Dichiarazioni

Charles Leclerc: meglio i riflettori delle critiche, che il buio dell’indifferenza

Se è vero che vivere la F1 essendone parte integrante è senza ombra di dubbio un immenso privilegio oltre che un lusso, è altrettanto vero che lo stress psicofisico che comporta, raggiunge livelli estenuanti.

Non si discute sulla fortuna di riuscire ad entrare in un mondo così elitario, ed anche il merito di essere uno dei pochi protagonisti rende sicuramente il tutto ancora più esclusivo, ma a che prezzo?

Chiaro, inutile prendersi in giro: vita agiata, ingaggio galattico, discreta notorietà, fiumi di fan in giro per il mondo. Di benefits ce ne sono, ed anche parecchi. Uno sport così “chiuso” e selettivo, per certi versi rende davvero le cose difficili anche per chi ne fa già parte da tempo: eppure a quanto pare, non ci si abitua mai.

Piloti e monoposto schierati in griglia per l’inizio della stagione 2022

Non ci si abitua mai ai ritmi serrati, non ci si abitua mai ad essere in giro per il mondo per almeno una decina di mesi l’anno, non ci si abitua mai al pressing psicologico che i duelli in pista (e fuori) naturalmente presuppongono.

Uno sport nel contempo individuale e di gruppo, in cui il front man è senza dubbio sempre il pilota, ma non bisogna mai perdere di vista anche l’aspetto dell’intero team che c’è alle sue spalle.

F1. In questo sport si vince e si perde, ma…

Facile guardare da fuori solamente ciò che si vuole vedere: chiaramente gli innumerevoli aspetti positivi offuscano la vista di chi non ne fa parte. Eppure, non è così scontato il semplice “stare bene” in quanto parte integrante di tale élite.

In special modo, quando le cose vanno male: finché si vince, son sempre tutti pronti a salire sul carro dei vincitori, ed è meraviglioso essere parte di un team imbattibile agli occhi del paddock. In quel caso anche per il pilota stesso, l’onore di essere l’icona rappresentativa di una determinata scuderia, è sicuramente una consapevolezza che ricompensa tutta la fatica patita sino a quei risultati.

Attenzione: questo non significa che sia più semplice, ma quantomeno banalmente più soddisfacente ed incoraggiante a livello psicologico.

Ma cosa succede se le cose vanno male? Diventa un ricircolo continuo di frustrazione e delusione, come un cane che si morde la coda: più i risultati non arrivano, e più diventa pesante credere in un progetto che appuntamento dopo appuntamento si dimostra sempre più rovinoso.  

Mattia Binotto, team principal della Scuderia Ferrari

E non c’è niente da fare, anche se le cose dovessero lievemente cominciare a migliorare, finché non si riesce ad essere concretamente in lotta per il podio, il risultato non sarà mai vissuto in una maniera del tutto appagante.

Da questo punto di vista, la F1 sa essere realmente brutale. Per quanto possano essere tenute in considerazione le classiche scuderie di metà classifica, agli occhi di molti restano solamente quello: team di metà classifica, e nient’altro.

Certo, se ne monitorano i progressi e talvolta si resta anche piacevolmente colpiti dai buoni risultati, ma lottare per il podio è tutt’altra storia.

F1. Il lungo travaglio della Rossa

Questo in casa Ferrari lo sanno molto bene: un team che ha fatto la storia della F1, che da sempre ha preso parte ad ogni campionato sin dal lontano 1950, ha altresì attraversato periodi bui di crisi nera. Non che la fase critica possa essere dichiarata ad oggi del tutto ufficialmente conclusa, ma quantomeno i risultati visti nell’ultimo anno accantonano momentaneamente le precedenti stagioni disastrose.

A livello psicologico forse, la consapevolezza di rappresentare un’icona di un certo calibro ed avere una considerevole rilevanza nello scenario di questo sport, è stato un ulteriore peso aggiunto da dover subire, oltre lo stigma di non star tenendo alto il nome della Rossa.

È per questo che la stagione 2022 ha rappresentato uno spaccato tutto sommato positivo per il recente percorso della Ferrari: è tornata finalmente sotto i riflettori in maniera moderatamente favorevole, dopo periodi di battaglie per i classici piazzamenti di metà classifica.

Chiaro che di imbarazzanti pasticci ne abbiano comunque combinati, per cui è stato semplice riferirsi ad alcuni eventi in maniera negativa anche in questa annata, ma perlomeno si parlava di speranze podio (o vittorie) sfumate gettandole alle ortiche.

Anche lo stesso Charles Leclerc è del medesimo parere: a suo avviso, molto meglio avere tutti i riflettori puntati addosso, piuttosto che spegnersi nel buio del disinteresse, sebbene ciò necessariamente comporti lavorare sotto un maggior carico di stress e pressione.

Un avvilito Charles Leclerc (Scuderia Ferrari)

Il confronto con la passata stagione è presto fatto: l’anno scorso seppur si tentava di concretizzare il meglio, si finiva comunque a lottare per una banale sesta/settima posizione, ed anche nel momento in cui venivano apportate delle migliorie, nessuno pareva notarle od apprezzarle.

Logica conseguenza, un alto livello di frustrazione ed insoddisfazione, che porta a non stimare quanto si è imparato da quel determinato weekend, visto che per ogni appuntamento (dall’esito negativo o positivo che sia), c’è sempre qualcosa da esperire e mettere in pratica per la gara seguente.

Dunque ad avviso di Leclerc, molto meglio la presente stagione, in cui nonostante gli alti e bassi, qualsiasi passo fatto è stato comunque ugualmente sottolineato ed apprezzato (anche se talvolta non proprio…).

Trampolino di lancio verso la stagione 2023, sperando che le circostanze da notare siano meramente positive? Questo, il possibile augurio di Charles.


F1 Autore: Silvia Napoletano@silvianap13

Foto: F1, Scuderia Ferrari, Charles Leclerc

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Pubblicato da
Silvia Napoletano