F1. Il Circus è in piena fase di ristrutturazione. Nel bel mezzo del Gran Premio di Monaco, sembra contraddittorio, si discute del futuro della gara più rappresentativa della Formula Uno. In un necessario riassetto logistico che i vertici della categoria intendono operare per rispondere ad esigenze ecologiche ma soprattutto economiche (leggi l’approfondimento), alcune colonne portati del calendario potrebbero dire addio. O potrebbero vivere di un’alternanza inedita per garantirsi la permanenza futura.
La lista degli eventi per il 2023 si sta stilando in questi giorni. L’intenzione dei decisori è quella di raggiungere le 24 gare stagionali. Con diverse location che spingono per entrare altre devono necessariamente commiatarsi. Francia e Belgio sono i GP traballanti. I nuovi ingressi certi sono Qatar e Las Vegas, con una buona possibilità di vedere il Sudafrica la cui candidatura è fortemente perorata da Lewis Hamilton.
La presenza della Cina, sulla carta confermata, deve fare i conti con la situazione Covid. Il paese asiatico adotta protocolli molto stringenti e pochi casi di positività determinano lockdown serratissimi che potrebbero essere incompatibili con l’elasticità che la Formula Uno adopera per procedere in tempi di pandemia.
Ai teatri in bilico va aggiunto anche il Messico. Che potrebbe però salvarsi. Nell’agosto del 2018, l’allora CEO di Liberty Media, Chase Carey, volò in America per stringere un accordo con gli organizzatori dell’evento per l’estensione del rapporto fino al 2022. Nel frattempo il caratteristico tracciato americano è passato di mano e, ad ora, non si ancora trovata un’intesa. Anche se la F1 non intenderebbe perdere un tale bacino di tifosi e una gara che sta diventando iconica grazie al suo pubblico e allo stadio nel quale le vetture sfrecciano nel terzo settore.
Il ruolo di Città del Messico è quindi cruciale per il Vecchio Continente. Dovesse essere rimosso dal calendario (ma ad ora persiste la volontà di tenerlo saldamente in lista), insieme alla cancellazione di Sochi, i tre slot liberi sarebbero occupati Las Vegas, Cina e Losail già contrattualizzati. Viceversa, dovesse restare, stante il limite di 24 gare, una tra Montecarlo, Francia e Belgio dovrebbe salutare perché hanno licenze che scadono nel 2022. Valutiamo caso per caso.
Montecarlo è il GP più rappresentativo della F1. Su questo non c’è dibattito. Pur avendo un contratto in fase terminale possiede una sorta di opzione per attivarne il rinnovo. Cosa semplice sulla carta ma più complessa perché la Formula Uno ha rimosso i privilegi offerti in passato all’organizzatore che ora deve pagare le stesse cifre che spendono gli altri organizzatori.
I vertici del Circus hanno tolto il Principato dal piedistallo. Anche la riduzione del format di gara ai tre giorni attuali ne è un segnale: uno schiaffo alla tradizione consolidata di un GP che iniziava al mercoledì con le attività media, proseguiva al giovedì con i primi due turni di libere, osservava una pausa al venerdì, giornata da sempre dedicata al glamour, e procedeva negli altri due giorni come in ogni altra location.
Ora, da cinque giorni di sfruttamento collaterale del brand Monaco, si arriva ai tre. E la cosa fa storcere il naso a chi ci mette i soldi per far correre i bolidi della F1. Ancora, negli ultimi anni, sta sorgendo una questione di natura tecnica. Le monoposto sono sempre più refrattarie, per grandezza e caratteristiche aerodinamiche, ad una pista così angusta. Bisogna capire se le auto di nuova generazione possano meglio districarsi tra i muretti del Principato.
Ecco perché importanti modifiche al layout del tracciato che lo dovrebbero allungare ed allargare, specie nella zona prima del tunnel, sono ad oggi congelate. Da qui la presenza in queste ore di Hermann Tilke in terra monegasca. Se la Formula Uno valuta Montecarlo è anche il Principato a soppesare la stessa F1. Certo è che perdere una gara del genere sarebbe una mazzata ciclopica alle tradizioni di questo sport che vanno via via diluendosi a colpi di gare notturne, circuiti esotici e location dai contorni scintillanti ma dai contenuti tecnici discutibili.
La questione è comunque economica. Oggi Montecarlo paga tra i 10 e 15 milioni di dollari per vedere sfrecciare i bolidi della F1 tra le sue stradine. Una cifra inferiore a qualsiasi altra gara dato che il prezzo d’ingresso è di 25 milioni. Ancora, tra i privilegi che Bernie Ecclestone concesse al GP, c’è quello di autoprodursi le immagini. Cosa che determina che un dato sponsor venga inquadrato maggiormente di altri. E tra questi potrebbero esserci quelli che pagano cifre blu alla F1. Monaco è legata a Tag Heuer, il Circus alla Rolex: bel conflitto d’interesse orologiaio.
