F1. Spero che i miei lettori non siano troppo contrariati se ogni tanto mi diletto a spiegare un pochino di storia, cercando dei paralleli che mi paiono interessanti. Il Congresso di Vienna si svolse fra il 1814 e il 1815. Fu la riunione di tutte le nazioni, ovviamente a Vienna (presso il Castello di Schönbrunn), che avevano combattuto contro la Francia (in diverse coalizioni), sia nella fase propriamente detta della Rivoluzione Francese (dal 1792, con la “prima coalizione”), sia in quella in cui Napoleone ne divenne il primo console (un bel “titolo” sinonimo di dittatore), fondando poi un Impero (sino al 1814, con il colpo di coda dei “cento giorni”). Il genio miliare del generale che si fece despota d’Europa tenne in scacco le nazioni del vecchio continente per quasi 15 anni.Dopo la definitiva sconfitta di Bonaparte, nella battaglia campale di Waterloo, i vincitori (Impero Austriaco, Regno Unito, Prussia e Russia i più “pesanti”) si sedettero attorno ad un tavolo, fra pranzi e balli, assieme allo sconfitto, quella Francia che stava per tornare monarchica e non poteva più essere un pericolo, per definire gli equilibri geopolitici che avrebbero dovuto governare l’Europa da lì in poi.
Ciò che ne uscì, nel bene e nel male, durò circa un secolo e fu spazzato via dalla prima guerra Mondiale, scoppiata nel 1914.Le linee guida del Congresso furono sostanzialmente due: il “principio dell’equilibrio”, vale a dire che nessuna nazione doveva essere abbastanza grande e forte da attaccare una sua pari e riportare così l’Europa alle guerre napoleoniche con l’incendio rivoluzionario (che metteva in discussione l’istituto della monarchia, fosse essa assoluta o costituzionale), e il “principio di legittimità”, vale a dire che nei regni che erano stati cancellati dal dominio napoleonico, e che venivano ricostituiti, per quanto possibile vi dovevano essere gli stessi regnanti (cosa complicata in Francia, visto che il re era stato ghigliottinato) o i loro diretti eredi.Va da sé che l’equilibrio fu realizzato infischiandosene dei diritti dei popoli e che il tentativo di riportare le lancette della storia all’era pre-rivoluzionaria fu tanto velleitario quanto inutile, perché la Storia non torna mai indietro.
Perché parlo del Congresso di Vienna? Perché qualche giorno fa, i principali attori della F1, in particolare modo i motoristi (Ferrari, Renault, Mercedes e Red Bull che “eredita” il propulsore Honda diventando anch’essa motorista dal ‘22), ente regolatore (FIA), ente che detiene i diritti sulla categoria (FOM), si sono riuniti per decidere le linee guida della massima categoria del motorsport, soprattutto alla voce propulsione ibrida, a partire dal 2025. Alcuni punti sembrano ormai assodati: avere propulsori dove la componente elettrica diventa sempre maggiore, ma più semplici e sempre più ecologici. L’Mgu-H dovrebbe sparire: è una delle componenti più complesse e costose, tanto da non essere stato adottato da nessun marchio automobilistico per la produzione di serie. Fra gli ospiti “interessati” e invitati al Red Bull Ring c’erano anche gli “ambasciatori” di Porsche e Audi, che magari potrebbero trovare appetibile entrare in F1 con le nuove motorizzazioni. Gli incontri di questo tipo sono quelli più importanti per definire gli assetti futuri di uno sport, e chi riesce ad interpretare meglio i nuovi cicli si trova davanti un’autostrada per vincere.
Un giorno sarebbe interessante ricostruire come si è giunti al regolamento del 2014, all’apertura dell’era turbo-ibrida che ha creato il più pesante dominio nella storia della F1: quello Mercedes. In quel caso, a mio parere, ci fu da parte di alcuni (Ferrari) una notevole sottovalutazione delle implicazioni di una tecnologia assai poco conosciuta (da parte loro), a fronte di altri (indovinate chi, sì, quelli che piangevano nel 2013 che continuando così si sarebbero ritirati e che fecero il famoso test Pirelli illegale) e che, a posteriori ormai si può dire, si videro quasi cucita su misura la nuova era della power unit in F1. Bravi loro, sia chiaro. E’ che la politica, che poi è la cornice attorno alla quale si muove la società ma anche uno sport, è tanto importante quanto ciò che accade in pista. Certo, siamo appena all’antipasto dell’antipasto; ma l’ambizione della F1 è quella di attrarre nuovi competitori, e questo lo si può fare solo se si garantisce un certo equilibrio (in questo caso specifico fra i propulsori) nel quale un pò tutti possano vincere. Anche perché, se non c’è un dominio netto e duraturo e c’è un livellamento prestazione, è chiaro che i tifosi seguiranno il prodotto con maggiore interesse e le case automobilistiche saranno incentivate a partecipare, visto che sarebbe escluso il rischio di figuracce. Volete mettere avere tanti vincitori con tante monoposto e non il monologo che ci ammorba dal 2014 dello stesso team e quasi sempre dello stesso pilota?
Tornando al “Congresso di Vienna”, la Francia fu molto abile con il suo “negoziatore”, Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, I° principe di Benevento che, nonostante la sua fosse la nazione colpevole di 22 anni di guerra, non ebbe nessun ridimensionamento territoriale (rispetto all’inizio delle guerre contro gli altri stati) e addirittura potè subito far parte delle nazioni di “serie A”. L’occasione è ghiotta. E speriamo che anche la Ferrari abbia il suo Talleyrand.
E’ chiaro che, mai come in queste occasioni, il genio diplomatico, la capacità di trattare e di ottenere vantaggi per il futuro, simulando e dissimulando, non mostrando tutte le proprie carte, lavorando di ago e filo, di idealismo e pragmatismo, siano doti fondamentali.
Nota a margine, assai curiosa. La fortezza dello Spielberg fu una delle più tristemente note nel periodo romantico-risorgimentale. Il nome è lo stesso della località in cui sorge il Red Bull Ring, ex circuito di Zeltweg. Il carcere-fortezza vide incarcerati detenuti comuni e detenuti “politici”. Fra di loro uno dei nostri patrioti risorgimentali più noti, Silvio Pellico, che ne scriverà poi nelle sue celebri memorie “Le mie prigioni”.Il sinistro edificio sorge nella attuale Repubblica Ceca, territorio che all’epoca era ricompreso nell’Impero Austro-Ungarico, principale ostacolo per l’unificazione italiana. Pellico vi passò circa 10 (terribili) anni: dal 1820 al 1830.
Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi