Il 2021 è ufficialmente andato in archivio. A non essersi concluse sono invece le valutazioni circa la gestione della safety car da parte di Michael Masi negli ultimi giri del GP di Abu Dhabi di F1. Ciclicamente c’è un protagonista o un correlato che torna sul tema esprimendo un punto di vista che sovente si smarca da quelli offerti in precedenza.
Se dall’ambiente Mercedes l’operato del dirigente sportivo australiano è stato pesantemente criticato, nella visione Red Bull il sostituto di Charlie Whiting ha lavorato alla perfezione. Un naturale gioco delle parti che non sorprende. “Diamo credito a Michael Masi che ha voluto che la corsa finisse sotto bandiera verde, quindi gareggiando“. Parole e musica di Helmut Marko ospite dello show televisivo austriaco Sport und Talk.
Il super-consulente di Dieter Mateschitz ha argomentato il suo punto di vista facendo un’analogia con altri mondi del motorsport: “In Indycar ed in NASCAR, ad esempio, c’è una regola che prevede l’aggiunta di un ulteriore giro in modo che la gara possa essere conclusa in condizioni normali, senza stare dietro la Safety Car. C’erano cinque macchine tra Lewis e Max e lui [Masi] le ha semplicemente mandate via in modo che si potesse compiere l’ultimo giro“.
Beh, verrebbe da pensare che in F1 la norma cui allude l’ex pilota austriaco non è contemplata dal regolamento sportivo che, seppur fumoso su certi aspetti, è chiaro e circostanziato sul numero di giri che si devono compiere durante un evento.
La questione viene chiusa in maniera piuttosto insindacabile da Marko: “Masi è come l’arbitro, ha ragione e se decide così allora vale“. Dura lex sed lex sarebbe il caso di dire. Ma gli arbitri sono uomini e quindi sono, per natura e caratteristiche, esposti all’errore. Su questo ci sarebbe molto da dibattere perché il corpus normativo apre a diverse interpretazioni. Vi sono sia elementi per incastrare Masi alle sue responsabilità;così come esistono norme che concedono una certa discrezionalità che è la base legittimante di quanto fatto in quei minuti finali del GP di Yas Marina.
Che l’agire di Masi non sia stato perfetto è indirettamente confermato dalla lettera pubblica che la FIA ha diramato nella settimana successiva al Gran Premio di chiusura. Un documento ufficiale nel quale si formalizzava la necessità di approntare protocolli che evitassero, in analoghe fattispecie di corsa, la confusione a cui si è andati incontro. Una missiva che aveva l’intento di placare gli animi e probabilmente di far recedere, come è accaduto, Mercedes dal suo intento di ricorrere al tribunale di Parigi per vedere le sue ragioni salvaguardate.
Ritornando al Marko-pensiero, si percepisce che secondo lui e il team che rappresenta lo scenario entro il quale si è svolto l’evento non ha modificato il naturale corso delle cose. Sarebbe stato soprattutto il lavoro della compagine di Milton Keynes a consegnare il titolo nelle mani di Max Verstappen: “La nostra squadra ha agito in modo sensazionale. Siamo subito passati alle gomme morbide e poi, sì, Hamilton non ha avuto possibilità di reagire“.
Al di là dei legittimi punti di vista, questa vicenda ha aperto un solco tra le parti. Uno strappo che gli organi competenti dovranno ricucire a suon di provvedimenti che finalmente diano una linea interpretativa coerente a tutta la categoria.
Le disposizioni messa in atto da Masi, tra Jeddah e Yas Marina, sono apparse ai più poco leggibili e poco aderenti ad una consolidata giurisprudenza. L’auspicio è che il testo di riferimento venga aggiornato e dettagliato definendo meglio i poteri di azione del giudice di gara. Chiunque egli sarà visto che la posizione dell’australiano, chiusosi in un silenzio probabilmente imposto dall’alto, sembra essere tutt’oggi vacillante.
F1-Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: Red Bull Racing, F1