La sensazione è che l’endorsement dei piloti, che ieri in conferenza stampa peroravano la causa monegasca, serva a ben poco se non verranno risolte altre questioni. Liberty Media ha un approccio molto cinico e orientato alla massimizzazione dei profitti. Non c’è sentimento che tenga: o Monaco si adegua o rischia di salutare la truppa.
Spostiamoci di meno di 200 chilometri. Da Monaco al Paul Ricard, sede del GP di Francia con il suo tracciato psichedelico a dalle centinaia di configurazioni possibili. Il ritorno del F1 nel Paese transalpino è datato 2018. Da quel momento restano irrisolti dei problemi il cui fissaggio è una priorità per Domenicali: facilità di accesso alla pista, possibilità di raggiungere in rapido tempo aeroporti e agglomerati urbani di una certa grandezza, possibilità di organizzare eventi correlati che in talune circostanze diventano più importanti dell’evento stesso.
Tutto ciò che l’area del Parc Naturel de la Sainte Baume non può offrire per conformazione topografica e sviluppo urbanistico. A ciò si aggiunge una certa ritrosia della Francia ad investire ingenti cifre di danaro per vedere confermata la gara che, aggravante, non è proprio di quelle in cima alle preferenze dei tifosi di tutto il globo. Da ciò scaturisce la posizione decisamente instabile del GP di Francia che sembra essere il primo indiziato a fare i bagagli.
E giungiamo così a Spa Francorchamps, “l’università della F1”. Il tracciato più amato dai piloti e dagli appassionati con quel suo gusto “old school” e dalle pieghe entrate nella storia essendo diventate i teatri di duelli indimenticabili. Nelle Ardenne non se la passano bene. Alcuni dei problemi che affliggono il Paul Ricard sono comuni a Spa.
Il Gran Premio del Belgio fa parte del tessuto connettivo della F1 ma Stefano Domenicali dimostra di avere il cuore di pietra quando afferma che non basta più possedere un pedigree. I circuiti devono stare al passo coi tempi. E con le mode americane. Devono produrre spettacolo e soldi. Il meccanicismo applicato al motorsport dove non c’è più spazio per i sogni e per la storia ma solo per i business plan ben riusciti.
Spa, a differenza del Paul Ricard, sta provando a rifarsi il look compatibilmente con il suo status di pista adagiata nei boschi. Un’importante riqualificazione è in corso. Un processo che investe anche l’iconica Eau Rouge. Un cosa necessaria dopo gli incidenti del Raidillon avvenuti negli ultimi anni, incluso quello fatale occorso ad Anthoine Hubert nel 2019. Modifiche sulla sicurezza, quindi, che potrebbero non bastare per Liberty Media che chiede a gran voce migliori infrastrutture intorno alla pista per evitare gli ingorghi inestricabili che da sempre caratterizzano le fasi di afflusso e riflusso alla pista belga.
Ciò che gioca a sfavore del circuito situato ai confini col Lussemburgo è che il governo non mette il suo finanziamento in cima all’agenda politica. Ancora, sponsor munifici all’orizzonte non se ne vedono e non ci sono molte possibilità di creare poli d’attrazione nel bel mezzo degli incantati boschi delle Ardenne. Gli organizzatori strizzano l’occhio ad altre serie come il WEC o le due ruote e pensano di poter sopravvivere anche senza lo spettacolo della F1. Elementi che fanno tremare i polsi agli appassionati che, di contro, rappresentano la cassaforte di Spa Francorchamps.
La più grande risorse che Spa può spendere dinnanzi alle teste d’uovo americane è la sua fan base. Una F1 che sta perdendo le sue radici deve ad un certo punto fissare almeno qualche paletto storico-culturale. E il GP del Belgio potrebbe essere uno di questi. Spa si appiglia alla tradizione e bisogna capire Liberty Media quanto possa e voglia concedere su questo aspetto. La sensazione che una via compromissoria possa trovarsi c’è. Gli sforzi di adeguamento compiuti recentemente dovrebbero essere premiati. Anche perché fatti a fronte di rassicurazioni verbali. Vedremo se la parola conta ancora qualcosa.
Il Belgio si potrebbe salvare condividendo una gara con un altro Paese organizzando il Gran Premio ogni due anni. Quota d’iscrizione divisa e appuntamento confermato. Concetto che gli organizzatori del GP di Portimao sposano. Ecco che il circuito che sorge nelle Fiandre potrebbe alternarsi col partner lusitano.
Questa situazione di compromesso potrebbe soddisfare Liberty Media che è alla costante ricerca di fondi e di location nuove in cui la gara sia un evento nell’evento. La F1, in soldoni, vuole abbracciare il “paradigma Superbowl“.
F1 – Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, Oracle Red Bull Racing