Mi chiamo Valtteri Bottas e sono nato per perdere. Ormai sono la barzelletta della F1, l’agnello sacrificale per eccellenza, il pilota di cui nessuno ricorda i meriti, ma solo i servigi. Ogni anno va di male in peggio: promesse futili, condanne inutili. Avete presente i soliti ritornelli, proclami d’inizio anno, quelli che parlano, parlano, non si sa di che cosa parlano (semicit.)? Ecco, io appartengo a questo mondo parallelo, quello in cui si potrebbe, si riuscirebbe, si dovrebbe, non fosse per questioni di stato maggiore.
Così resto appeso a un filo e ci ho fatto l’abitudine. Eseguo gli ordini, porto a casa punti preziosi, rinuncio alla gloria. Eppure non basta, non basta mai. Ogni anno la stessa storia, un rinnovo a gettone, sia mai che meriti una gratifica, un riconoscimento, un grazie per esteso, urlato a piena voce. Nel circo del circus sono l’ultimo pagliaccio, godono di maggior rispetto i piloti paganti.
Intendiamoci, non ho nulla contro di loro, siamo tutti sulla stessa barca e condividiamo la stessa passione, però… Però io sono Valtteri da Nastola, non propriamente vicino a Helsinki, troppo lontano dalla Lapponia. Al solito nel mezzo, a metà strada tra la concretezza e i sogni, vicino alla calma piatta dei mille laghi.
Avete presente la mia foto d’infanzia? Quella con la tutina multicolore, accanto a un kart scuro, su cui campeggiava un numero colmo di belle speranze, 111. Il mezzo era sollevato e io mi appoggiavo alla gomma, in una sorta di goffo abbraccio. Sul viso quell’espressione un po’ timida e spaurita, gli italiani direbbero quasi fantozziana, ma vi posso testimoniare che si trattava solo di un mix tra orgoglio e imbarazzo. Ero un bambino in fondo, avevo ancora tutto il tempo e i modi di sperare.
Con la Williams F1 ho fatto bene. A parte il primo anno di apprendistato, già dal 2014 ho iniziato a farmi notare. Sommessamente, perché non è mio costume urlare. Piccoli passi uno dopo l’altro. Tanti punti, il podio in Austria, due secondi posti, a Silverstone e a Hockhenheim, terzo a Spa.
Piazzamenti e altri due arrivi a podio in Russia e ad Abu Dhabi. Non male come biglietto da visita, la F1 si stava accorgendo di me, ma io volevo fare di più, ripetermi e migliorarmi in cerca della grande occasione. Niente male neppure il 2015, con un quinto posto finale in classifica. Stavo per spiccare il volo, me lo sentivo.
Il 2016 mi riserva meno punti, ma ugualmente mi ripaga con alcune soddisfazioni. Il secondo tempo a Sochi lo considero tuttora un piccolo capolavoro. Del resto è una pista nelle mie corde, ve ne sarete accorti, credo. E il 2017 inizia con i fuochi d’artificio, grazie all’annuncio di Mercedes. Io, Valtteri da Nastola, pilota della stella a 3 punte? Sulle prime ho quasi pensato a uno scherzo più che a un regalo di Babbo Natale. Invece era tutto vero e io mi aspettavo di fare faville, di trovare una buona occasione, di urlare a squarciagola quanto avrei potuto dare.
La calma è la virtù dei forti. Questo mi sono detto e mi hanno ripetuto da più parti. La strategia giusta è l’attesa, specie se guidi una per Mercedes AMG F1 TEAM, la regina dell’era turboibrida, specie se dividi il box con un re di nome Lewis Hamilton. Non sto a guardare, ma non esagero. Nonostante questo arriva la prima pole in Bahrain e la prima vittoria nella mia adorata Sochi. Mi ripeterò in Austria e ad Abu Dhabi, conquistando un terzo posto finale, dietro al tetracampione Lewis e a un coriaceo Vettel che ci ha dato non poco filo da torcere.
Il 2018 per me rappresenta una sorta di Caporetto. Zero vittorie, tante batoste, l’inizio delle umiliazioni. Come in Russia, dove avrei potuto vincere, ma mi sono dovuto arrendere alla ragion di stato. E poi le Ferrari, ancora più forti. E Verstappen, astro nascente su un’arrembante Red Bull. Mi sono sentito sul viale del tramonto senza mai aver realmente calcato la ‘Hall of fame‘. Urgeva riparare, trovare uno spunto, cercare le energie per un nuovo inizio.
L’ho fatto rintanandomi nei boschi, isolandomi e raccogliendo la forza della natura. Nuova linfa in vista di nuove sfide. Il 2019 parte alla grande, mi sento rinvigorito e rinato, per un attimo ci credo. Signori si vince: io e Lewis a pari punti, a marcarci da vicino, complici e avversari in un debutto di campionato da sogno. Poi Hamilton spicca il volo, come d’abitudine, migrando verso il sesto titolo. Mentre io resto l’eterno secondo della F1, il discusso e il discutibile Bottas. Secondo in campionato, ma che sarà mai? Merito di Mercedes, non mio. Si vocifera che chiunque potrebbe prendere il mio posto e fare lo stesso, ma anche di meglio.
Il 2020 è l’anno sbagliato di un mondo in subbuglio. Mi tengo stretto il mio sedile che pare più che mai in pericolo perché è arrivato un giovane pilota di belle speranze e di indubbio talento a intrecciare la mia strada. Si chiama George Russell e fa sul serio. Divampa mostrando scintille a dispetto di una modesta Williams, mentre io mi spengo man mano, nonostante la mole di punti accumulata. Sento che la fine è prossima, che il calvario è vicino.
Quest’anno è la lenta agonia del condannato a morte. Ultimi servigi da prestare già consapevole dell’addio. Mi attendono altri lidi, posti da controfigura, ma almeno non più da caricatura, come mi accade ora. Lewis sta lottando per il mondiale e lo sta facendo in maniera egregia. Verstappen non lascia spazio, non cede, non arretra. Io devo proteggere, arginare, rinunciare. Ancora una volta. Oggi l’ultima beffa, quella chiamata ai box non necessaria, perché ‘Safety first‘.
Eppure nel primo stint ero quasi sulle tele, avvertivo vibrazioni, ma dovevo stare fuori, nel tentativo (vano) di rallentare Max. Sul finale avevo gomme rosse fiammanti, il vento in poppa, un galoppo di velocità. Ma avrei dovuto strozzare pure quell’ultimo anelito, quel giro veloce, poi conquistato e puntualmente rubato, perché sono Valtteri Bottas e sono condannato a perdere.
Non so come la vediate voi da là fuori. Probabilmente un pilota come me non riesce a suscitare simpatia. Sempre al soldo dei più forti, alla mercé degli eventi, debole e tremulo come un petalo sferzato dal vento. Vi prometto però che assisterete ad altro in futuro, se mi sarà concesso di restare in F1.
So che molti giovani lo meritano più di me e che sono anche migliori. Ma forse io ho diritto a una replica. Non per conquistare successi o punti iridati. Semplicemente per fare pace con me stesso e con quel bambino che abbracciava teneramente il suo kart.
Foto: Mercedes AMG F1 TEAM