E così d’ora in avanti, quando parlando di F1 faremo riferimento a Max Verstappen, potremo finalmente adottare l’appellativo di “il due volte campione del mondo” oppure “campione del mondo bis”. Un meritatissimo titolo, figlio di una stagione in cui Max ha mostrato ben pochi segni di cedimento (probabilmente solo i ritiri ad inizio campionato, o la recente brutta partenza a Singapore), e di un talento che si riconferma e si mostra sempre più evidente anno dopo anno.
La Red Bull d’altro canto è stata la scuderia ideale (nonché la miglior “partner”) per coronare questo secondo traguardo: una garanzia assoluta, spesso al limite dell’impeccabile, costantemente al fianco di quella che a tutti gli effetti diventerà ben presto un’icona di questo sport (se non lo è già).
Molto probabilmente, anche avere una simile consapevolezza alle spalle ha giocato un ruolo fondamentale sul piano mentale per l’olandese: un team così efficiente, e che lo identifica palesemente come la propria punta di diamante, è evidente che ponga il pilota nelle condizioni di doversi preoccupare di un’unica cosa. Guidare (e vincere).
Lasciare libero un driver di doversi occupare esclusivamente di quello, lo colloca in una condizione psicologica vincente a prescindere: il suo focus è posto unicamente sul feeling con la monoposto e con i layout dei vari circuiti. Per tutto il resto, c’è un intero team pronto a provvedere alle eventuali variabili di intralcio, che magari potrebbero andare ad influenzare od impensierire il pilota stesso.
Se dunque Max è stato d’acciaio, il suo team lo è stato altrettanto: e così nel giro di appena altri 4 appuntamenti gara, saluteremo la vincente RB18 per poi conoscere qualche mese più tardi la sua diretta erede. Quel che è certo, è che anche lei avrà nuovamente un torreggiante numero uno sul musetto. Altro che 33!
Tuttavia va specificato che anche questo titolo mondiale ha avuto la sua battaglia: certo, non come quella dello scorso anno, ma un minimo di titubanza presumiamo possa esserci ugualmente stata.
Il suo avversario numero uno, Charles Leclerc, non c’è dubbio che possa essere stato una spina nel fianco in più di un’occasione, salvo poi essere stato protagonista di discutibili dinamiche di gestione da parte del team e nel contempo anche responsabile di alcuni errori.
D’altronde la Scuderia Ferrari non ha brillato per quanto concerne la sfera gestionale e tutto ciò che c’è alle spalle di quel che si vede, nonostante un 2022 con una F1-75 finalmente performante: specialmente in questo, il paragone con la Red Bull risulterebbe impietosamente schiacciante.
Eppure anche quest’anno ci sono state delle sezioni di campionato in cui non era necessariamente detto che il team di Milton Keynes avesse potuto indiscutibilmente vincere il titolo a mani basse: dunque cos’è che ha potuto fare la differenza?
Chiaro che in tal senso di variabili ce ne sarebbero una marea, ed elencarle tutte sarebbe anche inutile e fuorviante; tuttavia si potrebbe porre l’accento sul profilo psicologico di entrambi i piloti, e sul loro modo di approcciarsi / reagire alle vicissitudini che si sono susseguite durante il campionato.
Verstappen difatti, ha recentemente dichiarato di aver percepito l’appuntamento francese al Paul Ricard come momento cardine nella sua lotta al campionato: una mezza bugia? Vediamo.
Tale circostanza è stata una di quelle occasioni che la Red Bull ha saputo sfruttare capitalizzando sulle inadeguatezze altrui: la RB18 era stata protagonista durante il precedente appuntamento (al Red Bull Ring) di una gara terribile dal punto di vista della gestione gomme, ed aveva bisogno di riscatto.
Giunti al Paul Ricard, ancora una volta la macchina sembrava versare in condizioni tutt’altro che ottimali: in quella sede molteplici furono gli attacchi che Charles era riuscito a schivare assumendo una leadership sempre più concreta e distaccata, ma il suo errore alla Beausset ha di fatto sprecato il tutto consegnandolo agevolmente nelle mani di Max.
Non è stato forse il miglior appuntamento per il team di Milton Keynes in termini di bravura (e perché no, anche di superiorità), ma di fatto è stato lì che la faglia si è ampliata visibilmente.
Quella vittoria ha lasciato spazio ad un dominio sempre più incontrastato sia sul piano tecnico che psicologico: da lì in avanti, la RB18 è costantemente arrivata sul gradino del podio macinando punti su punti e demolendo progressivamente le speranze mondiali della Rossa.
Un fattore psicologico non indifferente che forse, come una goccia cinese, ha iniziato a scorrere insistente sullo stile di guida di Charles: che sia diventato più remissivo sulla scia degli eventi in pista?
Anche in merito alle fasi iniziali dell’appuntamento di Suzuka: la partenza di Max non è stata esattamente da 10 e lode, eppure il fatto che Charles fosse riuscito a metterla all’interno, non ha comunque impedito a Max di bruciarlo chiudendolo definitivamente (complice anche il lato della pista con maggiore grip).
D’altronde Verstappen è uno che intimorisce (il suo carattere e la sua verve lo precedono) e sebbene non sia più il Mad Max di un tempo, a parlare per lui adesso ci sono comunque due titoli mondiali.
Una maggiore consapevolezza ed anche essere più incisivo potrebbero essere gli elementi da coltivare in vista del prossimo anno: se la vettura sarà ancora (e di più) competitiva, oltre al fattore gestione, anche un’inversione di rotta in termini di atteggiamento potrebbe essere un’ottima chiave di svolta.
Non si diventa campioni del mondo dall’oggi al domani: sbagliato dichiarare ad inizio stagione di pensare di lottare concretamente per il titolo. Quest’anno ha rappresentato un ipotetico rodaggio, il prossimo sarà “la volta buona”?
F1 Autore: Silvia Napoletano – @silvianap13
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing F1, Max Verstappen