Per uno strano scherzo del destino, la diciannovesima tappa di F1 è stata la cornice dove si sono consumate le più aspre polemiche nel recente passato. Esattamente tre anni fa, Max Verstappen, in modo alquanto caustico, dichiarò alla testata Ziggo Sport come le opache performance della Ferrari erano riconducibili al fatto che gli uomini di Maranello avevano smesso di barare.
Esternazione al veleno che fecero il giro del mondo, sintetizzando in modo discutibile i rumor che da tempo circolavano nel paddock in merito alla presunta illegalità della power unit della SF90. Nel febbraio del 2020, il “settlement agreement” tra la FIA e la storica scuderia modenese sancì la conclusione della vicenda, non senza polemiche, condannando la Ferrari a due anni di oblio sportivo. Lo scorso weekend, in Texas, si è riproposto il medesimo “mood”.
Nel paddock di Austin la tensione era palpabile in relazione all’accertata infrazione del regolamento finanziario ad opera della Red Bull, comunicata dalla FIA il 10 ottobre. La presenza in America del presidente della FIA Mohammed Ben Sulayem è parsa una sorta di missione diplomatica quale prologo alla sospirata sentenza sul Budget Cap Gate.
L’incontro tra Christian Horner e il presidente dell’organo di governo della F1 è avvenuto dopo che il team di Milton Keynes aveva annunciato una conferenza stampa “straordinaria” per venerdì mattina, successivamente annullata, al Circuit of the Americas.
Nonostante il massimo riserbo, l’obiettivo del meeting era probabilmente quello di definire una linea comune nella divulgazione della sanzione che sarà comminata alla scuderia austriaca. Particolare di non poco conto, è stata la presenza all’incontro con il segretario generale della FIA di Sheila Ann Rao, figura apicale Mercedes sino a qualche mese fa.
La scomparsa del fondatore del brand Red Bull, Dietrich Mateschitz, ha doverosamente anteposto il tributo alla memoria del visionario imprenditore austriaco agli step conclusivi del procedimento a carico della Red Bull.
La consueta conferenza stampa dei team principal prima della terza sessione delle prove libere era molto attesa in relazione alla presenza di Christian Horner, Zak Brown (CEO McLaren, nda) e Mattia Binotto. Una scelta “chirurgica” dei operata dalla federazione. Da un lato il capo della scuderia accusata di condotta finanziaria fraudolenta. Dall’altra il team principal dei rivali della Ferrari e il CEO della McLaren che non aveva esitato ad etichettare Red Bull come “imbrogliona”.
La defezione di Binotto per motivi di salute è stata colmata in extremis da Jost Capito, boss della Williams. Un momento “istituzionale” dall’enorme valore mediatico, in cui il solo Brown ha potuto replicare alla improbabile linea difensiva di Horner.
Il manager americano alle parole dei giorni scorsi ha fatto seguire i fatti, inviando una lettera di chiarimento alla FIA ponendo l’accento sul vantaggio prestazionale derivante dal superamento del limite di spesa.
L’assenza giustificata da parte di Mattia Binotto all’incontro con la stampa si presta ad alcune riflessioni. L’importanza del meeting era evidente sin dal momento della designazione dei team principal invitati. Era l’occasione per esprimere in modo chiaro e netto la posizione del Cavallino Rampante in merito al “Budget Cap Gate”, nell’unico momento istituzionale nello “schedule” del weekend dedicato ai responsabili delle squadre.
E’ possibile che un’organizzazione come la Ferrari non abbia nei suoi ranghi un figura di “deputy” o un facente funzione in luogo dell’ingegnere di origine svizzera in grado di sostenere le istanze del team di Maranello in un contraddittorio visibile in mondovisione ed aperto alle domande della stampa?
Del resto il team principal della McLaren è Andreas Seidl ma l’importanza dell’evento è stata recepita dal proprio amministratore delegato (Zak Brown, nda). In sostanza è come se John Elkann avesse preso parte al meeting in luogo del manager di Losanna.
Peccato che il presidente della Ferrari fosse impegnato a fare gli onori di casa alle star di Hollywood accorse in Texas. Il silenzio assordante della Ferrari nel sabato texano può essere riconducibile a quattro ipotesi:
La delicatezza della tematica non poteva essere in alcun modo delegata
Non esiste una figura di spessore “politico” nei quadri dirigenziali della GES
Lo stile manageriale di Binotto è poco incline alla delega
Una diserzione indolore
E’ inutile negarlo: il “settlement agreement” con la FIA datato febbraio 2020 è stato un colpo durissimo per la GES. Un accordo pagato a caro prezzo in termini di performance nel biennio 2020/2021 che potrebbe aver temprato Mattia Binotto. E’ un dato di fatto che la Ferrari, dopo la nota della FIA del 10 ottobre che rendeva pubblica la violazione operata da Red Bull, ha sotterrato l’ascia di guerra almeno dal punto di vista della strategia comunicativa.
Non è da escludere l’ipotesi che Binotto, spalleggiato da Mercedes, abbia messo in pratica una silenziosa pressione nei confronti della FIA, affinché il danno subito nel presente possa costituire un vantaggio a medio lungo termine. Sanzioni in grado di “indebolire” il team di Milton Keynes sotto forma di downgrade prestazionale, assibilabile a quello patito dalla scuderia italiana a valle dell’accordo transattivo con la FIA.
Nonostante il dialogo FIA/Red Bull sia stato sospeso, in segno di rispetto per la scomparsa di Dietrich Mateschitz, è netta la sensazione che la querelle sia ormai giunta al capolinea. L’attesa sentenza sgombrerà il campo dalle ipotesi, fornendo un’idea chiara di chi saranno i vinti e i vincitori di questa triste vicenda.
Autore e grafiche: Roberto Cecere – @robertofunoat
Foto: Scuderia Ferrari