Comincia un altro fine settimana di gara in F1: arrivederci a Singapore, benvenuti (o quasi) a Suzuka. Marina Bay è stato un appuntamento sfiancante sul piano fisico per ovvie ragioni, ma altrettanto sul piano psicologico.
Quello che a tutti gli effetti sarebbe dovuto essere un weekend festoso per Max Verstappen, si è ben presto trasformato in un susseguirsi di vicende negative, da cui l’olandese per sua dichiarazione afferma di non aver tratto alcun divertimento, nonostante l’intrigante profilo del circuito.
D’altronde abbastanza semplice comprendere il suo stato d’animo: giunto a Singapore celebrando i suoi 25 anni lo scorso venerdì e credendo di laurearsi per la seconda volta campione del mondo proprio durante questa tappa, l’esito che il destino aveva in serbo per lui era talmente impensabile, da stentare a credere che le cose siano andate effettivamente così.
La sua compromessa qualifica, figlia di un errore di calcolo sul litraggio della benzina a bordo della RB18 numero1, ha di fatto intaccato anche la partenza: l’ottava piazza in griglia probabilmente per Max deve aver rappresentato un oltraggio al suo potenziale.
Ma come spesso accade nella storia della F1, alcuni grandi talenti piuttosto che galvanizzarsi ed interpretare tali imprevisti come sfida personale prima che con gli avversari, sembrano quasi lasciarsi andare alle circostanze.
Attenzione, non si sta parlando di abbattimento o avvilimento, quanto piuttosto quasi di “noia” nel non avere centrato il consuetudinario obiettivo, che consente loro di affrontare la gara con un altro approccio mentale.
Una fila così distante dalla prima deve aver psicologicamente infastidito molto Verstappen, il quale al momento dello spegnimento dei semafori ha addirittura sbagliato l’antistallo perdendo ben 4 posizioni; un errore che dal solito Mad Max non ci si aspetta affatto.
Eppure è andata così: non è parso subito entusiasta del suo (indubbiamente negativo) piazzamento, ma anzi sembrava quasi tergiversare fino a quando non ha poi parzialmente recuperato la sua corsa concludendo in settima posizione.
Un atteggiamento che, volendo dare ragione a Fernando Alonso, spesso è un tratto comune a molti talentuosi piloti “abituati” alla vittoria. Il “vecchio” Nando infatti proprio di recente ha dichiarato, nella fattispecie a discapito di Lewis Hamilton, che certi drivers sono in grado di vincere e guidare bene solamente quando scattano dalle prime posizioni.
Possiamo essere d’accordo con lui?! Diciamo che specialmente Lewis nel tempo ha forse fatto propriamente suo questo modus operandi: quando le cose non funzionano come dovrebbero o come lui vorrebbe, inizia a vedere i classici fantasmi (la vettura non gira bene, le gomme non hanno grip, percepisce delle vibrazioni…).
Insomma, tutto lascia pensare che in realtà stia cercando pretesti per giustificare la difficoltà della propria prestazione: anche lo stesso Max sembra aver fatto lo stesso la scorsa domenica. D’altronde dopo un mondiale 2021 combattuto contro Lewis duellando all’ultimo sangue, ha sicuramente assorbito qualche insegnamento dalla “scuola Hamilton”.
Ha anche rincarato la dose aggiungendo che per lui non ha alcuna importanza lottare nelle retrovie, quello che conta è solo essere competitivi tra i primi, poiché restare invischiati nel traffico delle altre vetture è semplicemente frustrante.
Lo vada a raccontare ai suoi ex compagni di squadra Pierre Gasly, Alexander Albon o Daniel Ricciardo, che dopo essere stati scaricati dal team Red Bull, di fatto hanno dovuto abbracciare quello scialbo destino di metà classifica che lui tanto sminuisce.
Di fatto però, nonostante i presupposti non piacciano, tanto Max quanto Lewis vengono poi in qualche modo attratti dal turbinio della gara stessa: giro dopo giro ricominciano a prenderci gusto e cambiano atteggiamento nei confronti del loro posizionamento.
Sembrano quasi ingolositi da tale presupposto, e di colpo si accende quella fiamma tipica di chi sa di volerla spuntare a tutti i costi: lo stesso Lewis è stato autore di clamorose rimonte (ad esempio Interlagos 2021, partito in ultima posizione ed arrivato primo), così come Max qualche settimana fa a Spa partendo dal quattordicesimo posto ha conquistato poi una schiacciante vittoria.
Anche Sebastian Vettel è stato protagonista di simili dinamiche: ad esempio ad Hockenheim 2019 è partito dalla ventesima posizione conquistando il secondo gradino del podio, dichiarando per sua stessa ammissione di aver fatto immensa fatica nella prima parte della gara, per poi “capire” solamente in un secondo momento quanto tale missione fosse concretamente realizzabile.
Ma anche andando ad approfondire in trascorsi oramai non più tanto recenti, anche l’eterno Michael Schumacher era stato in passato “accusato” di analoghi approcci. Un esempio può essere Belgio 1995: la qualifica insoddisfacente colloca in ottava posizione proprio lui, il campione del mondo in carica, e proprio a Spa, l’università della F1.
L’ottava fila gli sta stretta, e giro dopo giro quell’insofferenza lascia sempre più spazio alla competitività: per sua stessa ammissione, la gara è stata particolarmente complessa e pesante, ma ciò non gli ha impedito comunque di ghermire la vittoria.
Insomma, “capricci” e reazioni: la storia ci insegna che tale atteggiamento sembra essere un tratto distintivo dei preziosi talenti nel passato (e nel presente) della F1.
E se ciò rappresentasse proprio il comune denominatore di tutti i campioni del mondo?
F1 Autore: Silvia Napoletano – @silvianap13
Foto: F1TV, Oracle Red Bull Racing, Benetton, Mercedes AMG