Dopo oltre due terzi di stagione di F1 è tempo di bilanci. La rivoluzione regolamentare più grande degli ultimi decenni mirava a conseguire diversi obiettivi sfidanti. Almeno nelle intenzioni della Federazione Internazionale e di Liberty Media. La semplificazione aerodinamica delle monoposto e il ritorno dell’effetto suolo sono state le modifiche distintive della nuova generazione dei bolidi della Formula 1.
Meno suggestiva per i fan ma parimenti importante è stata l’introduzione del regolamento finanziario atta a limitare le folli spese sostenute dai top team nel recente passato. Anche la disciplina delle ore di sviluppo in galleria del vento, attraverso la logica del “balance of performance”, è un fattore innovativo del nuovo quadro normativo.
Tutte le azioni intraprese dal governo della Formula 1 avevano come target la convergenza prestazionale dei team che potesse fornire le medesime possibilità di successo a tutti i competitor. Non è ragionevole emettere un giudizio definitivo sulla validità dei suddetti provvedimenti per la semplice ragione che il corpo normativo è troppo giovane. Probabilmente l’avvicinamento dei valori richiederà tempo, analogamente a quanto si è assistito in passato.
In base ai dati elaborati da FormulaUnoAnalisiTecnica che analizzeremo nel presente scritto, un dubbio sorge spontaneo: La precedente generazione di monoposto, senza le limitazioni sugli update imposti dalla FIA, poteva garantire un equilibrio dei valori in campo più ampio rispetto ai rapporti di forza espressi dalle wing car?
La legittimità del quesito è fornita dalle evidenze. Nella stagione 2021 quattro team hanno colto almeno un successo: Mercedes, Red Bull, McLaren e Alpine. Con maggiore sorte anche la Ferrari avrebbe potuto conquistare almeno due successi a Monaco e in Inghilterra. Al netto della fortunosa vittoria di Ocon nell’Hungaroring, almeno quattro scuderie avevano espresso il potenziale per aggiudicarsi almeno una vittoria di tappa.
Ad esempio, senza l’improvviso acquazzone nelle fasi finali del gran premio di Russia, Lando Norris avrebbe potuto consegnare il secondo successo stagionale alla McLaren. Un’ampia competitività al vertice nonostante le misure imposte dalla FIA avessero ridotto in modo significativo il margine di sviluppo delle monoposto 2020, al fine di limitare i costi nel pieno della crisi economica generata dalla pandemia da Coronavirus.
Chi si aspettava che la classe operaia andasse in paradiso si interroga sulla efficacia del nuovo corso della categoria regina del motorsport. Probabilmente questo feeling è in parte attutito dal ritorno alla vittoria della Ferrari il cui fascino mediatico a livello globale contribuisce a conferire un giudizio complessivamente positivo alla rivoluzione regolamentare.
E’ indubbio che il team che ha effettuato lo step prestazionale più importante rispetto alle scorse stagioni sia proprio la scuderia di Maranello. Tanto basta per certificare l’inizio di una nuova entusiasmante era della Formula 1? La risposta è no. La possibilità matematica che Max Verstappen possa bissare il titolo mondiale con cinque gare di anticipo evidenzia, oltre ogni ragionevole cautela, che la rivoluzione auspicata da FIA e Liberty Media abbia assunto le sembianze di una involuzione.
La comparazione di alcuni trend sul medesimo numero di gare fornisce evidenze incontrovertibili. Alla voce “piazzamenti in top ten dopo 16 gare” si osserva che la scorsa stagione il midfield era molto più presente nei quartieri alti delle singole gare.
Il confronto dei piazzamenti a podio dei team tra la stagione in corso e il 2021 è ancora più eloquente. Basti pensare che in una sola occasione un gradino del podio non è stato occupato da un pilota Red Bull, Ferrari o Mercedes. Nella fattispecie, l’eroe per caso è stato Lando Norris grazie al terzo posto conquistato ad Imola su gentile omaggio di Charles Leclerc che si girò alla variante alta nella forsennata rincorsa alla piazza d’onore conquistata da Sergio Perez.
Nei primi sedici gran premi del 2022 non sono certo mancate occasioni favorevoli al midfiled per poter ambire a risultati superiori alla competitività delle rispettive monoposto. Ad esempio la pioggia ha condizionato i weekend di Imola, Monaco, Canada e Inghilterra tuttavia la forbice prestazionale tra i top team e la zona di mezzo è apparso incolmabile anche nelle avverse condizioni metereologiche.
In ultima analisi abbiamo elaborato il distacco nella Q1 tra il primo e l’ultimo classificato, in quanto si tratta dell’unico momento del weekend in cui tutte le monoposto corrono nelle medesime condizioni (quantitativo di benzina, livello di aderenza dell’asfalto, set nuovi di pneumatici, etc.).
Dalla comparazione dei rilievi cronometrici si desume che il gap tra le monoposto prime della classe e le “cenerentole” è sostanzialmente immutato. E’ necessario precisare tuttavia che tale “compare” è inficiato dalle pessime performance della Haas VF-21 che era sostanzialmente la medesima monoposto del 2020 affidata ai due rookie Mick Schumacher e Nikita Mazepin.
Come anticipato nell’introduzione dello scritto, il 2022 può essere archiviato come una stagione di apprendimento, in cui i team con le migliori risorse umane sono riuscite a confermare la propria superiorità al netto dell’avvicendamento tra Mercedes e Ferrari nel ruolo di antagonista della Red Bull. Nelle prossime sei tappe del mondiale non c’è ragione per ipotizzare un’inversione di tendenza rispetto ai valori espressi in pista dai team dopo oltre due terzi del campionato.
Le speranze di un maggior equilibrio prestazionale sono riposte inevitabilmente nella prossima stagione. La Formula 1, con ben 24 gare in calendario nel 2023, non può permettersi un dominio che riduca l’interesse dei fan ai minimi termini dopo pochi round…
Autore infografiche: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: F1TV, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari