Tra tre giorni la F1 ritorna in azione. Zandovoort, la tana di Max Verstappen, sarà il teatro di un GP inedito che, si spera, possa servire a far parzialmente dimenticare lo scempio e la vergogna cui abbiamo assistito meno di 48 ore fa. Il GP fantasma di Spa Francorchamps ha tracciato un solco indelebile nella storia del motorsport. Una ferita tanto profonda che le autorità decisionali della categoria stanno pensando – e sarà sempre troppo tardi – di cambiare le procedure in casi straordinari. Perché la figuraccia è stata enorme e l’onta sarà dura da lavar via.
Quando si verifica un fatto clamoroso – e quello del GP del Belgio lo è – s’osserva il solito balletto di responsabilità. Di chi è la colpa? Di Micheal Masi? Di un regolamento che non va a normare puntualmente determinate fattispecie? Dei vertici di Liberty Media che devono rispettare contratti onerosi e che per questo, al di là della parole di facciata di Stefano Domenicali, hanno spinto per convalidare l’evento? La responsabilità è dei team che accettano passivamente le imposizioni? Quelle scuderie che, tra le altre cose, che si sono opposte ad una gara traslata di 24 ore? O il misfatto è ascrivibile ai piloti?
Direte: cosa diamine c’entrano i driver? Eppure, secondo qualcuno, erano loro a dover stabilire se prendere il via o meno. Araldo di questa teoria è Bernie Ecclestone che non poteva perdere occasione per esprimersi su quanto accaduto nelle Fiandre. Lui che ha sempre la soluzione in tasca avrebbe fatto diversamente: avrebbe individuato nelle 16:00 l’ultimo orario buono per partire per poi passare la palla ai piloti che avrebbero dovuto decidere, come gruppo compatto, se affrontare le insidie del tracciato.
Una soluzione più pilatesca che geniale quella postulata ex post dal novantenne ex manager che ha anche aggiunto che, una volta partiti, dovevano essere i singoli piloti a decidere di spingere a fondo o di restare cauti alzando il piede. Dunque, secondo Bernie, i driver avevano una scelta da operare tra due opzioni: rischiare guidando al limite o non farlo gestendo la vettura. Una posizione discutibile, sicuramente non in linea con gli standard di sicurezza che si sono imposti negli ultimi 30 anni e che diventano sempre più stringenti.
Una linea, ancora, che cozza con la prassi che racconta di un’associazione piloti mai coesa, dilaniata dagli interessi personalistici. Prendiamo i tre nomi che hanno composto il podio della vergogna e vediamo come si sono comportati: George Russell voleva correre, anche per due giri, solo per vedersi assegnato una piazza d’onore che per lui sarà grasso che cola, ma che è passata alla storia della F1 cme una buffonata farsesca senza precedenti.
Lewis Hamilton, il capofila della classifica iridata, ha detto in tutte le salse che non c’erano le condizioni per gareggiare. Probabilmente un punto di vista dettato dal suo interesse a congelare la graduatoria. Max Verstappen, neutrale come la Svizzera e cerchiobottista come un vecchio democristiano, non si esprimeva con veemenza sogghignano all’idea di guadagnare cinque punti sul rivale. Senza far nulla.
Quello descritto è lo specchio dell’aria che si respira nella Gran Prix Driver Association alla cui sommità siede Alexander Wurz, ex pilota austriaco di Benetton, McLaren e Williams. Il “gruppo sindacale” è una scatola nella quale coesistono interessi eterogenei – e spesso centrifughi – che raramente riesce a parlare con una sola voce. Cosa che, a tutti gli effetti, la fa ritenere un soggetto poco credibile in ogni contrattazione. Tant’è che non viene seriamente coinvolta in qualsiasi decisione strategica che la F1 deve prendere.
La GPDA è la casa dell’individualismo. E’ un organo che ha perso di vista la sua missione fondante. Un’associazione autoreferenziale che sta lì perché deve esserci. Figurarsi se i suoi componenti, nel caldo della confusione pre-gara, dovevano trovare la quadratura del cerchio. I piloti erano intenti a dormicchiare, ad inscenare simpaticissime macarene, ad andare in servizi igienici maleodoranti, a giocare a calcio nei box, ad ascoltare musica, a palleggiare solitari col muro. Azioni meritevoli di sforzi mentali superiori. Figurarsi se c’era tempo per metter su una rapida riunione e presentarsi da Michel Masi non come un coro dissonante ma con una voce unica.
Ecco che le considerazioni di Ecclestone diventano aria fritta. E lo sono ancor di più perché l’autorità è preposta a decidere. Comodo scaricare sui piloti che andrebbero ascoltati esclusivamente per capire le reali condizioni della pista. Chi ha il bottone dello start in mano deve stabile cosa si fa e cosa non si fa. E’ la sua responsabilità che gli viene conferita da norme, in questo caso, quanto mai lapalissiane.
Domenica scorsa la catena decisionale, per certi versi, ha funzionato. E’ paradossale ma è così: il direttore di gara ha deciso e lo ha fatto nel pieno delle sue funzioni. Peccato che abbia provveduto ad infangare un intero capitolo della lunga storia del motorsport registrando un ordine d’arrivo di una gara mai disputata, mai combattuta… mai esistita.
Il problema vero della F1 non è la facoltà decisionale del singolo protagonista col casco in testa che, tra l’altro, nulla può se il direttore di gara non è dello stesso avviso. Il reale busillis è un quadro normativo confusionario che, stavolta, è stato applicato pure peggio di come è stato scritto. Con buona pace di Ecclestone. E di chi pensa che il pilota conti davvero in queste dinamiche.
Foto: F1, F1TV