Formula 1

Il conflitto di interessi Red Bull è lecito. Quello Mercedes no!

Quando mancano tre giorni al ritorno in azione della F1 si parla ancora del Gp del Messico archiviatosi con la vittoria di Max Verstappen, la nona in campionato, che indirizza prepotentemente il mondiale piloti verso Hasselt e mette la Red Bull in condizione di incollarsi alla Mercedes nella graduatoria costruttori. La RB16B si è dimostrata dominante tra le pieghe dell’Hermanos Rodriguez (leggi qui l’analisi strategica della gara). L’ennesima prova che il progetto guidato da Adrian Newey è ormai il riferimento tecnico della categoria. I numeri parlano chiaro e raccontano quanto la W12 sia col fiato corto dopo. Il delta cronometrico a fine GP tra la RB16B n°33 e la vettura di Hamilton è una testimonianza eloquente.

Il distacco tra Max e Lewis è di 19 punti. Una forbice che va allargandosi ormai da diverse gare e che, seppur non decisiva, sembra essere, considerati i valori in campo, sempre meno richiudibile. Un gap che poteva raggiungere quota 20 se Mercedes non avesse utilizzato Valtteri Bottas, la cui gara è stata un disastro sin dallo start, per “scippare” il punticino ai rivali di Milton Keynes limitando, in maniera piuttosto infinitesimale, i danni.

Partiamo dal dire che la mossa del muretto anglo-tedesco non è andata a genio a Chirs Horner. Riavvolgiamo un attimo il nastro. Verstappen era in possesso del giro più veloce nelle fasi finali di una gara decisa in partenza. Ma poi gli strateghi della Mercedes hanno pensato di fermare Bottas, anche se era fuori dai punti, per sottrarre all’olandese la tornata rapida.

La mossa, evidentemente, non è stata calcolata perfettamente (non una novità) dagli uomini della Stella visto che il finnico è uscito alle spalle dell’olandese. Che ha giocato d’astuzia rallentando il collega che voleva sdoppiarsi. La manovra ha quindi imposto alla Freccia Nera di gestire male il treno di soft che aveva montato.

Ecco che si è resa necessaria un’altra fermata, la quarta in gara, per mettere Bottas in aria libera facendogli ottenere, sulla sirena finale, il giro veloce. Essendo “il boscaiolo” giunto fuori dalla prima decina, il punto suppletivo non si è assegnato. Red Bull ha cercato di impedire che ciò accadesse provando a “gestire” con le bandiere blu, per stessa ammissione del team principal inglese. Che ha accusato i rivali di Brackley di “mercanteggiare” per sottrare il punto a quello che pareva essere il legittimo proprietario.

Nel duello entusiasmante che vede coinvolte Red Bull e Mercedes non è di certo mancata la sfida verbale. E’ soprattutto Milton Keynes, a partire dal post Silverstone, ad aver alzato l’asticella dell’opposizione mediatica. Un qualcosa che non deve scandalizzare e che serve per aumentare la pressione nei contendenti. Horner, però, evidenzia una verità di comodo quando parla della manovra dei campioni del mondo in carica senza considerare un elemento chiave. Vediamo.

Imporre ad un pilota un pit stop per sottrarre un punto a chi lo deteneva è una pratica scorretta da un punto di vista regolamentare? No. Nel momento in cui la FIA ha introdotto questa norma nel regolamento sportivo della F1 ha lasciato un buco entro il quale i team, legittimamente, operano. Se la regola è stata scritta male o non risulta essere tanto completa da evitare analoghe situazioni non può essere di certo colpa di Mercedes o di qualsiasi altro team che va ad approfittarne.

E’ una pratica eticamente discutibile? Stavolta la risposta è affermativa. Non è bello osservare che un pilota viene letteralmente usato per “rubare” un punto lecitamente ottenuto da un collega. E non vorremmo che accadesse quando la gara del sacrificato è ormai inutile. Quindi la critica di Horner è moralmente condivisibile. Anzi, lo sarebbe. Perché in Red Bull, in ognuno degli altri nove team presenti in griglia, non possono di certo mostrare patenti di opportunità morale.

La risata compiaciuta del team principal della Red Bull, Christian Horner

Ciò che ha fatto Mercedes con Bottas è esattamente la medesima manovra che ha operato Red Bull con Perez, a Silverstone. Con un’aggravante. Il messicano era in lotta per i punti ed è stato fermato per fare il giro veloce sottraendolo a Lewis Hamilton. Risultato? Mestissimo sedicesimo posto per Checo che al traguardo mise alla sue spalle solo le due Haas e i ritirati Verstappen e Vettel.

Ancora, non è stato Helmut Marko a riferire, pubblicamente, che anche i piloti della controllata Alpha Tauri devono giocare un ruolo nel duello Hamilton – Verstappen? I conflitti di interesse sono abbastanza evidenti in F1. Nessuno dei tre team che guidano la classifica ne è esente. Liberty Media e FIA non hanno mai dato l’impressione di voler mettere mano a questa deriva. Una riforma sul tema non è stata mai calendarizzata. Né discussa.

La categoria non può permetterselo stante la scarsità di motoristi presenti in giro. Quindi i blocchi di potere, che spostano punti in classifica, sono concessi nel generale silenzio di chi potrebbe spezzarli. Ecco perché le valutazioni di Chris Horner sulla condotta di gara di Bottas lasciano perplessi. Mercedes ha semplicemente applicato il principio della domestic jurisdiction. Così come ha fatto Red Bull nel succitato caso Silverstone. Così come farà ogni altra squadra quando e se si presenterà la necessità.


F1-Autore: Diego Catalano@diegocat1977

Foto: Mercedes AMG F1, Red Bull Racing

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Pubblicato da
Diego Catalano