Chiarezza. E’ questo che serve alla F1. E’ questo ciò che chiedono i tifosi. E’ questo ciò che invocano gli stessi addetti ai lavori. Tra meno di un mese le monoposto in configurazione 2022 gireranno in Spagna per la prima sessione di test cumulativi. Il mese successivo sarà quello dell’avvio ufficiale di una stagione ricca di aspettative, curiosità e nelle quale ci sono molti temi caldi da affrontare.
Nonostante la crescente attesa, l’eco dei fatti di Abu Dhabi risuona ancora forte nell’aria. Tra quelle situazioni spinose che la F1 deve affrontare c’è proprio il modo in cui intende rispondere alle cose che non hanno funzionato nell’epilogo di una stagione tirata ed emozionante ma che purtroppo, almeno per il momento, viene ricordata più per l’operato di Michael Masi che per i due titoli assegnati sul filo di lana. La chiarezza a cui alludevamo prima serve proprio per sedare, una volta e per tutte, il coro di critiche che sta avvelenando il dibattito.
Nella F1 della nuova generazione interverranno molteplici fattori inediti sul fronte regolamentare. E già sarà difficile operare un preciso controllo su come le varie squadre hanno interpretato le nuove norme. Ecco perché, in questo contesto con pochi paletti che apre ad una possibile relativizzazione tecnica, serve avere un linea coerente almeno sul versante del diritto sportivo. Inutile girarci intorno: i regolamenti che sovraintendono alla gestione dell’evento vanno migliorati. E a chiederlo sono le squadre che devono capire quali sono i veri margini operativi entro i quali potersi muovere.
La FIA è consapevole delle volontà dei protagonisti ed è per questo motivo che ha avviato una serie di indagini che coinvolgono gli episodi più controversi del 2021 col fine di superare certe difficoltà ed offrire una linea interpretativa finalmente coerente.
Abu Dhabi è stata la punta di un iceberg di grandi proporzioni ma che è composto da altre controverse decisioni prese dalla direzione gara e dal collegio giudicante: il GP fantasma di Spa Francorchamps che alla fine ha pesato come un macigno sull’assegnazione del titolo, il mancato giudizio nel GP del Brasile, la gestione delle Safety Car a Jeddah con successivo brake test di Verstappen penalizzato in maniera forse non congrua, per giungere alle decisioni di Yas Marina che sono evidentemente andate contro ogni prassi consolidata.
In queste situazioni dibattute, spesso, è entrato in gioco Michael Masi, il grande imputato della F1. Alain Prost, uno che di casi ai limiti del consentito se ne intende considerando certi duelli con Ayrton Senna, ha evidenziato come quanto accaduto nell’ultimo GP del 2021 non sia stato corretto. Ma ha contestualmente riferito che il lavoro del dirigente australiano è tutt’altro che semplice anche a causa delle pressioni subite dai team via radio e che da quest’anno saranno bandite.
Le scuderie di vertice operano proprio in questo modo: cercano di influenzare chi deve decidere ma anche chi scrive le regole. E spesso possono farlo in virtù di testi normativi non redatti al meglio. Da qui la necessità di spingere sul miglioramento delle regole. Cosa che, almeno sul lato tecnico, pare essere stata fatta come spiegava James Allison, direttore tecnico della Mercedes (leggi qui).
Tornando ad Abu Dhabi, Prost ritiene che l’errore principale commesso da Michael Masi sia stato quello di non fermare tutto dopo l’incidente di Latifi e far ripartire le operazioni dopo una bandiera rossa. Cosa che andava incontro ad un tendenza ormai consolidata ed inaugurata dallo stesso Masi. Vedasi Mugello 2020, Imola 2021, Baku e via citando. Un provvedimento che avrebbe evitato uno sdoppiamento parziale di monoposto, senza precedenti e per il quale il direttore di gara, chiusosi in un silenzio probabilmente imposto dall’alto, non ha mai offerto una valida spiegazione. Che probabilmente non esiste.
Una red flag, è opinione di Prost che facciamo nostra, avrebbe offerto pari condizioni a tutti i contendenti e non avrebbe svantaggiato alcuni a scapito di altri. Masi ha dunque agito per evitare che la gara terminasse sotto safety car. Una necessità che andava incontro ad esigenze televisive piuttosto che incontro a necessità sportive.
“Il Professore“, senza diplomazie di facciata, ha definito questo modo di procedere scorretto. Ed è una visione condivisa non solo da Mercedes e da Hamilton, ma anche da quei piloti che si sono lamentati per come sono state gestite le ultime fasi del GP. Basta reperire gli audio con una semplice ricerca sul web.
Chiarito ed appurato che in F1 c’è un evidente problema di coerenza interpretativa, potrebbe esserci una spiegazione logica a questo status quo. L’ex McLaren ha puntato l’indice sulla conformazione attuale delle piste. Quasi tracciato, ogni singola curva ha una specificità diversa. Talvolta troviamo la ghiaia, altre volte l’asfalto nelle vie di fuga. Quindi abbiamo dei track limits non sempre fissi e la cosa genera difficoltà anche nel giudizio dei commissari che perdono punti di riferimento. E’ sempre stato difficile decidere, ma negli ultimi tempi lo è ancor di più per via di questa tendenza a non avere picchetti solidi.
All’alba della nuova stagione, in conclusione, la FIA e Liberty Media hanno parecchie patate bollenti nel piatto. E’ molto complesso sistemare ogni criticità. Probabilmente ci si dovrà accontentare di qualche compromesso, con alcune aree che non potranno essere investite da una più puntuale revisione.
Bisogna comunque evitare che la storia si ripeta e si deve scongiurare il rischio che una sola squadra possa fare pressioni per ottenere regole e norme tagliate su misura. Preoccupazione, questa, espressa qualche giorno fa anche da Zak Brown nel riferirsi alla (non confermata) interlocuzione in corso tra Brackley e Place de la Concorde. La FIA deve dimostrarsi equidistante e ha poco tempo per dare risposte a tutti i team, agli addetti al lavori e alla fan base della F1. Perché è tutto il movimento che pretende e deve ottenere chiarezza, non la sola Mercedes.