che è proprio tutto quello che è successo ad avermi portato dove sono ora. […] Se voglio essere obiettivo e duro, allora dico che ho fallito. (Parlando dell’errore a Hockenheim, n.d.r.) c‘erano delle giuste ragioni? Forse, ma non posso accoglierle come scusanti. Qualsiasi cosa sia successa mi ha permesso di andare al livello successivo, facendo un passo in avanti per concentrarmi. Certo, ci sono state lotte che non valeva la pena di intraprendere, ma parte di questo probabilmente è da ascrivere alla mia natura, dunque è stato naturale farlo.”

Sebastian Vettel

Vettel, genio e sregolatezza. Razionale quando serve, emozionale come pochi. Sebastian si butta a capofitto lungo la pista, accarezza i propri sogni, li frusta e li giustizia. Mette alla porta i facili proclami, sovverte i pronostici, brilla e sprofonda. Rappresenta il lato umano di questa Formula Uno, sempre più perfetta, più che mai esigente. Il tedesco ha metodo, piglio, esperienza. Doti uniche da veterano unite all’istinto feroce di un debuttante. Che non perdona, neppure se stesso. Cadute che fanno male, che innescano la rabbia. Eppure Vettel risale, rimonta, risorge. Con la genuinità tipica delle persone autentiche e la “sovversività” cara a chi vive d’istinto.

Diversamente da tutti gli altri piloti nel paddock non ho molto da condividere. Sono solo me stesso. E sono felice della mia personalità. Si può dire che io sia un ribelle, ma non nell’accezione di pazzo o selvaggio.Tutto ciò che faccio, lo ritengo normale, ma in realtà non so se la mia normalità possa essere considerata noiosa o estrosa. Penso di interessarmi a molte cose che le persone possono trovare noiose e altre che possono essere considerate folli.”

Un uomo tranquillo, ma assolutamente fuori dal comune. Ecco una delle tante contraddizioni di Seb Vettel da Heppenheim. E non si smentisce neppure parlando di vittorie ammettendo: “Non voglio apparire stupido, tuttavia vincere per me significa sempre meno oggigiorno. Credo che tutto sia più incentrato sul viaggio, su ciò che ti porta ad arrivare lì, ed è questo il momento reale che si ricorda di più. Mi piacciono i trofei e penso che vincere ti dia la conferma definitiva di ciò che hai ottenuto. Ma, quanto alle vittorie… Non ne ricordo il numero. […] E neppure dei podi. Insomma, sono qui per vincere, ma non correrei solo per questo. Lo faccio perché amo le corse. Diciamo che ho bisogno di avere la sensazione di poter vincere. La vittoria è importante perché rappresenta una conferma in più.”

Sebastian Vettel, Ferrari, Gp del Belgio 2020

L’inno tedesco che suona, austero e marziale. La bandiera che sale, issata al centro del podio, in una fermezza quasi innaturale. Una coppa che si presenta, tra gli spruzzi cristallini dello champagne, per brillare nel riflesso di luce e di goccioline evanescenti. Una cornice perfetta per coronare un sogno, un fantastico contesto per ospitare la meta. Ma, come dice Sebastian, la parte più importante è quella del viaggio. Il momento del coraggio, della follia; del calcolo o dell’attesa; della sorpresa o di una mancata intesa. Perché in fondo la vita è composta da innumerevoli itinerari, da cavalcate solitarie e battute d’arresto, da duelli all’ultima ruota e da sorpassi mancati. Il punto d’arrivo è solo un pretesto per consentire di intraprendere una nuova, inedita avventura.


Autore: Veronica Versco – @veronicafunoat

Foto: Ferrari – Formula Uno

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Veronica Vesco