F1.”Dove un superiore pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro“. Così Filippo Turati alla Camera dei Deputati in un famoso discorso tenuto nel 1908 e che ancora oggi è preso a riferimento intramontabile per definire il modus operandi che la Pubblica Amministrazione deve tenere nei confronti dei cittadini. Sia ben chiaro: questo articolo non vuole essere una trattazione di diritto pubblico. La citazione si rende necessaria per fotografare il momento che la F1 sta vivendo.
E di certo non è un buon momento. Nessuno si lasci ingannare dai lustrini e dalle luci abbacinanti della premiazione dei migliori andata in scena due giorni fa. La classe regina del motorsport è sconquassata dalle polemiche che ancora non si placano a seguito dell’epilogo del GP di Abu Dhabi. Quei fatti sono noti, arcidibattuti e, diciamolo a chiare lettere, hanno anche stancato. Tediosa – e tendenziosa – risulta essere la diatriba tra i pro e i contro qualcosa o qualcuno. Fazioni che si fronteggiano a suon di accuse reciproche, frange che pretendono di avere nel palmo della mano il Verbo dispensato a mo’ di legge incontrovertibile.
L’incipit di questo scritto è manifesto. E se ce ne fosse bisogno verrà ulteriormente esplicato: la F1 sta diventando un microcosmo protetto da solide mura che non lasciano filtrare la luce e che non offrono all’osservatore la facoltà di vedere e comprendere come il meccanismo funziona al suo interno. “Non è accettabile che i capi delle scuderie mettano Michael [Masi] sotto una tale pressione durante la gara. Toto Wolff non può pretendere che non venga messa una safety car. Christian Horner non può pretendere che le auto si debbano per forza sdoppiare. Questo è a discrezione del direttore di gara. Impediremo questo tipo di contatti l’anno prossimo“.
Così ha tuonato Ross James Brawn, direttore generale e responsabile sportivo del progetto F1. Ingegnere direttamente incaricato da Liberty Media a riscrivere le regole e il funzionamento del Circus iridato. Operazione ardua e ardimentosa che, inutile fare i finti diplomatici, non sta riuscendo proprio nella migliore della maniere a vedere come questo Mondiale 2021, seppur avvincente e rocambolesco, sia stato falcidiato e dilaniato da polemiche che spesso hanno preso il sopravvento sugli stessi fatti scaturenti dalla pista.
La Formula Uno, domenica scorsa, ha chiuso una sua lunga fase. Tra pochi mesi prenderà il via una nuova era tecnica. Ma non sarà l’unica novità. Come ha riferito il tecnico di Manchester la serie intende arroccarsi su se stessa. Forse per proteggersi? Forse per rendersi più credibile agli occhi di chi la segue? Forse per tutelare la libera competizione e per dare pari opportunità a tutti i protagonisti in campo? Domande alle quali non è possibile rispondere perché chi dovrebbe, appunto, si “lucchetta” in un discutibile silenzio che contribuisce ad alzare una cortina fumosa che rende meno scrutabile l’oggetto della nostra passione.
La verità è che la F1 sta diventando meno limpida e, di conseguenza, più autoritaria. Tifosi, addetti ai lavori e professionisti che nel carrozzone vi operano dovrebbero poter comprendere quali siano i processi decisionali ed operativi dell’amministrazione del motorsport. Ecco che si ritorna alla citazione del giurista comasco, a quella casa di vetro che non nasconde le sue dinamiche gestionali. Che, anzi, le esalta. O che dovrebbe farlo.
Ecco perché un’interlocuzione bidirezionale non è solo auspicabile, ma addirittura necessaria. Le conversazioni tra i muretti e la direzione gara sono state una piacevolissima novità che andava in favore di una maggiore intellegibilità operativa. Un sistema valido, ovviamente perfettibile, che fa comprendere quale fosse il procedimento decisionale alla base di talune scelte operate da chi è tenuto a farlo.
La volontà di stoppare questa pratica non fa altro che spezzare un virtuoso cammino ciclico andata/ritorno per rimettere tutto nelle mani del direttore di gara. Che, sia chiaro, è tenuto a decidere senza lasciarsi piegare da interessi particolaristici. L’ascolto e la registrazione di altrui pareri su una data fattispecie non deve essere letta necessariamente come volontà pressoria, bensì come raccolta di ulteriori elementi che contribuiscono alla definizione del corretto giudizio. Da cui evidentemente dipende il corretto svolgimento del momento sportivo.
La F1, ahinoi, sta percorrendo quel sentiero che si allontana dalla piena perspicuità. Uno dei primi provvedimenti presi da Liberty Media dopo essersi accaparrata il “giocattolo” fu quello di rendere pubblici i briefing pre gara tra piloti e direttore delle operazioni. Un momento molto importante perché lasciva capire all’osservatore quale sarebbe stato il metro valutativo applicato durante l’evento.
Con il compianto Charlie Whiting a presiedere a quelle riunioni, si poteva osservare come i piloti fossero delucidati su certe controversie scaturenti dalla pista e come il dirigente sportivo trovasse una linea di condotta dopo un dibattimento sano e costruttivo. Tutto in favore di telecamere e microfoni. Tutto in favore di pubblico e stampa. Trasparenza. Casa di vetro.
