Il 2020 ha rappresentato una sfida durissima per la F1. La dilagante pandemia di Covid-19 aveva seriamente messo a repentaglio la disputa del campionato vinto da Lewis Hamilton. I dirigenti di Liberty Media e della FIA hanno dovuto dribblare, insieme agli organizzatori dei GP, il virus che si estendeva a macchia d’olio per il globo. Con effetti nefasti. Alla fine si sono state disputate diciassette gare, con defezioni clamorose (Montecarlo su tutte) e ritorni inattesi.
Nel 2021, complice l’esperienza pregressa e grazie ai vaccini che stanno, in parte, calmierando la crisi, si è potuto costruire un calendario più completo e soprattutto extra-europeo. Ma le difficoltà non sono mancate. Né mancano se diamo uno sguardo ai prossimi appuntamenti. Uno degli spauracchi è quello relativo alla capienza delle piste. Un fattore di non secondo piano visto che dai biglietti gli organizzatori traggono la principale fonte di sostentamento.
Che serve, tra le altre cose, ad esaudire le richieste di Liberty Media che di certo non sono moderate. Proprio venerdì scorso il governo olandese ha approvato la capienza del 66% di spettatori per il Gran Premio di Zandvoort che si terrà all’inizio di settembre. Una decisione che ha fatto esultare il direttore sportivo dell’evento, Jan Lammers, che già vide saltare l’appuntamento dodici mesi fa.
Aver mantenuto in calendario questa gara è fondamentale per la disputa dei 23 GP previsti perché l’evento si piazza al centro di una striscia di tre settimane che inizia con Spa Francorchamps e si conclude con Monza. Un eventuale divieto da parte delle autorità dei Paesi Bassi avrebbe sicuramente determinato l’impossibilità di trovare un luogo “tappabuchi”. Cosa che avrebbe prodotto un automatico taglio del calendario.
Ma la certezza che si rispetti la lista è tutt’altro che concreta. Nuvole si addensano all’orizzonte, specie per quanto riguarda la parte terminale di una stagione iper-compressa e super combattuta. Dopo Monza ci sarà Sochi e nessun dubbio vi è sul buon esito. Tuttavia, le cose diventano considerevolmente più complicate in seguito. Vediamo perché. La Turchia forma un back-to-back con la Russia, il GP del Giappone si disputerà due settimane dopo. Questi due eventi sono la chiave per organizzare 23 gare.
La Turchia, infatti, figura nella “lista rossa” del Regno Unito. Cosa significa? Essenzialmente che tutto il personale della F1 che ritorna in Gran Bretagna da Istanbul deve osservare un periodo di quarantena in una struttura che ha un costo di 2.250 sterline per 10 giorni. E questo anche se si è vaccinati. Tale lasso temporale impedirebbe il trasferimento di uomini e materiali. L’unico espediente per evitare questo intoppo – e pare che Liberty Media stia lavorando in tal senso – è che le autorità politiche nipponiche accettino il personale della F1 direttamente dalla Turchia, senza imporre loro un periodo di quarantena.
Il Giappone è nella lista “gialla” del Regno Unito. Il che significa che il personale completamente vaccinato deve sottoporsi solo ad un singolo test Covid dopo l’arrivo. Il governo centrale di Tokio, sembra strano a dirsi, ha in mano il pallino del gioco. Solo una sua apertura può garantire la disputa di tutte e ventitré le gare. Altrimenti il GP di Istanbul potrebbe seriamente rischiare la cancellazione. La decisione del Giappone si attendeva per il dieci agosto ma non v’è ancora nulla di ufficiale.
Detto del continente asiatico c’è anche la situazione americana che fa tremare i polsi a Liberty Media. In quell’area si disputeranno tre GP: Austin, Città del Messico e San Paolo. Le ultime due sedi sono presenti nella lista rossa del Regno Unito. Si ritorna al ragionamento fatto per la Turchia. Tra l’altro Messico e Brasile sono alle prese con una crisi pandemica molto seria, ma gli organizzatori pare non vogliano recedere. Dovesse accadere ciò, il Circuit of the Americas potrebbe ospitare due gare.
Uno dei due appuntamenti si chiamerebbe “Gran Premio del Texas“. Ma c’è un’altra opzione, tra l’altro parecchio affasciante: correre una gara ad Indianapolis. Che numericamente non sarebbe sufficiente se saltassero Messico, Brasile, Giappone e Turchia. Una situazione da emicrania a grappolo per Domenicali e il suo staff. Ma c’è un paracadute chiamato Medioriente dove insistono quattro circuiti idonei e facilmente arruolabili alla causa: Bahrain, Qatar, Abu Dhabi e Jeddah. Piste relativamente vicine tra loro. Soluzioni tampone che dipendono dalla volontà politica dei governi dei paesi che al momento restano in calendario.
C’è un forte senso di indeterminatezza. La confusione è evidente e questo non è buon segnale con una lotta al vertice così serrata. Sarebbe il caso che Liberty Media spingesse sul pedale dell’acceleratore nell’offrire ai protagonisti una lista di gare sicura. Anche se più breve delle 23 previste. Il rischio che qualcuno dei competitor possa sentirsi ostacolato nella lotta al titolo a causa di tracciati poco congeniali è concreto.
La F1, ahinoi, già vive di accuse reciproche, sospetti, illazioni che sovente scadono in millanterie. Non c’è bisogno di ulteriore incertezza e di un contesto che alimenti questa deriva. Le soluzione, come dimostrato in precedenza, ci sono. Bisogna fare scelte immediate, anche se impopolari. Ne va della credibilità della massima categoria del motorsport.
Foto: Formula Uno – Scuderia Ferrari