Il titolo di questo scritto è volutamente eccessivo e deliberatamente provocatorio. Ma ha un senso che proveremo a spiegare: intendiamo smontare una rischiosa – e se vogliamo fantasiosa – teoria espressa da Eugene “Gene” Francis Haas, il proprietario dell’omonimo team americano che nella sua esperienza in Formula Uno si è distinto per non essersi quasi mai distinto. Veniamo subitaneamente ai fatti. Il manager, forse per giustificare la mestizia dei risultati delle ultime stagioni, si è scagliato contro la Mercedes rea, appunto, di essere la causa della piega che la classe regina del motorsport ha preso negli ultimi anni. Un capo d’accusa pesante, eccessivo anche per il più ferreo dei detrattori della Stella a Tre Punte. Un atto di imputazione che si regge su un impianto debole. Che va smontato. Per il bene di questo sport.
Forse, proprio per voler uscire dall’anonimato e per smarcarsi da prestazioni tutt’altro che mirabili offerte da piloti dediti fin troppo spesso all’autoscontro, il buon Gene ha inteso agitare le acque prendendosela con quei cattivoni di Stoccarda che, a suo dire, avrebbero rovinato la Formula Uno in forza di vittorie reiterate, imbarazzanti (per gli sconfitti) e senza appello. Ma vediamo quale spartito ha suonato il manager di Youngstown: “Mercedes ha costruito un propulsore estremamente performante, ad alta efficienza nei consumi. Inoltre ha il merito di durare nel tempo visto che nessun altro team è stato in grado di avvicinarsi alle prestazioni del V6 anglo-tedesco. Per me questo ha ucciso lo spirito della Formula Uno. Chi vuole andare ad una gara quando si sa già chi vincerà ogni volta? Così diventa noioso”.
Ha ragione Eugene? La Formula Uno è diventata noiosa? Mi permetterei di dissentire, ma ognuno ha il suo legittimo e rispettabilissimo parere. A risultare tediose sono piuttosto le nenie di chi ha come mission aziendale la partecipazione senza pretese di trionfo. Le lamentele di quelli appiattiti su regolamenti cervellotici e sempre meno leggibili che essi stessi hanno votato, approvato e in alcuni casi richiesto. Ecco perché il j’accuse non coglie nel segno e sortisce l’effetto contrario. “Quando nel 2020 la Ferrari ha avuto un taglio della potenza – ha proseguito Mr. Haas al portale Racer – è sembrato ovvio che tutte le vetture con quel motore presentassero dei deficit prestazionali rispetto ai tre motori rivali. La nostra barca è legata alla nave Ferrari: quando loro vanno piano noi siamo ancora più lenti. Non credo ci sia molto da fare a riguardo. Non abbiamo il minimo controllo sulle parti fornite dalla squadra di Maranello, ma siamo fiduciosi sul fatto che possano risolvere i problemi avuti nel corso del 2020”. Parole che sanno di resa preventiva, di abitudine ad essere uno tra i tanti. E’ l’idea di bivaccare senza picchi e slanci che annoia profondamente gli appassionati.
La Mercedes, negli anni, ha costruito il suo dominus sportivo innalzando, mattone dopo mattone, un monolite politico che l’ha effettivamente messa in una posizione di vantaggio. La tecnologia turbo-ibrida, ancor prima che fosse introdotta, era nota in quel di Brixworth. Viene da sé che nel 2014 le Frecce d’Argento abbiano dettato legge con una sicumera quasi fastidiosa. Non è però tollerabile, dopo otto anni, leggere ed ascoltare alti dirigenti dolersi per il quadro regolamentare definito agli albori degli Anni Dieci. Un qualcosa che si è verificato anche grazie all’accordo manifesto degli altri competitor. Un qualcosa a cui si è arrivati anche grazie al beneplacito di Bernie Ecclestone che ora è il primo grande accusatore dello status quo che egli stesso ha contribuito a creare. Un cortocircuito logico dal quale nessuno sembra volersi affrancare. Perché? Semplice, è una comoda attenuante per giustificare l’incapacità – o la mancanza di volontà – di contendere lo scettro del migliore alla Mercedes.
