Formula 1

I soldatini dal capo chino

Suzuka 2022: il Gran Premio azzoppato. Questa la sintesi estrema di quanto è accaduto ieri in Giappone. Una pioggia battente, che sabato qualcuno metteva indubbio, si è presentata puntuale come un orologio di precisione e non ha dato tregua per ore. Da qui i continui “delay” che hanno reso monco un evento che ricorderemo, ahinoi, anche per le ruspe presenti in pista.

Alla fine di 28 giri in cui, ad essere onesti, non s’è visto nulla che rammenteremo per più di un paio di giorni (La F1 sappia interrogarsi sull’efficacia di vetture inabili a sopravanzarsi anche quando la pista è bagnata) è Max Verstappen a spuntarla con tratti di dominanza imbarazzanti per la concorrenza.

Alla fine i documenti hanno detto che Sergio Perez, “piazzato” dopo la penalità di cinque secondi comminata a Charles Leclerc, ha accusato un ritardo di 27.066 secondi. Un abisso, una sentenza senza appello per i primi sconfitti. Ossia per una Ferrari che dopo il Gran Premio d’Austria è diventata spettatrice non pagante nel campionato. Evidentemente vincere a casa del rivale principale non porta bene alla Rossa. Silverstone 2018 insegna.

Il duello tra Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing F1) e Charles Leclerc (Scuderia Ferrari) a Suzuka

F1. Gp Giappone 2022: la gara monca

Questo scritto non vuole però discettare della dodicesima vittoria stagionale di Max (trentaduesima in carriera, ndr) e del relativo e strameritato titolo iridato. Ci sono centinaia di focus, di approfondimenti e di analisi che sarebbe tedioso prodursi nell’ennesimo pezzo per celebrare un talento straordinario che ha letteralmente annichilito i rivali.

L’intenzione è invece quella di far riflettere il lettore sulla parabola tracciata della Formula Uno, intesa come governance, e dell’appiattirsi pedissequo dei piloti che, forse, scontano il peccato di non essere più avvezzi a guidare in condizioni che tanto estreme non erano. Almeno quando l’azione è ripartita visto che tutti o quasi hanno switchato verso le gomme intermedie dopo tre giri della garetta nipponica.

Dopo lo start del Gran Premio gli on board dei driver impegnati in pista erano uno iato di lamentazioni, un coro di doglianze, una sinfonia di fastidio decantato in ogni lingua. Molti, quasi tutti, hanno chiesto che la gara si fermasse. L’indignazione ha superato i livelli di guardia con Pierre Gasly che ha sbottato dopo aver visto una ruspa in pista.

Polemiche scese giù più copiose della pioggia torrenziale che sono state inaridite quando, osservano bene le cose, si è notato che era esposta bandiera rossa e il francesino, nel momento in cui il mezzo meccanico era abilitato a scendere sul tracciato, sfrecciava a oltre 200 km/h. Manovra per la quale è stato legittimamente sanzionato. A volte bisognerebbe urlare per altri motivi.

Max Verstappen (Oracle Red Bull Racing) allo start del Gran Premio del Giappone 2022

Come, ad esempio, farlo contro una Formula Uno che concettualmente ha sposato della ritrosia a correre con pista bagnata. Sarà perché le vetture hanno una componente elettrica molto spiccata che per definizione è poco compatibile con l’acqua, fatto sta che crescono sempre di più le circostanze nelle quali si cerca di procrastinare il momento della partenza per aspettare di vedere il sole far capolino tra le nuvole.

I primi giri dopo il restart hanno smascherato il grande bluff. Appena rientrata la Safety Car, Sebastian Vettel, uno appartenente alla vecchia scuola, ha preteso ed ottenuto gomme intermedie. In un giro ha dimostrato che gareggiare era possibile e che lo slancio di sicurezza espresso dalla direzione gara era smisurato alle circostanze vigenti.

La sensazione è che sia nata una nidiata di piloti inabili, o per meglio dire poco avvezzi, a guidare in compagnia di Giove Pluvio. Normale processo se anche nelle categorie inferiori si tende a stoppare l’attività quando la pista è bagnata leggermente più del livello consono alle intermedie. Sembra quasi che le full wet siano le coperture del demonio: vade retro!

