Ne abbiamo parlato ieri e in tante altre occasioni: Ferrari, durante l’ultima annata che precede la nuova era regolamentare di F1, ha scelto una strada tecnica ben precisa da percorrere. E i risultati, a quanto pare, le stanno dando ragione. Spendere fondi, energie e soprattutto tempo per sviluppare in maniera smodata una vettura “prossima all’archiviazione” non era cosa sensata per la storica scuderia. Lo sforzo profuso, enorme nel suo sviluppo, è prettamente mirato al mondiale 2022. Quello del riscatto.
E così, tecnici e ingegneri, con il supporto dei piloti, hanno intrapreso un cammino differente ma altrettanto redditizio. Le prestazioni di una F1 sono condizionate da molteplici fattori (leggi qui l’analisi Ferrari). Lo sappiamo bene. Conoscere in maniera profonda il materiale a disposizione, di conseguenza, significa saperlo maneggiare a dovere. Estrapolare il massimo del rendimento dal pacchetto per mettere in pista la versione migliore dell’auto.
Oltre alle motivazioni legate al futuro un altro elemento pare abbia inficiato sulle decisioni prese dal Reparto Corse. La sfortunata stagione 2020 ha creato un’apertura verso questa “nuova strategia”. Il cambio d’approccio, infatti, opportuno considerando le problematiche legate alla SF1000, ha determinato risultati interessati malgrado “l’equipaggiamento” a disposizione non fosse di certo ottimale.
Charles Leclerc, al contrario di un Sebastian tagliato fuori e costretto ad assaporare ogni weekend di gara un piatto non gradito, si è dato parecchio da fare sulla sperimentazione legata alla messa a punto. L’impossibilità di sommare potenza ad un propulsore inadeguato, bolso, ha spinto gli uomini in Rosso a questo atteggiamento. Tale impostazione applicata al modello SF21 si è dimostrata vincente.
Lo abbiamo potuto constatare attraverso lo studio degli on board (clicca qui per dare un’occhiata), strumento davvero prezioso per osservare le metodologie di lavoro della F1 messe in atto in pista. Senza dimenticare le attività sviluppate dopo ogni Gran Premio, a Maranello, dove gli stessi ferraristi affrontano in maniera virtuale la corsa appena disputata. Mescolare i dati attraverso uno studio incrociato porta alla consapevolezza, vitale per correggere e migliorare il comportamento della monoposto.
Senza dimenticare la facilità, con le gambe sotto il tavolo, nel produrre a monte un “assetto base” adeguato per ogni circuito. Punto di partenza per costruire a livello tecnico il fine settimana e poter accedere alla performance dell’auto più in fretta. Fattore cruciale, a sua volta, che accelera lo studio sugli pneumatici tramite le simulazioni high fuel. L’utilizzo finalmente corretto del simulatore ha fornito le armi opportune per creare la tanto chiacchierata correlazione tra pista e virtuale, determinante durante i fine settimana di gara.
La comprensione delle mescole ha trovato pieno giovamento da questo approccio. Le ultime prove mondiali, se pensiamo alle difficoltà patite durante i primi round del campionato, ne sono una netta dimostrazione. Il compromesso aero-meccanico, se centrato in maniera ideale, stende un tappeto rosso sul quale esibirsi appagati è dunque possibile. E tutto quanto, è ovvio, diventa tremendamente più semplice.
Il percorso intrapreso da Ferrari conforta e la visone d’insieme del team sembra molto promettente. D’altronde, se consideriamo la presenza ridottissima di test nell’arco della stagione, lo studio sulla vettura assume un aspetto preponderante. Tra qualche mese, in Italia, sarà ultimato il nuovo simulatore innovativo. Esigenza imperativa per fronteggiare al meglio il ciclo futuro della massima categoria.
Foto: Scuderia Ferrari – F1