Dopo 33 giorni dall’epilogo del Mondiale di F1 2021 la FIA batte un colpo. Sarebbe superfluo ripercorrere quegli attimi e le polemiche incendiarie che ne sono scaturite, fatto sta che il documento pubblicato ieri da Place de la Concorde sancisce senza ombra di dubbio che negli ultimi giri del GP di Abu Dhabi qualcosa non sia andata per il giusto verso. La categoria regina del motorsport ha bisogno di recuperare credibilità ed il neo eletto presidente Mohammed Bin Sulayem se n’è avveduto non appena investito della carica.
Una delle questione poste sotto la luce dal comitato consultivo sportivo sarà all’utilizzo della Safety Car. In un secondo momento vi sarà una discussione condivisa con tutti i piloti di F1. Segno tangibile che si tornerà al modo in cui Michael Masi, l’imputato in contumacia, ha gestito i doppiaggi nei momenti finali dell’appuntamento di Yas Marina.
Le analisi andranno avanti per un mese e le risultanze dei lavori saranno esposte alla F1 Commission, a febbraio. Sarà il World Motor Sport Council, il 18 marzo, ad annunciare la linea di sintesi ufficiale trovata dalla FIA dopo i dibattimenti interni. Insomma, il motorsport vuole chiudere la questione in Bahrain, nel giorno del primo turno di libere. Così da evitare strascichi polemici.
Questo il programma. Ma quali potrebbero essere le conseguenze sulla F1 dopo le manovre annunciata dalla Federazione Internazionale? Andiamo per gradi. Cosa, nello specifico, Bin Sulayem intende attenzionare circa Abu Dhabi? La prima indagine investe una questione chiave: perché gli steward hanno sostenuto le azioni di Masi? Sotto accusa c’è il processo che ha portato a sbloccare solo le cinque vetture doppiate tra Hamilton e Verstappen e non altre tre, ossia quelle di Daniel Ricciardo, Sebastian Vettel e Mick Schumacher.
Altro punto focale è la decisione di ignorare la regola che prevede che la safety car debba rientrare ai box al termine del giro successivo. Se la procedura fosse stata rispettata, la vettura di sicurezza sarebbe dovuta rientrare al termine dell’ultimo giro di gara. Quindi, stando ad una giurisprudenza consolidata, l’evento doveva terminare senza la ripartenza. Che è apparsa forzata. E Place de la Concorde lo sanno.
Masi ha accelerato (debitamente o meno, è qua la questione) questo processo per assicurarsi un finale di gran premio con la bandiera verde. L’iter attuato dal direttore di gara è stato giustificato dai Commissari Sportivi come un’estensione del potere consentita dall’articolo 15.3 che attribuisce al direttore di gara “autorità preponderante” sull’uso della safety car.
In linea di massima la revisione voluta dall’organo controllore della F1 dovrebbe cercare di stabilire se il processo seguito da Masi sia stato aderente alle regole e, soprattutto, se questo scenario debba essere consentito in futuro. O se, in ultima analisi, siano necessarie modifiche al testo normativo per incatenare ulteriormente le procedure in caso di eventi fumosi.
Ragionando sulle possibilità d’azione di chi scrive le norme, si potrebbe pensare che verranno definite nello specifico le procedure per garantire il termine delle operazioni con bandiera verde. Si dovrebbe integrare il regolamento con una disposizione che prevede che, in caso di incidente con la safety car negli ultimi giri, sia necessaria una bandiera rossa e la successiva standing start.
Una cosa certa è che la FIA e Liberty Media vieteranno gli scambi di opinioni tra direzione gara e muretti box. Ross Brawn è stato categorico sul tema e nei ragionamenti che si faranno in questi giorni si delibererà un divieto a questa pratica che, ad Abu Dhabi, è sembrata un vero e proprio mercanteggiamento con Horner e Wolff a fare pressioni e Masi nel ruolo del venditore confuso ed impacciato. Una brutta scena per la F1.
