Dopo 13 gare disputate il mondiale di F1, in entrambe le classifiche, non ha ancora un padre padrone. Se Max Verstappen, dopo il successo nel casalingo GP d’Olanda comanda le operazioni nella graduatoria piloti con un risicato vantaggio di tre punti, è la Mercedes a guidare con un distacco di dodici lunghezze nel Costruttori. Una cifra esigua se consideriamo che, se non interverranno fattori esterni a stravolgere ulteriormente il calendario, ci sono ancora nove gare da disputare.
Si potrebbe pensare ad un sostanziale pareggio tra le le due forze che si sfidano al vertice. Ma, analizzando più attentamente i fatti, osserviamo che è la RB16B la vettura che si sta imponendo come riferimento tecnico della stagione in corso. Basta lasciar esprimere i numeri. Che raramente mentono e che non si prestano ad interpretazioni di comodo.
Escludendo la vittoria di Esteban Ocon ad Ungheria arrivata per gentile concessione del un muretto degli uomini in nero che quest’anno si sta impegnando con convinzione nell’offrire strategie assai discutibili, il bottino è stato diviso, in maniera piuttosto sbilanciata, tra Red Bull e Mercedes. Milton Keynes si porta a casa 8 affermazioni di tappa, Brackley esattamente la metà.
Scendendo a fondo nel dato Red Bull, la distribuzione di primi posti è marcata: Verstappen agguanta sette primi posti, Perez uno. Arrivato, tra l’altro, in maniera piuttosto rocambolesca dopo il ritiro causato dal problema alla gomma posteriore sinistra della vettura dell’olandese e per la maldestra catena di eventi che ha fatto fuori Lewis Hamilton che, al restart, si era preso la prima piazza.
In casa Mercedes le vittorie sono tutte appannaggio di Lewis Hamilton che, nella prima fase del campionato, aveva dato la sensazione di potersi affermare ancora una volta dopo tre vittorie un quattro appuntamenti. Poi è arrivato il Gp di Monaco e la creatura di Andrian Newey ha iniziato a prendere il toro per le corna inanellando una serie strepitosa di vittorie interrottasi solo col botto di Silverstone. Fatto avvenuto quando Max guidava il gruppone. Particolare non di secondo aspetto.
I numeri in gara vengono praticamente confermati dell’andamento delle qualifiche. Togliendo dal calderone statistico i dati “devianti” rappresentati dalle due inattese pole position di Charles Leclerc a Montecarlo e a Baku, la RB16B, con Verstappen, si aggiudica ben sette partenze al palo. Staccato e più che doppiato Lewis Hamilton, lo specialista assoluto della disciplina, che si ferma a tre pole. Una per Valtteri Bottas che si impone, senza concretizzare alla domenica, nel GP del Portogallo che il compagno di squadra si aggiudicherà in maniera più che convincente.
Il vantaggio prestazionale della RB16B, va sottolineato, non si realizza in un dominio tecnico senza appello. Ma la media superiorità è tangibile. Perché questa primazia non si concretizza in un maggior distacco nella classifica piloti? E come mai Red Bull paga un gap, seppur esiguo, rispetto a Mercedes nella coppa costruttori?
Partiamo dai due piloti che si contendono l’alloro. Hamilton, in stagione, ha conosciuto una sola battuta d’arresto arrivata, tra l’altro, quando Verstappen era stato appiedato, da una gomma “bizzosa”, mentre conduceva la gara. Max, invece, si è praticamente fermato tre volte. E mai per problemi strettamente tecnici: la prima in Azerbaijan. Caso di cui abbiamo riferito. Le seconda in Inghilterra dopo i ben noti fatti della Copse e la terza in Ungheria dove, colpito da Norris a sua volta fatto fuori da Bottas, marca un modestissimo nono posto che sa di miracolo considerando le condizioni della sua vettura.
