Dopo il Gp fantasma del Belgio (leggi qui tutti i dettagli) il mondo della F1 si sta interrogando su quali possano essere le soluzioni per evitare analoghe e scabrose situazioni. Naturalmente, non essendosi disputato l’evento, le questioni tecniche sono passate in secondo piano. Eppure, grazie alla pioggia scesa copiosa sia al sabato che alla domenica, sono emersi interessanti casi relativi alla scelta dell’assetto giusto per affrontare i 44 giri del tracciato che sorge nelle Fiandre.
Sin dal venerdì abbiamo potuto osservare che Red Bull e Mercedes hanno affrontato in maniera diversa le operazioni di ricerca e di definizione del set up ideale. Da un lato la RB16B che ha puntato fin da subito su un assetto che è stato solo leggermente modificato al sabato mattina a causa delle pioggia annunciata in copiose quantità; dall’altro Mercedes che si è trovata a fare prove comparative per individuare la più efficace configurazione alare al posteriore.
Tendenzialmente, anche in presenza di asfalto massicciamente bagnato, gli ingegneri provano ad evitare di caricare eccessivamente le vetture da un punto di vista aerodinamico. Si stima che, guidando sotto la pioggia con una downforce non altissima, si perdono circa due decimi rispetto a una configurazione dell’alettone posteriore con più deportanza. E’ essenzialmente una questione di compromesso, come al solito: se si monta un’ala più grande e durante la gara la pista si asciuga, si perdono un paio decimi a passaggio. Ma si pagherà lo scotto della lentezza sui rettilinei, un fattore che può incidere molto negativamente nell’economia della gara.
Concentriamoci su quanto fatto nel garage Mercedes. I tecnici di Brackey hanno fatto prove comparative su tre tipi di ala posteriore. Alla fine la scelta è ricaduta sulla configurazione mediana: un compromesso tra quella a basso carico testata da Valtteri Bottas il venerdì e l’altra provata da Hamilton che era caratterizzata da un’incidenza tipica dei tracciati a bassissimo carico.
In generale, comunque, l’ala posteriore della W12 generava un carico minore a quello della RB16B che, seppur visivamente più “piatta”, può contare sull’incidenza maggiore determinata dall’assetto ad alto rake. Lo stesso Toto Wolff aveva ammesso che la Freccia Nera era meno carica delle rivale. Una scelta ponderata per avere dei benefici durante il Gran Premio.
La conferma del team principal viennese ha avuto ulteriori riscontro sui dati emersi dalla pista. Nel T1, tratto da 23 secondi full gas, era la Mercedes a troneggiare. Nel misto del T2 si imponeva abbastanza nettamente la Red Bull. Nel terzo settore il bilancio tra le sfidati era quasi alla pari. Anche perché l’assetto scarico non è poi così penalizzante all’ultima chicane dove contano maggiormente la fiducia del pilota nel mezzo e il grip meccanico.
Le differenze tra le vetture emerse in qualifica sono da ricercare maggiormente nel momento in cui si è effettuato il giro. La pista andava rapidamente migliorando e ne ha beneficiato chi ha effettuato l’ultimo assalto in extremis. Il gap tra Hamilton e Verstappen si spiega più così che per un diverso setup.
In vista della gara, quando la pioggia non ha dato tregua, la Mercedes, seguita a ruota da un Red Bull che ha marcato gli avversari con un arcigno difensore centrale d’altri tempi, è ricorsa ad una piccola modifica. In sostanza è stato installato un profilo aggiuntivo all’ala: un flap di Gurney. Che non è altro che un’appendice ara che i tecnici applicano al bordo d’uscita dell’alettone posteriore.
Tale espediente aerodinamico è molto utile nell’aumentare la deportanza a fronte di un piccolissimo aumento della resistenza all’avanzamento: grandi benefici per limitati svantaggi. Il flap di Gurney aggiunge una componente verticale alla velocità del flusso sul bordo di uscita. E’ questo ad aumentare la deportanza generando, in soldoni, l’effetto simile a quello di aumentare l’incidenza dell’ala.
Da informazioni raccolte nell’ambiente Mercedes è trapelato che dotarsi un flap di Gurney ha avuto conseguenze minime quantificabili in una perdita di un solo km/h alla massima velocità. In ogni caso, il guadagno in deportanza, è stato riferito, è difficilmente misurabile. Ma ha un effetto importante e collaterale: aiutare i piloti poiché questi iniziano a nutrire maggiore fiducia nel mezzo.
E in condizioni estreme il feeling con la vettura e con la pista fa la differenza. Guardiamo ancora una volta in casa Mercedes. La differenza al sabato tra la vettura n°44 e la 77 è stata abissale. Eppure le configurazioni aerodinamiche e meccaniche erano le medesime. Perché, allora, un gap di 2,5 secondi tra Hamilton (3°) e Bottas (8° poi retrocesso in tredicesima piazza, nda)?
Fiducia e preparazione degli penumatici alla base del delta tra le due Mercedes. Il finlandese si è lamentato del fatto che le sue gomme si sono raffreddate troppo nel giro tra i due assalti decisivi in Q3. Lo stesso Hamilton ha fatto un giro preparatorio troppo lento, ma poi ha saputo percorrere il giro decisivo in maniera più aggressiva, soprattutto nel punto chiave dell’Eau Rouge. Questo ha fatto la differenza.
Il mancato svolgimento del Gran Premio del Belgio, dunque, ci ha privati di interessantissimi sviluppi tecnici che sono stati solo abbozzati nelle qualifiche del sabato che, per natura, non possono essere la riproduzione in scala ridotta di quello che sarebbe accaduto in una gara di 44 giri in cui altri parametri – dalla messa in finestra d’utilizzo all’usura delle gomme passando per la gestione delle power unit – avrebbero condizionato lo svolgimento delle operazioni.
La sensazione, per concludere, è che l’assetto più scarico della Mercedes, alla lunga, avrebbe potuto pagare anche in condizioni estreme perché lo svantaggio quantificabile in un paio di decimi sarebbe stato compensato sui tratti veloci. Fattore che avrebbe agevolato i sorpassi.
Foto: Mercedes AMG F1 TEAM