Il fatto che queste alzino colonne d’acqua di grande portata le condannano quasi senza appello. Almeno in gara. La scarsa visibilità che scaturisce dal loro utilizzo decreta la quasi totale inutilità. Da qui la tendenza ad attendere che l’asfalto sia idoneo ai livelli di aderenza necessari per switchare alle intermedie che almeno producono cortine di acqua nebulizzata non troppo impenetrabili.

Charles Leclerc (Scuderia Ferrari) – Gp Giappone 2022

F1. Pioggia: da opportunità a nemica

Un tempo non troppo lontano la pioggia era un’opportunità. Oggi sembra essersi tramutata nel nemico da combattere con ogni mezzo. Lecito e meno ortodosso. Generazione di conducenti cresciuta all’asciutto, che vede nella pioggia un avversario e non un complice di epiche rimonte. C’erano anni in cui chi era dietro alzava gli occhi al cielo producendosi in riti pagani che propiziassero il cadere delle gocce. Qualcosa che poteva rimescolare le carte e dare una speranza di riscatto a chi raramente assaporava l’aria dolce delle zone alte della griglia.

Oggi i piloti sono plasmati da un modo di operare preciso e appiattiti su decisioni che a volte stridono con la logica. Non è un caso se il primo a dire a chiare lettere che si doveva scendere in pista è stato Lewis Hamilton, altro baluardo della vecchia scuola che ha costellato la sua carriera di imprese rimarchevoli su superficie viscida. Il sette volte iridato, con cognizione di causa, ha affermato un principio cardine del motorsport: solo chi è nell’abitacolo può capire quali siano le reali condizioni della pista. Non chi guida la safety car, tanto meno chi ha il sedere al caldo di un ufficio infarcito di monitor.

Fernando Alonso, Esteban Ocon e Lewis Hamilton all’uscita da una riunione della GPDA

F1. Piloti raramente uniti per battaglie necessarie

La direzione gara dovrebbe forse imparare ad essere più collaborativa e maggiormente inclusiva con chi lo spettacolo lo produce in maniera diretta. I piloti, dal canto loro, farebbe forse meglio ad urlare nelle opportune sedi domandando la revisione di istituti regolamentari anacronistici o inefficaci. Il riferimento è al Parco Chiuso.

Uno strumento mal funzionante e che espone i conducenti ad inutili rischi. Basterebbe modificarne il funzionamento e renderlo più elastico per permettere alle vetture di sviluppare assetti più consoni a condizioni estreme. Talvolta, alla riprova dei fatti, l’impossibilità di toccare le monoposto risulta un’imposizione bizantina, stupida, incoerente e perniciosa.

In una F1 che giustamente mette al centro della sua mission l’incolumità dei driver modificare certe dinamiche sarebbe un atto di lucidità. Come, ad esempio, evitare di andare in quei teatri in cui si sa, in determinati mesi dell’anno, che il rischio pioggia schizza in alto.

La F1-75 di Carlos Sainz (Scuderia Ferrari) in azione a Suzuka

La razionalizzazione del calendario è un’altra metastoria che la F1 racconta da anni ma che non riesce a mettere in pratica per interessi economici e commerciali che vincono troppo spesso sul buon senso. La GPDA, già mostratasi debole in occasioni come quella del Gran Premio dell’Arabia Saudita 2022, a volte rilascia la sensazione di essere un organo di corredo, un corollario necessario ma sostanzialmente inutile.

Il Gran Premio del Giappone è servito per far laureare Max Verstappen campione del mondo. Sarebbe stato più corretto, per rendere i giusti meriti ad un fenomeno totale, che questo si fosse disputato in maniera completa. Cosa che non è stata possibile fare per una partenza attardata per favorire il mercato e le televisioni europee. Ancora una volta, ahinoi, lo sport che si piega a logiche di profitto. Una realtà evidente che tutti dovrebbero ammettere. A partire dai quei piloti che sovente fanno la figura dei soldatini dal capo chino.


Autore: Diego Catalano@diegocat1977

Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari

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Pubblicato da
Diego Catalano