La F1 d’oggi è basata essenzialmente su un concetto: meno pista e più simulatore. Questo quadro è incorniciato in un altro caposaldo: la riutilizzabilità delle parti meccaniche. Una politica votata ad un risparmio di facciata che viene abbondantemente compensato da esorbitanti costi di ricerca e di sviluppo per le attrezzature tecniche necessarie a ricreare “in laboratorio” le condizioni reali che la pista offre. Anche in questo caso Brackely era all’avanguardia già due lustri fa. E negli anni il gap tecnico-strutturale pare essere lievitato invece di affievolirsi come era auspicabile.
Perché Ferrari ha accettato tutto questo? La risposta non è in nostro possesso. Potremmo fare solo delle congetture. E’ lecito però asserire che a Maranello hanno peccato di imprevidenza. La Rossa è la scuderia che possiede più piste di proprietà. Forse è l’unica ad averne. E’ il team che deteneva la squadra test più all’avanguardia del lotto: un vero e proprio fiore all’occhiello che è stato alla base del dominio del quinquennio 2000-2004. Ancora, è un’azienda che ha una spiccata competenza nella creazione e nello sviluppo di propulsori plurifrazionati aspirati. Negli anni, in maniera quasi passiva, a Maranello si sono adagiati su una visione strategica del motorsport lontana anni luce dalla sua naturale inclinazione. Questa serie di scelte strategiche più subite che imposte nonostante il diritto di veto esclusivo ha condotto quasi inconsapevolmente agli attuali rapporti di forza. Non che la Scuderia sia la sola responsabile, il Patto della Concordia impone che certe decisioni si prendano all’unanimità, ma la sua vocazione di costruttore pistaiolo (per mutuare un terminologia cara a Maurizio Arrivabene) è quella che sembra maggiormente incompatibile con la traiettoria intrapresa dalla Formula 1.
La divagazione sulla Ferrari si è resa necessaria per dimostrare come le parole di Gene Haas siano ingenerose e suonino come un maldestro scarico di responsabilità su entità terze quando i fatti dicono che gli imputati sono invero gli accusatori. Haas sconta l’alleanza strategica con Maranello e la quasi impossibilità di operare scelte diverse da quelle prese in quel di Modena. Ricalcare pedissequamente sentieri già battuti, alla lunga, conduce su un binario morto. Ciò che è successo nella compagine americana. “La critica è un fucile molto bello, ma che deve sparare raramente”. Così ebbe a dire Benedetto Croce. Questa massima, semplice nella formulazione ma devastante nel contenuto, andrebbe suggerita a Gene Haas. E andrebbe spiegata a chi emette sentenze per sollevare se stesso da responsabilità manifeste. Perché il primo passo verso la crescita è quello di ammettere le proprie deficienze. Siano esse tecniche, siano esse politiche.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977i
Foto: Mercedes, Haas
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Credo che la risposta a tutto questo l'abbia data Salo qualche giorno fa quando ha spiegato la penalità inflitta alla Ferrari. Ha detto che il sistema che la Ferrari usava "non era legale né illegale", quindi era semplicemente qualcosa di diverso. Per questo la Ferrari ha fatto un campionato sotto una penalità inflitta. Il DAS della Mercedes non è legale, ma è stato mantenuto e nessuna penalità inflitta. Due pesi, due misure, da anni. Tutto qui.
Salo ha ritrattato quell'uscita perchè era effettivamente inesatta. Il DAS ottemperava al regolamento tecnico. Non è stato vietato, è stato semplicemente riscritta la norme per impedire a Mercedes di usarlo ancora nel 2021. Le cose possono osservarsi da diversi punti di vista...
Salo ha gettato il sasso e poi ha nascosto la mano, resta il fatto che il sasso è stato gettato.
È evidente a tutti che da anni in F1 la Merc fa quello che vuole egualmente ed illegalmente, vedi per esempio i test segreti con Pirelli senza ricevere alcuna sanzione degna di nota, ma ce ne sono molti altri di esempi che si potrebbero fare.
La Merc ha costruito il suo dominio sulle regole ed il potere politico grazie soprattutto alla collusa FIA.
Collusioni, pratiche illegali... Sono termini molto forti in assenza di prove oggettive. Io sarei più cauto nelle accuse.
Il problema è lo sviluppo limitato. Una insulsaggine in F1. Chi non è in grado di stare lì, che faccia altri campionati. La F1 è il top. Sennò che top e.
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