Poi, non si sa perché, a quelle superfici cristalline è stato posto uno schermo nero e i microfoni sono stati silenziati. La categoria che si chiude in se stessa e che pretende di non lasciar capire come si muovono i suoi meccanismi che vengono di conseguenza percepiti come disarmonici, macchinosi, sinistramente scricchiolanti. Cosa che dà adito a sospetti, accuse, millanterie. Polemiche che, evidentemente, sono funzionali a creare hype, contatti, discussioni social.
Subito dopo la disastrosa gestione di Masi del GP di Abu Dhabi è circolata voce secondo cui c’era un accordo tra team e direzione gara. Un’intesa che stabiliva di provare a terminare l’evento, qualora si fossero create condizioni particolari, sotto green flag. Ipotesi mai confermata e mai smentita da chi decide. Bastava rendere manifeste le riunioni pre gara affinché tutti sapessero la linea decisionale da applicare. La mancanza di chiarezza porta diritti alla discrezionalità del decisore che, in qualsiasi ordinamento, dal regolamento condominiale all’organizzazione statuale, è un male da cui rifuggire.
La F1 dovrebbe essere una costruzione posta al centro di un fitto sistema di punti di osservazione. Una sorta di Modello Panopticon di benthamiana memoria in cui un unico sorvegliante (il pubblico) può osservare i soggetti operanti senza permettere a questi di capire se siano in quel momento controllati o meno. Senza, quindi, influire sulle scelte che andranno a prendere. Nulla di tutto questo si verifica in una serie che ha intrapreso una china autoritaria.
Dopo che il direttore di gara ha deciso di far sdoppiare le sole auto presenti tra la Mercedes n°44 e la Red Bull n°33 c’è stata una vera e propria levata di scudi degli altri piloti in azione che, tramite i team radio si sono agitati per una scelta inusuale, contraria alla prassi e dubbia da un punto di vista di applicazione delle stesse norme del regolamento sportivo.
Bene, anzi male, la FIA ha imposto ai gestori dei canali social, da Twitter a Youtube, la rimozione di quei video che stavano diventando virali e nei quali si potevano ascoltare, forti ed inequivocabili, le doglianze di Hamilton, Bottas, Ricciardo, Sainz, Norris, Leclerc, Stroll e via citando. Un probabile errore che non viene affrontato e che si spera, in maniera piuttosto maldestra, di rimuovere, di camuffare, di nascondere sotto al tappeto.
La contestazione che muoviamo a questo atteggiamento dispotico è che l’ente organizzatore dell’evento vive nella convinzione di poter esso stesso offrire un’unica linea valutativa al tifoso che osserva la gara. Rimuovere gli audio e imporre un silenzio assordante a chi certe decisioni oggettivamente controverse le ha prese definisce una modalità operativa votata alla torbidezza piuttosto che alla necessaria chiarezza.
Liberty Media dovrebbe piuttosto mettere in campo per rendere la competizione viva, sana, basata su principi di equità e di sportività. Liberty Media non può essa stessa orientare il giudizio con un’informazione da regime che rimuove il dissenso interno (leggasi audio scomodi). Questo modo di procedere è illiberale andrebbe combattuto in ogni sede.
Dopo sei giorni dal momento culmine di una stagione avvincente – ma che lascerà molti strascichi polemici – siamo ancora in attese di ascoltare la voce di Michael Masi che, da loquace interlocutore, è sparito dalle cronache e dai media. Probabilmente imbavagliato dalla stessa azienda per la quale opera dopo il ricorso, poi abortito, inoltrato della Mercedes al quale è arrivata in risposta una lettera pubblica della FIA che, nei fatti, solleva più di un dubbio sull’operato del manager australiano.
L’opacità comunicativa della F1 sta diventando una fastidiosa costante. In stagione Red Bull e Honda hanno chiesto chiarimenti sulla power unit Mercedes. In background c’è stata la rassicurazione che tutto fosse legale. Chi osserva e racconta questo sport non ha potuto avere elementi precisi a riguardo. Da qui i sospetti che alimentano meccanismi ormai perversi e morbosi. Come quando FIA e Ferrari hanno prodotto un accordo riservato a seguito delle indagini condotto sul V6 concepito a Maranello.
Molti hanno avuto il sospetto che quel propulsore operasse con principi tecnici “border line”. Ricorderete le parole di Max Verstappen che, in occasione del Gp degli Stati Uniti del 2019, ebbe a dire: “Le prestazioni Ferrari di oggi? Beh, questo è quello che succede quando smetti di barare. E’ una situazione da tenere sotto controllo“. Accuse pesantissime che arrivarono anche per una mancanza di chiarezza da parte delle autorità competenti alla verifica dell’aderenza regolamentare delle monoposto al corpus normativo.
Se, in conclusione, Liberty Media era giunta per rivoluzionare la massima categoria del motorsport anche da un punto di vista comunicativo allora possiamo dire che, per ora, l’operazione non è riuscita. Anzi, di anno in anno, di provvedimento in provvedimento, si sta correndo verso un baratro che rilascia l’acre odore del fallimento.
La proprietà americana sembra ora essere più interessata allo show, alla spettacolarizzazione in favore di Netflix, che ad offrire un prodotto pienamente credibile e totalmente intellegibile. C’è tempo e modo di operare una massiccia correzione a questa deriva. Il timore è che a mancare sia la volontà di farlo. Perché meno chiare sono certe dinamiche più semplice è orientare il corso degli eventi.
Foto: Red Bull Racing Honda – Mercedes AMG F1 Team