Se non si fossero realizzate queste tre circostanze frutto del fato il vantaggio dell’olandese sarebbe quasi siderale. Anche non aggiudicandosi le suddette gare. Difficile sostenere il contrario. Ecco che la graduatoria piloti non è l’esatto specchio di ciò che il campionato ha messo in mostra.
Più complesso è il discorso relativo al dualismo nei Costruttori la cui dinamica dipende anche da Sergio Perez e Valtteri Bottas. Va sgombrato subito il campo dalle illazioni che volteggiano furiose in queste settimane: il messicano non sta facendo molto peggio di Bottas. Le prestazioni delle seconde guide sono molto simili: ugualmente altalenanti e sostanzialmente lontane da quelle dei capisquadra. Specie in gara.
Checo paga un disavanzo di soli 15 punti dal finnico. Non un distacco mostruoso dopo 13 appuntamenti iridati. Non un gap che può far affermare, come accade, che sia il solo olandese a stagliarsi in maniera perentoria sul compagno di garage. E’ una dinamica che, con i doverosi distinguo del caso, si osserva anche in Mercedes tra Hamilton e Bottas.
Il finlandese viene usato al servizio del campione del mondo in carica? Evidenza innegabile della quale abbiamo avuto prova tre giorni fa. Ma accade anche in Red Bull. A Silverstone, pur di togliere il giro veloce ad Hamilton, il muretto box dei “bibitari” ha richiamato Perez per montare gomme più prestazionali e fargli siglare la tornata rapida. Sacrificando dei punti in classifica. Sottrarre un punto ad un avversario del proprio caposquadra per perderne qualcuno in più nella lotta al titolo costruttori. La politica di Milton Keynes è eloquente.
Questa dinamica spiega perfettamente qual è e quale deve essere il ruolo dello scudiero. Non ci si scandalizza, si prende atto del fatto che né il driver di Guadalajara né Bottas possono essere un benchmark per definire le prestazioni della RB16B e della W12.
Altra osservazione interessante sui secondi e sul fatto che determinano la cifra tecnica di una vettura è la seguente: anche in annate in cui gli osservatori reputavano la Mercedes la macchina da battere, Bottas non è arrivato comodo secondo in graduatoria. Ancora una volta i numeri ci vengono in soccorso. Nel 2017 Hamilton è campione del mondo. Secondo è Vettel, terzo Bottas.
L’anno seguente Lewis è per la quinta volta iridato. Vettel su Ferrari è ancora secondo. Poi Raikkonen, Verstappen e Bottas. Solo quinto. E tutti riconoscevano la W09 come la vettura punto di riferimento del lotto. Che non fa doppietta. Altra dimostrazione che una seconda guida non è un elemento scientificamente efficacissimo per analizzare la forza di una monoposto.
Dobbiamo arrivare al 2019 per avere un 1-2 AMG. Così come l’anno passato quando Bottas, secondo, precede Verstappen di pochissime lunghezze. In un’annata in cui il finnico non ha praticamente mai fatto l’aiutante per ragion di stato. Questo ragionamento non ha pretese universalizzanti, deterministiche o dogmatiche. Offre semplicemente una chiave di lettura diversa da certe vulgate molto popolari.
Passiamo al lato tecnico. La Red Bull, in generale, è una vettura che pare sapersi adattare meglio ad ogni pista. Abbiamo visto soffrire maledettamente la W12 a Monaco e nella doppietta austriaca. Tre gare nelle quali la RB16B ha dominato con una sicumera imbarazzante. Mai osservata in stagione una tale capacità d’imporsi a ruoli invertiti. Anche a Barcellona, da sempre feudo Mercedes, Hamilton non vince con forza così prorompente.
La creatura di Newey ha superato diversi ostacoli nel campionato in corso: si è adattata alla modifica sull’inasprito controllo della flessibilità delle ali posteriori senza subire contraccolpi. Ha assorbito con nonchalance l’irrigidimento strutturale degli inediti penumatici posteriori introdotti a Silverstone. E’ una macchina che riesce centrare subito l’assetto ideale e offre, alla vista e alla guida, un comportamento sempre molto neutro.
