Un silenzio lungo sette mesi rotto il giorno dopo che la Federazione Internazionale dell’Automobile ha comunicato la fine del rapporto con Michael Masi. L’ex direttore di gara della F1 ha ritrovato la parola, in forma scritta invero, in una missiva “urbi et orbi” nella quale ha parlato della sua esperienza nella massima serie, delle competenze acquisite e della necessità di rimettersi in discussione professionalmente nella sua terra natia.
Un comunicato oggettivamente privo di spunti interessanti, un atto dovuto che fa seguito ad un altro testo che sicuramente non entrerà nella storia. Pagine intrise di formalismi che non fanno menzione di ciò che ha determinato il divorzio: la gestione di Abu Dhabi 2021 che resta una macchia nella carriera del dirigente sportivo.
Il processo di profonda ristrutturazione procedurale voluta da Mohammed Ben Sulayem parte proprio da quella vicenda che ancora oggi fa discutere tifosi ed addetti ai lavori che, al di là della fazioni, convengono nel constatare che la gara è stata decisa da una serie di prese di posizione estemporanee e frutto di interpretazioni del diritto scritto piuttosto singolari nonché devianti dalle consuetudini che lo stesso Masi aveva contribuito a costruire.
Permetteteci di essere un cinici e dissacranti: alla versione incrociata fornita dalla due parti crediamo ben poco. Che una persona desideri stare vicina ai propri affetti è una qualcosa di scontato. Che questi, sovente, vengano utilizzati per ammantare di coerenza scelte obbligate o imposizioni dall’alto è altrettanto una dinamica molto comune.
Subito dopo la nomina della triade Blash – Wittich – Freitas la FIA ha offerto a Masi un altro ruolo presso i propri uffici. Non si è mai conosciuta la natura dell’incarico, ma di certo era qualcosa che lo limitava notevolmente nell’azione e nei poteri perché l’indicazione data da Ben Sulayem era chiara: dopo i fatti del 12 dicembre non ci sarebbe più stato spazio in pista per il manager che veniva incastrato alle sue responsabilità per quanto accaduto (leggi per approfondire).
Masi è un uomo della vecchia espressione del potere federale. Anche se la sua nomina fu caldeggiata di Blash – che ora è una sorta di super-consulente dei due direttori di gara – è una figura riconducibile a Jean Todt. L’attuale presidente emiratino, in un processo di sostituzione di uomini chiave del passato (vedasi la recente rimozione di Peter Bayer) non ha esitato a cancellare con un colpo di spugna il dirigente sportivo australiano. E i ringraziamenti algidi che quest’ultimo ha riservato in chiusura di comunicato a Ben Sulayem sembrano essere piuttosto indicativi di un rapporto mai decollato del tutto.
Non vi sono controprove a riguardo, ma si può ipotizzare che col vecchio corso federale Masi avrebbe potuto fare salvo il suo scranno. O avrebbe potuto subire una riallocazione professionalmente più soddisfacente di quella che evidentemente gli è stata offerta.
Jean Todt fu eletto presidente della FIA in piena era Bernie Ecclestone che, pur facendo riferimento ad un gruppo esterno all’ente parigino, ne influenzava certe scelte. La Federazione organizza, sotto la sua egida, diverse competizioni, ma è inutile dire che la F1 è quella più “pesante” in termini di ritorno economico e di potere. Forse non è un caso che proprio oggi, il vecchio proprietario del Circus, si sia espresso in termini non proprio entusiastici sul nuovo corso che vede l’alternanza tra Wittich e Freitas.
Ecclestone, difatti, ha affermato che sarebbe proprio Michael “Herbie” Blash l’uomo forte cui affidare l’incarico di race director. Un uomo che è stato vicinissimo a Charlie Whiting che è stato il formatore di Masi. Un professionista, Blash, che di certo non si può considerare nemico nella vecchia dirigenza. La rimozione di Masi, spontanea o imposta che sia (la verità non la sapremo mai), sembra piuttosto la manifestazione di un passaggio di potere monco, tutt’ora in fase di assestamento.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, FIA