F1. Lewis Hamilton fa fatica, si spegne, si arresta. Così lo vedono i più, nonostante le palesi carenze di una Mercedes che non lo supporta, a dispetto di una condotta solida, sebbene cauta. Il sette volte campione del mondo ha raccolto poco, una miseria di punti per chi è abituato a succulenti banchetti. Eppure, remando, cerca di restare a galla in una stagione che lo affonda gara dopo gara.
La pioggia di Imola lo fa annegare, condannandolo in una quattordicesima posizione da incubo, costringendolo per un’intero Gran Premio a guardare impotente gli scarichi di Gasly. Eppure Lewis fin ora aveva capitalizzato. Lo ha fatto in Bahrain, arrivando addirittura a podio complice la débacle Red Bull. Lo ha fatto in Australia, quarto dietro a un pimpante Russell, per una sfortunata serie di coincidenze causa safety car. A Jeddah un mesto decimo posto, che già pareva un’onta prima della Caporetto in Emilia Romagna.
Esultano i detrattori, gioiscono i tifosi occasionali, stanchi dello strapotere di colui che ha dominato per anni. A noi appassionati resta un punto interrogativo, non abbastanza ampio per mettere in discussione chi ha riscritto la storia, sufficiente per analizzare una situazione anomala.
Eppure i pareri si spendono e si sprecano, specie quelli illustri. In questa notte da temporale fa molto più rumore dei tuoni una controversa dichiarazione di René Arnoux. Il pilota francese, celebre per l’epocale duello di Digione con Gilles Villeneuve, esterna il suo pensiero dopo la gara di Imola. Ciò che dice è destinato a essere ingigantito e travisato, dato il tono provocatorio.
Comprensivo nei confronti di Leclerc (“Tutti i più grandi hanno commesso errori” chiosa, citando l’impareggiabile Senna a Montecarlo nel 1988), preannuncia un riscatto immediato a partire da Miami, data la “forza mentale” del monegasco. Non altrettanto generoso, invece, si dimostra nei confronti di Hamilton.
Dopo la doverosa premessa, in cui definisce Mercedes “inesistente” ai fini della lotta mondiale, scocca il dardo incriminato: “Non sono mai stato un grande estimatore di Hamilton, ma in questo momento mi fa pena.” Parole affilate come coltelli, destinate a creare un polverone. L’intento, probabilmente, non era dei peggiori.
Anzi, in qualche modo c’è una sorta di fratellanza e di comprensione per il periodo buio vissuto da Sir Lewis. Eppure, più che mai, questa dichiarazione risulta stridente e inopportuna. Fa a pugni con i trascorsi gloriosi del pilota inglese, relegandolo a una macchietta incapace di prendere in mano il proprio destino quando le tinte si fanno fosche.
La Mercedes è tornata d’argento, ma è ben lungi dall’essere una freccia. Tocca sgomitare, sudare, faticare in quel mare che non è più ‘Nostrum‘, ma è un marasma tuttora difficilmente comprensibile quanto a valori in campo. Assodata la supremazia Ferrari e Red Bull (rigorosamente in ordine di classifica), il resto della griglia è un’altalena che riserva sorprese ad ogni Gran Premio.
Per una McLaren che emerge c’è un’Alpine che precipita. Per una Haas promettente c’è un Aston Martin da incubo. Ma non tutto è così netto e chiaro: esistono sfumature e storture, risultati viziati da ritiri assurdi o da colpi di buona sorte.
Proprio per questo appare prematuro consegnare Hamilton alla gogna. Sicuramente a Imola l’inglese ha vissuto un weekend da incubo, aggravato dall’ottima performance di Russell, che ha subito scomodato inutili e fuorvianti confronti. Una gara quasi stregata e una monoposto ai limiti dell’inguidabile non hanno favorito l’eptacampione.
La regia, infida e crudele, ha più volte sottolineato l’impotenza della Mercedes numero 44 nei confronti dell’Alpha Tauri di Gasly, trasformatasi in una sorta di muraglia cinese. Lewis si è impaludato nelle retrovie senza riuscire a trovare un appiglio per uscire dal pantano, mentre George veleggiava dietro a Norris, solidamente quinto, arrivando fin a ridosso del podio, complice l’errore di Leclerc nel finale.
Ma questo significa che Hamilton va messo in discussione? Assolutamente no. Russell è stato sagace e vorace mettendo in atto una partenza memorabile, che gli ha consentito di scalare posizioni. Si è forse trovato più a suo agio con la monoposto, ha avuto un guizzo notevole, un momento perfetto. Tutte circostanze mancate a Sir Lewis, figlie di una qualifica sfortunata, di una Sprint Race opaca e di una gara in cui ormai non poteva più dire nulla.
Obiettivamente è comprensibile aspettarsi di più da una leggenda, ma bisogna anche considerare i limiti e le variabili di un week end insidioso come quello di Imola. Si potrà dire che le condizioni più difficili premiano i migliori, ma questo non è necessariamente vero. Chi si aspettava un’epica rimonta da parte di Hamilton forse non ha compreso appieno i limiti di una vettura nata male.
Ma soprattutto quelli di un pilota speciale, che non è ‘progettato per vincere‘ a priori, ma può far emergere il suo lato più vulnerabile. Accettare la resa, nell’impossibilità di battagliare, è anche simbolo di maturità e di crescita personale. Non una macchia, piuttosto una pennellata, che rende Sir Lewis meno divino, ma più umano.
Foto: Mercedes AMG F1 Team