F1 a Sochi significa calma piatta come il Mar Nero, facili previsioni, esiti scontati. Un circuito artificiale senz’anima e senza storia, tranne quella Mercedes, che continua a mietere momenti di gloria. Invece quest’anno cambia tutto, e, in quell’angolo remoto di Russia risucchiato dal Caucaso, va in scena il caos, atto a sovvertire ogni logico pronostico. Tuoni e fulmini, pioggia copiosa, corsia box trasformata in un lago. Scenari inattesi e tumultuosi, abilissimi a rimescolare le carte attraverso guizzi di fantasia, leggeri come battiti d’ali, pronti a cambiare il corso delle cose a ogni alito di vento.
Il vento di fine estate cancella il sole e porta scompiglio, le nuvole avanzano fiere, paladine ancestrali pronte a colpire nel segno, annichilendo qualsiasi disegno, vanificando ogni strategia. Si fanno beffe dei contendenti, ne deridono le intenzioni, relegandoli poco più che a comparse. Verstappen scompare e si annulla, ultimo degli ultimi causa doppia penalità. Hamilton, chiamato a fare il vuoto, non risponde all’appello commettendo una sbavatura che lo condanna a una partenza in seconda fila. La Russia ha altri colori, più vivi e marcati: l’arancio della pole di Norris, il rosso delle seconda posizione di Sainz, lo splendore di Russell che parte dalla casella numero tre.
La F1 è tattica e astuzia, ma alle volte lascia spazio al cuore. Provoca sussulti, genera lotte furiose, lascia con il fiato sospeso per interminabili secondi. Attimi concitati al via in cui ogni pilota si batte o si difende come un leone. Istanti velocissimi e inenarrabili per varietà e rapidità, difficili da cogliere distintamente con gli occhi, ma facili da imprimere nel ricordo. Poi una gara fatta di sorpassi, una roulette in cui le posizioni si alternano come in una danza.
Per alcuni è un minuetto, per altri una polka. Leclerc si infervora, Alonso è chirurgico, Verstappen impegnato in una rimonta di carattere, sebbene cautamente guardinga. Hamilton è attendista, limita il rischio, si fa da parte, accetta di retrocedere alla partenza, studiando e calcolando il momento adatto per sferrare la zampata. La gara è vivace, apertissima, resa incerta dallo spettro della pioggia. Sainz agguanta Norris, conquista una leadership fittizia, ma presto si deve arrendere all’avanzata dell’ex compagno. Lando s’insedia in prima posizione e inizia a sognare.
Si tratta di un desiderio impellente, spudorato, dirompente, in cui non vi è il minimo spazio per la ragione. Il giovane inglese comanda dapprima senza alcuna incertezza, poi è chiamato a cercare il limite, perché Lewis inizia a rimontare a suon di giri veloci e si fa sotto come un cannibale che fiuta la preda. Non c’è margine d’errore a quel punto. Resta un’unica opzione: resistere, insistere, ignorando la cavalcata furiosa di Hamilton.
Più indietro accade di tutto. Ferrari e Red Bull pasticciano ai box, Alonso suona la carica, Perez avanza indiavolato. Ogni pilota combatte la propria battaglia alla ricerca dell’attimo buono, estremo anelito di una prova estenuante. Ma non c’è pace per gli attori, perché sul finale compare la pioggia. Dapprima tremula e incerta, minuta come una carezza, per perpetrare il subdolo inganno. I più accorti cedono alle sirene delle intermedie, i più temerari si oppongono, convinti di poter domare i capricci del cielo. Anche Hamilton sulle prime è restio, ma, grazie alla complicità del muretto, decide saggiamente di rientrare. Norris rifiuta ancora, in preda a una trance agonistica impossibile da addomesticare.
Intanto gli schizzi aumentano e le gocce si fanno copiose, intense come schiaffi in pieno volto. Troppo tardi per cambiare idea o per invertire la rotta. Lando resta in balia della pioggia, capitano coraggioso del proprio destino dal triste epilogo. Anche il solo restare in pista è arduo, figurarsi fronteggiare l’avanzata nemica. Hamilton irrompe con incedere sicuro mentre Lando naufraga, vittima di un’audacia difficile da condannare. Settimo al traguardo, in fuga da se stesso e dalla prima vittoria proprio mentre Hamilton festeggia la centesima, in un crudele passaggio di testimone che rende il boccone ancora più amaro.
Norris esagera, stordito dalla foga, in preda a un furore verace, a un demone assassino. Eppure la sua follia ci regala il film più autentico di questa moderna F1, fatta di ragazzi impetuosi, sempre pronti ad osare, mai paghi di stupire. L’errore di Lando è sinonimo di forza, di carattere, e restituisce alle corse quel lato romantico e viscerale che ne rappresenta l’essenza. In barba a ogni sorta di regola cervellotica e insensata atta a distruggerne il DNA.
Norris, con la sua caparbia ostinazione, è il vero gladiatore di Sochi perché non scende a compromessi. Preferisce perdere punti e un possibile successo in luogo di tradire il suo istinto primordiale. Una scelta scellerata, impulsiva, ma dannatamente eroica. La scelta estrema che accomuna chiunque rincorra un sogno.
Foto: McLaren, Mercedes AMG Petronas F1 team