Formula 1

Le attuali vetture di F1 più guidabili sul bagnato? Ecco come fare…

Pioggia e F1 sono davvero in antitesi? Visto quanto accaduto a Spa-Francorchamps la risposta potrebbe facilmente apparire affermativa. Qualcosa si è incrinato nel meraviglioso binomio tra monoposto e acqua. Schizzi e umidità ora sono visti come acerrimi nemici, non più come variabili da accettare o condizioni da sfruttare. Troppo alta la posta in gioco, esagerato il rischio per uomini e mezzi. Una situazione difficile da metabolizzare, poiché, se da un lato abbiamo ancora negli occhi imprese gloriose come quelle di Ayrton Senna a Montecarlo nel 1984 o di Schumacher a Barcellona nel 1996, non si possono dimenticare i rischi e non si devono minimizzare le conseguenze.

Ma allora perché, in concreto, non si riesce a trovare una soluzione degna di questo nome, che permetta lo svolgimento delle gare in una condizione di sicurezza quantomeno accettabile? Che cosa rende queste vetture dannatamente refrattarie all’acqua?

La visibilità rappresenta da sempre un problema, aumentato a maggior ragione dalle nuove e migliori performance delle gomme sul bagnato. Un semplice esempio: le gomme attuali wet blue, in rotazione, possono evacuare fino a 85 litri d’acqua al secondo per ciascuno pneumatico a una velocità di 300 chilometri orari. Questo garantisce aderenza a scapito della visibilità, che giocoforza risulta ai minimi termini. Ma qualora si riducesse tale inconveniente, si otterrebbe semplicemente un aumento del fenomeno di aquaplaning, perciò non sarebbe risolutivo.

l’olandese Max Verstappen (Red Bull Racing) segue la Safety Car durante i soli due giri disputati del Gran Premio Belgio edizione 2021

In secondo luogo entra in gioco la deportanza. I flussi d’aria generano vortici creando turbolenze, il che favorisce il sollevamento dell’acqua verso l’alto, specie in condizioni di asfalto copiosamente bagnato. Questa situazione, unita all’acqua che ha maggior peso specifico e tende a distaccarsi dal flusso d’aria, contribuirà a creare una sorta di nebbia letale per la visibilità.

Tornando alle gomme, pur riconoscendo il lavoro egregio svolto sia dai compound wet che intermedi, bisogna ricordare che la performance ottimale si riferisce alle gomme in perfetto stato di efficienza e che diminuisce sensibilmente al crescere dell’usura. Lo spettro dell’aquaplaning è sempre presente e non sarebbe arginato dall’aumento di un cosiddetto rapporto ‘terra-mare. Inoltre va ricordato che wet e intermedie hanno un diametro leggermente maggiore, il quale influisce sull’altezza complessiva delle vettura andando logicamente a comprometterne l’aderenza.

l’illustrazione grafica realizzata dai tecnici della Mercedes AMG F1 TEAM riguardante la vettura della prossima stagione 2022

Tutto questo potrebbe migliorare grazie al cambio regolamentare della F1 previsto per il 2022? Dal punto di vista dei flussi d’aria in parte sì, poiché la semplificazione aerodinamica dovrebbe ridurre i vortici. Una parte maggiore di carico sarà generata sotto al fondo, secondo l’effetto Venturi. Il flusso d’aria che lavora tra la superficie inferiore dell’auto e quella della pista favorisce la deportanza. Tuttavia, in condizioni di bagnato, l’effetto viene sensibilmente ridotto in quanto, causa rake, l’acqua impatta inizialmente sulla parte anteriore della vettura. Ma aumentando l’aderenza dell’avantreno si abbassa quella del posteriore generando sovrasterzo.

Una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata da una modifica al fondo, grazie all‘incremento di una sezione centrale che consenta di drenare una maggiore quantità di acqua. Dal momento che non è possibile intervenire sulle gomme, questa potrebbe rappresentare un’idea quantomeno percorribile. L’obiettivo è quello di salvare il salvabile, evitando il ripetersi di situazioni penose come quella di Spa.

Un commissario sventola la bandiera rossa che decreta la fine del farsesco Gp del Belgio 2021

Se da un lato la sicurezza dei piloti va salvaguardata a qualsiasi costo, dall’altro va garantita la possibilità di correre indipendentemente dal meteo favorevole, a meno di eventi straordinari o catastrofici. La pioggia, in F1, non deve rappresentare un limite, al massimo un diversivo. Le moderne tecnologie non possono non tenere conto di questo. La ricerca esagerata della prestazione cozza con la realtà dei fatti e le simulazioni non possono sostituire in toto la purezza della guida sul circuito.

Vento e sabbia, pioggia e sole, luci e ombre, rendono ogni tracciato unico e inimitabile, mai uguale a se stesso. Sono variabili imprescindibili che fanno la differenza e animano ogni evento. Altrimenti tanto varrebbe correre in un ambiente asettico, in una gigantesca sfera di cristallo atta a garantire le condizioni ideali. Ma, a quel punto, varrebbe ancora la pena di chiamarla F1?


F1-Autore: Veronica Vesco – @VeronicagVesco

F1-Foto: Formula Uno

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Veronica Vesco