Un gioiello di tecnica che ha un punto di forza evidente: la power unit Honda che, oltre alla prestazione pura, è cresciuta in maniera drastica sul fronte affidabilità (per ulteriori dettagli sull’unita RA620H clicca qui). La scuderia anglo-austriaca sembra aver compiuto un grande passo in avanti su questo frangente. I capricci della passata stagione, quando la RB16 aveva appiedato i suoi piloti in più di un’occasione, sembrano un lontano ricordo.
Lo staff diretto da Adrian Newey ha sfruttato in maniera brillante il nuovo regolamento sui fondi piatti realizzando un gran lavoro sulla parte posteriore dove, peraltro, sono stati spesi i due gettoni concessi dalla Federazione Internazionale. Seguendo il cammino intrapreso da Mercedes durante il 2020, è stata concepita una diversa distribuzione del sistema sospensivo posteriore cambiando i cinematismi, con il pull rod che ora passa sopra il braccetto della sospensione inferiore.
Sul versante aerodinamico, quindi, era importante risolvere alcuni problemi legati alle temperature di esercizio. Ciò è stato realizzato con un nuovo packaging del sistema di raffreddamento. Le migliorie realizzate, addizionate ad un utilizzo più spinto della parte ibrida, hanno concesso un salto prestazionale importante. In aggiunta, la forma delle pance più spiovente con una discesa molto accentuata e compatta, ha migliorato la pulizia dei flussi diretti al posteriore.
L’obbiettivo globale era generare un carico aerodinamico superiore: fatto. La RB16B può utilizzare configurazioni alari molto scariche pur producendo un’enorme quantità di downforce. Virtù che non ha la rivale di Brackley che vediamo avere assetti mediamente più carichi.
Per le ragioni su esposte, dunque, si può considerare la Red Bull, ovviamente nella sua espressione “verstappeniana”, la vettura più completa e generalmente più performante del lotto. Anche rispetto alla W12 nella variante “hamiltoniana”.
13 gare rappresentano un dato statistico coerente, credibile, solido. Gli andamenti sono chiari. 2/3 di stagione sono stati archiviati e la tendenza numerica ci dice che la RB16B ha maggior facilità di raggiungere la vetta. Sia in gara che in qualifica. Il ragionamento fatto sui secondi piloti spiega che questi sono meno determinanti di quanto si voglia intendere nelle definizione del miglior pacchetto tecnico.
Questa analisi, come riferito in precedenza, non ha pretese assiomatiche. Ma non è altresì riluttante a contro-approfondimenti di altra natura e che spiegano con fatti e prove che la W12 è una vettura almeno paritaria nelle performance rispetto alla RB16B. Investigazioni che, in ogni caso, sembrano latitare tra le testate accreditate. Mancanza di elementi probatori a supporto dell’idea secondo cui la creatura di James Allison sia l’auto da battere perché prima nella classifica costruttori? C’è il sospetto che la risposta sia affermativa.
Dopo sette anni di dominio più o meno totale, Mercedes ha incontrato un avversario che, sui vari campi, si è messo a dettar legge. Finanche nella gestione sportiva delle operazioni. Il GP d’Olanda ha raccontato, dopo Budapest, che in AMG F1 non sono più la stella polare nella ricerca e nell’applicazione di efficaci strategie di gara. Tante ragioni, insomma, per ritenere Max Verstappen il favorito numero uno al titolo.
Foto: Mercedes, Red Bull
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"E tutti riconoscevano la W09 come la vettura punto di riferimento del lotto."
Non tutti,
Anzi nella prima metà della stagione era stata la Ferrari la vettura mediamente da battere.
Il botto di Vettel in Germania segnò poi il crocevia della stagione e, purtroppo, della carriera del Seb pilota.
É anche successo che Mercedes portò un pacchetto evolutivo massiccio a Spa (sospensioni nuove, mozzi forati, PU potenziata) che di fatto mise fine alle velleità di successo della rossa.