Il 6 luglio alle ore 9:37, il prototipo LMH Ferrari ha percorso i primi giri guidato dal due volte campione del mondo Alessandro Pier Guidi, in quello che può essere considerato uno shakedown sul circuito di Fiorano. Il bolide cela le sue fattezze attraverso una livrea camouflage che tuttavia non assopisce così tanta bellezza.
Gli ingegneri del Cavallino Rampante hanno raccolto ed analizzato i dati del collaudo prima di effettuare un test più probante sul circuito spagnolo del Montmelò dal 2 al 4 Agosto. Il fine tuning dell’hypercar di Maranello è proseguito sul circuito Enzo e Dino Ferrari, a Imola, il giorno 10 agosto.
Nel corso del test sulle rive del Santerno, è stato possibile apprezzare “gli occhi” della vettura. In alcuni passaggi sono stati accessi i fari anteriori posizionati nella parte inferiore del muso, ai lati della presa d’aria, sopra i quali erano già visibili le luci di posizione ispirate alla Ferrari Daytona SP3. A fine settembre è stato svolto un test di tre giorni sul tracciato di Portimao.
Il circuito portoghese, con i suoi curvoni e saliscendi, è stato un ottimo banco di prova per verificare le scelte telaistiche, ancora di più se, come accaduto nel corso della sessione, si sono alternati sole e pioggia con variazioni sostanziali delle condizioni di pista e temperatura. In settimana ecco la due giorni Ferrari nel tempio della velocità brianzolo, condotta da Alessandro Pier Guidi e Nicklas Nielsen.
Nell’attesa dell’unveil ufficiale, il prototipo di Maranello ha già percorso più di 10.000 chilometri, scendendo in pista ogni 10 giorni in modo da essere competitivo sin dal debutto in pista, che avverrà a metà marzo a Sebring, nella gara inaugurale del World Endurance Championship.
Lo splitter anteriore ha un labbro piuttosto sollevato, segno tangibile che la vettura sia stata concepita per far lavorare al massimo il fondo (punto uno dell’illustrazione successiva). Altri elementi caratterizzanti sono i fianchi dritti, percorsi in basso da due canali che impediscono all’aria di infilarsi al di sotto delle pance che hanno due prese d’aria attaccate di fronte alle ruote posteriori.
L’airscope si distingue per le sue dimensioni generose rispetto a quello utilizzato dalle altre vetture LMH ed LMDh (punto uno dell’illustrazione successiva). Ma è la parte superiore e posteriore a presentare le particolarità più interessanti.
La pinna centrale ha un profilo spezzato e non rettilineo che forma un supporto centrale molto simile a quelli laterali (punto due dell’illustrazione successiva). Tutti e tre sono molto alti rispetto all’ala e al contrario di quanto visto su altri prototipi, quello centrale non ha un andamento a “collo di cigno” e, alla base, molto stretti intorno al supporto, ci sono le uscite per gli scarichi.
Segno evidente che il motore a combustione interna, con ogni probabilità un V6 sovralimentato, ha i turbocompressori al centro delle bancate. Altro elemento distintivo rispetto agli altri prototipi è la presenza di un’ala posizionata a mezza altezza (punto tre dell’illustrazione successiva), tra quella superiore e il piano della carrozzeria, che sfrutta in lunghezza e larghezza tutto quello che il regolamento permette in termini di dimensioni totali.
Una sorta di beam wing posta proprio sopra il diffusore, inoltre, ha il compito di incrementare la downforce sull’asse posteriore, anche grazie agli scarichi alti che soffiano proprio su tale profilo.
I profili laterali sono inoltre dotati di tre feritoie diagonali, mentre alle spalle delle ruote posteriori sono dritti (punto quattro dell’illustrazione successiva). Tale soluzioni mira ad impedire che si formino vortici, massimizzando la scorrevolezza dei flussi attorno alla vettura e in prossimità delle ali.
La geometria delle sospensioni, a triangoli sovrapposti di tipo “push-rod”, permette di raggiungere doti di rigidezza che si traducono in prestazioni di rilievo, evidenziate tanto alle velocità assolute più sostenute quanto nella percorrenza delle curve. Il sistema frenante è di tipo brake-by-wire fornito dalla Brembo, scelto per la sua capacità di recuperare energia sulla scorta della lunga collaborazione in F1.
Nonostante non ci siano conferme ufficiali, il propulsore dovrebbe essere il V6 biturbo derivato dalla Ferrari 296 abbinato ad un motore elettrico. L’angolo tra le bancate di 120° ha consentito di inserire all’interno delle stesse il sistema di sovralimentazione, composto da due turbocompressori di nuova generazione. Per di più, la soluzione va ad ottimizzare il sistema di alimentazione che si evolve nella zona più bassa del motore attorno alle bancate.
L’unità di potenza della Ferrari 499P erogherà una potenza massima di 680 CV (500 kW, limite di regolamento). Il moto propulsore ibrido potrà contare sul recupero dell’energia e su una potenza massima di 200 kW (272 CV). L’impianto elettrico si basa su una tecnologia a 900 Volt.
Come menzionato nell’introduzione, l’impegno ufficiale della Ferrari nel WEC è stato in qualche modo accelerato dalla drastica riduzione del budget allocabile al programma F1, in ossequio al nuovo regolamento finanziario. Il knowloedge maturato nei nove anni di era turbo-ibrida è stato di vitale importanza nella fase di concept della power unit del prototipo LMH.
Se a questo si aggiunge che dal 2026 la componente MGU-H sarà eliminata dalle unità di potenza delle monoposto di F1, si delinea una tangibile convergenza tra le due piattaforme tecnologiche. In ultima istanza una considerazione: non è da escludere che, a medio lungo termine, i ruoli andranno ad invertirsi, con il know how maturato nel mondiale WEC che potrebbe fornire un prezioso supporto al programma F1 della storica scuderia italiana.
Autore e grafiche: Roberto Cecere – @robertofunoat
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Ottima disamina, complimenti Roberto. Interessante la posizione del V6, con l'apertura della V di 120° è possibile avere un baricentro più basso. È un progetto che mi piace moltissimo devo dire.
Ricordo che non ce solo Pierguidi come pilota ferrari ma anche Davide Rigon il migliore di tutti i piloti messi insieme.