Il ritorno delle sospensioni attive è davvero una pazza idea? La F1, per definizione, rappresenta l’espressione del massimo contenuto tecnologico applicato alle quattro ruote. Nonché uno degli ambiti in cui vengono presentati i più eccezionali esempi di ingegneria in relazione alle prestazioni. Il sistema applicato ha da sempre sbandierato fieramente la propria eccellenza, attestandosi come laboratorio permanente di sviluppo di soluzioni esportabili dalla pista alla strada.
Tuttavia il recente passato è stato segnato da un trend opposto, in cui la serie ha seguito scelte tecnologiche sul mercato delle auto di serie. Sotto questo aspetto, la svolta ibrida ne rappresenta l’esempio più illuminante. Per anni la tecnologia delle monoposto è stata anacronistica rispetto alle più avanzate soluzioni del settore automotive, venendo meno, di fatto, a una delle sue principali mission.
Il tema è tornato prepotentemente di attualità in relazione all’orrenda dinamica delle nuove wing car, alle prese con il fastidioso grattacapo relativo al bouncing. L’immagine delle vetture che saltellano come grilli e dei piloti stremati dalle innumerevoli compressioni verticali non risulta di per sé un fattore contrastante?
Il talentuoso pilota Mercedes, il britannico George Russell, ha recentemente dichiarato che sarebbe favorevole al ritorno delle sospensioni attive, al fine di eliminare questo problema che sulla sua W13 è particolarmente accentuato:
“Le sospensioni attive furono una soluzione negli anni ’80, quindi potrebbero esserle anche ora. Da una pura esperienza di gara e di guida, renderebbe le auto molto più veloci perché si potrebbe metterle all’altezza perfetta ad ogni singola velocità in curva. È una tecnologia piuttosto semplice al giorno d’oggi, ed è qualcosa che si vede anche sulle auto da strada, specialmente nelle 4×4, che variano l’altezza di marcia a seconda del terreno. È qualcosa che potrebbe contribuire a rendere le monoposto ancora più veloci”.
“Non faccio io le regole – ha proseguito l’alfiere Mercedes – non sono un progettista, forse ci sono altre limitazioni intorno e non è così semplice come pensavo; tuttavia, potrebbe essere bello ed interessante. Ad ogni il porpoising è un problema che non capisce nessuno veramente, e non solo noi in Mercedes. La McLaren è l’unica a non averlo, e non so come faccia. È davvero strano, perché in F1 ci sono tanti ingegneri brillanti, ma ha colto di sorpresa nove squadre su dieci“.
Il campione del mondo 1996, Damon Hill, ha supportato il pensiero del giovane scudiero della Mercedes: “Ha assolutamente ragione. La cosa fantastica delle vetture con sospensioni attive era che si poteva modificare l’altezza da terra mentre si era in marcia. Se guardate una foto della Williams che ho guidato del 1993, la osserverete e direte wow, perché è attaccata al suolo?’”.
Per capire il presente ed il futuro bisogna come sempre fare un salto nel passato. Le sospensioni attive vennero impiegate per la prima volta su una monoposto di Formula 1 nel 1987 sulla Lotus 99T con cui Ayrton Senna vinse due gran premi (Monaco e Detroit) e sei podi.
Il sistema si basava sulla rilevazione dell’altezza della monoposto rispetto alla superficie stradale con conseguente impostazione in real time dell’assetto attraverso attuatori idraulici al fine di mantenere un’altezza da terra costante minimizzando i movimenti di beccheggio e rollio.
Tuttavia, la tecnologia era sin troppo avveniristica per l’acerbo hardware dell’epoca e molto complessa dal punto di vista computazionale.
Ad inizio degli anni novanta la soluzione fu riproposta ed affinata dalla Williams che dopo la stagione di rodaggio datata 1991 sbaragliò la concorrenza dominando le due stagioni successive al punto che la federazione decise di bandire le sospensioni attive a partire dal 1994 sotto le mentite spoglie di un ritorno alla centralità del pilota troppo assistito nella guida dall’imperante elettronica.
In realtà si trattò di una mera manovra politica mirata a stroncare il dominio dello storico team inglese attraverso l’abolizione di una delle soluzioni tecnologiche che avevano reso imbattibili le monoposto di Sir. Frank Williams.
Successivamente, gli ingegneri hanno progettato sistemi sospensivi passivi al fine di riprodurre meccanicamente il funzionamento svolto dalle bandite sospensioni attive.
In particolare il FRIC (Front to Rear Interlinked Suspension) era un sistema meccanico, introdotto sulla Mercedes nel 2013, per correggere il beccheggio in fase di frenata. Gli ammortizzatori erano collegati tramite circuito idraulico, il quale attivava meccanicamente un ritorno di pressione dal retrotreno all’avantreno, aumentando la rigidità di quest’ultimo. In questo modo, si poteva mantenere correttamente l’altezza da terra.
Anche in questo caso arrivò la scure proibizionista della federazione che bandì la soluzione nel corso della stagione 2014 a partire dal Gran Premio di Germania.
All’alba dell’era ibrida, precisamente ad inizio 2014, in un meeting dello Strategy Group, tenutosi a Londra, si propose il ritorno delle sospensioni attive di tipo standard, tuttavia i discorsi tra i team anche negli anni successivi si sono sempre arenati.
In un mercato di vetture stradali dotate di sospensioni attive e predittive, la Formula 1 rappresenta ancora lo stato dell’arte tecnologico, oppure si trova arenata a soluzioni politicamente convenzionali? Sull’altare del contenimento dei costi che ha reso possibile la standardizzazione di tante componenti, per quale motivo non si puo’ ricorrere all’utilizzo di sistemi sospensivi attivi (hardware e software) uguali per tutti i team?
E infine la centralità dell’uomo capace di fare ancora la differenza: davvero possiamo credere che in valori individuali dei piloti potrebbero essere mortificati da un potenziale ritorno delle sospensioni attive? Se ragionevolmente sussistono tutti i precedenti interrogativi, il ritorno delle sospensioni attive, invocato da Russell, è davvero una pazza idea?
F1-Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: F1 – Williams – Mercedes AMG F1