Alla luce di quanto detto e nel caso in cui la FIA provvedesse sia alla rimozione di Masi che ad un cambio normativo – cose che confermerebbero più o meno direttamente gli errori del direttore di gara – il risultato del Mondiale 2021 rimarrebbe inalterato. Su questo non ci piove perché né Red bull né Max Verstappen possono essere considerate corree delle eventuali colpe del manager australiano. Il processo avviato dalla FIA e le legittime rimostranze della Mercedes hanno un solo scopo: migliorare la governance della F1.
Ovviamente Masi potrebbe pagare per le sue azioni. Anche se, pubblicamente, Wolff non ha mai chiesto la testa del dirigente. Ha “solo” auspicato un drastico miglioramento dell’intero sistema decisionale. Subito dopo la fine della gara i commissari si sono adeguati alle decisioni del manager ma, nonostante ciò, la FIA ha ammesso che le operazioni sono state gestite male.
Da qui la necessità – e la promessa – di una revisione approfondita su quanto accaduto. Né Bin Sulayem né altri rappresentanti della Federazione hanno speso una singola parola per l’erede di Whiting che, dal suo canto, resta silente da oltre un mese. Segnali che che parlano di una fiducia non ai massimi termini.
La FIA si sta muovendo con una solerzia sorprendente, specie da quando Jean Todt ha visto scadere il suo mandato. Probabilmente l’ex ferrarista aveva le mani legate dal fatto di non avere futuro a Parigi. O forse veniva da una prassi che tendeva ad affrontare le cose con calma e giudizio. Troppo. Oltre alle cose che saranno fatte, già vi sono stati dei cambiamenti.
Il segretario generale della FIA per gli sport motoristici Peter Bayer (che Wolff nominò come figura che aveva dato rassicurazioni sul fatto che la Federazione prendesse provvedimenti dopo Yas Marina) e il nuovo vicepresidente per lo sport Robert Reid saranno probabilmente le figure chiave nella revisione in corso.
Masi e Tombazis erano responsabili per la FIA delle questioni relative alle monoposto fino a quando una ristrutturazione già pianificata prima di dicembre, quindi prima dell’ultima gara di Abu Dhabi, le ha messe sotto le competenze di Bayer.
Quest’ultimo si occuperà di tre ambiti cruciali per il motorsport: tecnico, sportivo e finanziario. Non sarà egli a dirigere questi comparti, ma i capi delle suddette aree faranno alla fine riferimento a lui. Sotto il suo controllo, ve ne avevamo parlato nei giorni addietro, rientrerà anche il gruppo diretto da Pat Symonds che prenderà servizio in uffici londinesi (leggi qui l’approfondimento).
In questo grande movimento tellurico che stiamo provando a descrivere emerge una questione non marginale: che fine ha fatto Lewis Hamilton? Il vicecampione del mondo – che evidentemente tale non si sente – è ancora arroccato nel suo silenzio (leggi qui). Si vocifera che Lewis stia aspettando l’esito della revisione per decidere se tornare in F1 nel 2022. Se il britannico avesse già stabilito di dover appendere il casco al chiodo, probabilmente, già lo sapremmo. La verità è che la questione è legata a ciò che Mercedes si aspetta da questo grande processo di ristrutturazione.
Brackley, in accordo col suo driver, sta sfruttando il silenzio per indurre i decisori a fare ciò per cui sono preposti: decidere. Cosa che la FIA farà perché non può permettersi di perdere il pilota più riconosciuto e riconoscibile della categoria. E non potrebbe farlo dopo Abu Dhabi. La presenza in griglia di Hamilton non dovrebbe essere in discussione. Siamo dinnanzi ad un silenzio strategico che presto o tardi avrà termine.
La FIA, in chiusura, ha avviato un grande processo di ristrutturazione e riassestamento per rispondere con fermezza alla mastodontica mole di proteste che tutt’oggi si levano nei confronti dei Masi. C’è una cospicua fetta di tifosi che mostra insoddisfazione e preoccupazione circa il ripetersi di dinamiche fumose che hanno condizionato il corso del mondiale 2021. Non è solo Abu Dhabi ad aver generato dubbi. Se guardiamo come sono state gestite le operazioni a Jeddah e soprattutto in Belgio, con il GP fantasma, ecco che lo scranno del dirigente australiano diventa parecchio traballante. Ed è la sua testa che potrebbe rotolare dalla ghigliottina parigina.
Foto: Mercedes, FIA, F1